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La vera Russia non ha eredi: da 10-12 anni, le forti sono sempre più forti. Anche con mezze Vonn e Shiffrin…

Da Sport Senators 01/03/2018

Le posizioni di testa del medagliere dei Giochi invernali 2018 sono rimaste praticamente le stesse di quattro anni fa a Sochi. Con l’unica eccezione della Germania, salita dal sesto al secondo posto

  Con la Russia fatta fuori dal Cio, o almeno con tanti atleti potenzialmente da medaglia non ammessi ai Giochi invernali di Pyeongchang 2018 anche se non riconosciuti colpevoli di doping, la domanda inevitabile era: a chi andranno gli 11 ori, i 9 argenti e i 9 bronzi che i russi avevano vinto a Sochi 2014, conquistando così il primo posto nella classifica per nazioni? Certo, ci sono due modi di porla: da “fredda cronaca”, come avrebbe detto Frengo e stop, o da “avvoltoi”, come avrebbero potuto essere classificati alcuni sostenitori della cancellazione totale della Russia e aspiranti alla razzia di quelle medaglie per fare passi avanti in classifica. Alla fine, però, il problema si è rivelato insussistente perché la cosiddetta “eredità” russa è stata suddivisa equamente fra poche nazioni di vertice e fra poche altre di rincalzo, e non ha inciso sulla classifica. Questa, infatti, nelle posizioni di testa è rimasta praticamente la stessa di Sochi con l’unica eccezione della Germania, salita dal sesto al secondo posto, e l’ovvio arretramento della Russia, qui chiamata ipocritamente OAR (Olympic athletes from Russia), scesa al 13° posto.
   La mancanza di reali sconvolgimenti è la testimonianza che i valori, anche a distanza di 4 anni, sono rimasti praticamente gli stessi, che le nazioni più forti vanno avanti ormai col pilota automatico ma anche che non si rilassano e non commettono errori, rimediare ai quali appare sempre più difficile, come si può notare dalla fatica che squadre un tempo non lontano protagoniste, come Austria (terza a Torino 2006) e Italia (settima a Salt Lake City 2002) fanno per rimontare.
Fra l’altro, la programmazione si esprime soprattutto nella compattezza di squadra, che diventa sempre più elemento discriminante: a parte il caso speciale dell’Olanda, che è quinta con 20 medaglie totali ottenute in soli due sport, entrambi sul ghiaccio (velocità e short-track), le nazioni in testa ottengono successi in almeno 8 discipline (Norvegia), per arrivare a 9 (Germania e Canada) e addirittura a 11 (Stati Uniti). Le imprese solitarie e le medaglie inaspettate non forniscono, giustamente, la reale indicazione sul valore del movimento sportivo.
   Così, per fare esempi concreti, se è vero che Sud Corea (7° in classifica) e Italia (12°) prendono medaglie in 6 sport, che magari può apparire un risultato discreto, nella realtà si mostrano molto fragili globalmente e senza una concreta prospettiva di miglioramento a breve termine perché prendono un’unica medaglia in 4 sport la Sud Corea, che quindi conta solo su 2 sport per vincere, in 3 l’Italia, per la quale restano 3 discipline più consistenti. A Sochi erano stati 5 gli sport premiati per l’Italia, di cui 3 con una sola medaglia, quindi con situazione globale identica, anche se sono aumentate le medaglie complessive: il movimento sportivo invernale resta pieno di difficoltà per gli azzurri.
Invece la Norvegia, come già fatto notare, va sul podio in 8 sport, ma solo in 3 di questi vince un’unica medaglia (curling, freestyle, combinata nordica), negli altri 6 è consistente con un minimo di 4 podi in ogni disciplina. La Germania, 9 sport, ottiene un’unica medaglia in 3 (pattinaggio artistico, hockey, skeleton), quindi ha una base di 6 sport “forti”; il Canada, 9 sport, in uno (curling), con ben 8 discipline su cui puntare con sicurezza. Al contrario vanno gli Usa, 11 sport e addirittura 7 con un’unica medaglia, quindi in apparenza “meno squadra”, ma a Sochi avevano preso medaglie in 9 sport, 3 dei quali con un solo podio, comunque un progresso che può anche far passare in secondo piano l’aumento di discipline con medaglia singola: da 9 a 11 è notevolmente più arduo che da 5 a 6.
Tornando all’analisi di partenza, sembra chiaro che non si possa parlare, per le nazioni più forti, di aspettative disattese o delusioni.
   La stessa squadra Usa ha quasi confermato il risultato di 4 anni prima: 28 medaglie a Sochi (9 ori, 7 argenti, 12 bronzi), 23 a Pyeongchang (9 ori, 8 argenti, 6 bronzi). La differenza sta solo nei bronzi, ma gli americani sono rimasti allo stesso livello per gli ori e hanno ottenuto un argento in più, che ci sia un leggero calo nella posizione meno importante del podio non può essere considerato un fallimento, probabilmente più legato alle delusioni della Vonn e parzialmente della Shiffrin che a un effettivo rendimento negativo. Stesso discorso può essere fatto per le altre nazioni, che migliorano si potrebbe dire “fisiologicamente”. La Norvegia passa “naturalmente” da seconda, dietro la Russia, a prima: da 26 a 39 medaglie (gli ori da 11 a 14). La Germania, unica vera “scalatrice”, da sesta a seconda: da 19 a 31 medaglie (ori da 8 a 14). Il Canada resta terzo, da 25 a 29 podi, da 10 a 11 ori. Gli Usa restano quarti, da 28 a 23 podi, ma perdono davvero solo nei bronzi, da 12 a 6, gli ori restano 9, gli argenti aumentano da 7 a 8. L’Olanda si conferma quinta, da 24 a 20 podi, gli ori rimangono 8.
   Insomma, una situazione cristallizzata, con pochi spostamenti, come quello della Svezia, da 14° a sesta, ma con gli stessi podi (15 a Sochi, 14 in Corea) e progressione dovuta agli ori, da 2 a 7.
La Russia a Pyeongchang ha confermato solo l’oro dell’individuale femminile del pattinaggio artistico: Sotnikova a Sochi, Zagitova a Pyeongchang. Ne ha guadagnato uno, nell’hockey, a danno del Canada che l’aveva vinto nel 2014. Un oro non l’ha ereditato nessuno perché una gara è stata cancellata dal programma olimpico: lo slalom parallelo maschile nello snowboard. Per gli altri otto titoli olimpici, ecco il passaggio di consegne: pattinaggio artistico di coppia alla Germania; nello short-track, 500 metri uomini alla Cina, 1000 m uomini al Canada, staffetta uomini all’Ungheria; nello snowboard, slalom gigante parallelo uomini alla Svizzera; nel fondo, la 50 km maschile a tecnica libera alla Finlandia; nel biathlon, la staffetta maschile alla Svezia; nello skeleton, il singolo maschile alla Sud Corea. Quindi, otto nazioni hanno ottenuto un oro in più rispetto a Sochi (il Canada ne ha presi 2, ma ne ha perso uno contro la Russia). Per le medaglie d’argento, sono sei le nazioni ad averle conquistate (Cina, Usa, Australia, Canada, Austria e Sud Corea), tenendo conto che la Russia ne ha confermate 3 di Sochi. Per quelle di bronzo, considerato che la Russia ne ha mantenute due, ci sono anche qui sei nazioni ad aver preso quelle lasciate dai russi: due gli Usa, una ciascuno Germania, Austria, Gran Bretagna, Olanda e Giappone.
   La considerazione conclusiva è nient’altro che la conferma di come la situazione negli ultimi 10-12 anni si sia bloccata, con le nazioni forti sempre più forti e non legate ai singoli campioni (gli Usa in questi Giochi ne sono l’esempio), con le inseguitrici in difficoltà nel recuperare posizioni e, soprattutto, mantenerle. Difficoltà che diventerà ancora più grande col rientro della Russia con la squadra completa. Ne consegue che un cambiamento, per nazioni come l’Italia, sta diventando sempre più complicato e presuppone una rinnovata struttura del movimento di base. Ma tutto questo va oltre la semplice analisi di quanto accaduto a Pyeongchang, in Giochi che meritano comunque ulteriori approfondimenti, sia tecnici (con uno sguardo speciale all’Italia) che politici (con il Cio nel mirino). Non ci fermiamo qui.
Gennaro Bozza
Tags: gennaro bozza, La vera Russia non ha eredi: da 10-12 anni, le forti sono sempre più forti. Anche con mezze Vonn e Shiffrin…, olimpiadi invernali

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