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Pallavolo

Pallavolo, Italia mondiale a due facce: fuoricampo, successo stratosferico, dentro, è all’anno zero…

Da Carlo Gobbi 02/10/2018

Il successo della Polonia conferma i valori al vertice, ma rilancia una squadra giovane. Il problema degli azzurri non è certamente Blengini, anche se sarà lui a pagare. La parola tocca al presidente federale Cattaneo!

Sappiamo tutti come è finito il mondiale numero 14. Chi ha visto la Rai, chi ha letto la Gazzetta. Polonia al vertice. Brazil schiantato in tre set. Chi l’avrebbe mai detto? La Polonia era tra le favorite, se non altro perché campione uscente. Ma non la favorita. Battere poi in tre set i verdeoro alla loro quinta finale mondiale, campioni olimpici di Rio, non è stata un’impresa? La Polonia raddoppia. Meglio, triplica quel predominio mondiale iniziato nel lontano 1974 a Città del Messico. Poi doppiato due anni dopo all’olimpiade di Montreal. Anni lontani, che ci trasmettono nomi ormai dimenticati. Quello di Tadeusz Wagner, l’allenatore di ferro, di Eddy Skorek, grande capitano, poi al Panini Modena e per alcuni mesi anche cittì azzurro con Giovenzana vice nel 1978, l’anno del Gabbiano d’Argento. Ma pure di Alexander Skiba, colui che ha forgiato la generazione dei fenomeni e Tomasw Wojtowicz, centralone del Santal Parma, o Zbignew Zarzycky, schiacciatore  di Padova, poi chaperon dei fratelli De Giorgi a Ugento. O Lech Lasko, lunghissimo biondo centrale emigrato a Vimercate, che ci ha lasciato Michal, opposto mancino anche azzurro.     Quattro anni fa, nel mondiale organizzato in casa,  la Polonia si era affidata a una coppia francese, Antiga-Blain. Subito sul podio. E senza quel Bartosz  Kurek lasciato fuori dalla rosa per idiosincrasia con i due tecnici. Lo stesso  che invece a Torino si è meritato il premio di Mvp della manifestazione.

    Conferma dei valori di vertice, dato che si è ripetuta la stessa finale di quattro anni prima. Ma il Brasile ha cambiato timoniere. Non più il vulcanico Bernardinho, sostituito da Renan Dal Zotto, asso celebre anche su lidi nostrani, a Parma e Ravenna, protagonista di un gesto antipatico, un pallone spedito in campo durante il gioco, che gli è costato un turno di squalifica e riprovazione generale. Ma che mancava di Lucarelli, schiacciatore colored infortunato, perno della formazione verdeoro. Cosa farà questa Polonia, è un interrogativo interessante. Squadra ben dotata, solida, tecnica, guidata sul campo dalla bravura di Drzyga, anche il papà fu palleggiatore della Polska, e dall’esperienzae tecnica di Kubiak, capitano di nome e di fatto, un altro super alla Karch Kiraly. Ma la Polonia è squadra giovane e l’anno prossimo potrà pure schierare il colosso Leon, neo adepto di Perugia, naturalizzato per matrimonio.    Heynen, allenatore belga, gran protagonista di questo successo, a noi pare la copia esatta di quel Wagner che con i suoi giocatori aveva stabilito un rapporto severissimo, quasi militaresco. Però compensato da risultati eccellenti. Non sarà simpatico e popolare, ma sicuramente bravo lo è. Basta considerare la trasformazione di Kurek.
   Gli Usa si sono confermati un complesso granitico, molto tecnico, tutti splendidi universali, con eccellenze in regia (Christenson), attacco (Russell, in parte Sander, senza molta continuità Anderson) e difesa spettacolare. Loro ci sono sempre e hanno già parecchi giovani in batteria. La Serbia è approdata nelle prime quattro, ma ha deluso con  i “nostri” italiani e Lisinac. Da Nik Grbic si pretendeva qualcosa in più. Delusione dalla Russia, uscita con tre sconfitte nonostante una batteria di giocatori super, ma assolutamente priva di un allenatore, almeno parlante. La Francia è uscita male, sconfitta dal regolamento assurdo della competizione, con una sconfitta in più benché avesse più punti in classifica. Una formula comunque da rivedere, tenendo presente i sospetti di combine, o  “biscotto” registrati nel terzo girone. La formula di Rio 1990, eliminazione diretta dai quarti, ci pare la più onesta sportiva, priva di trucchi o inganni. Chi vince, vola avanti. Chi perde, vola a casa.
   E veniamo, dulcis in fundo, all’Italia. Bene la prima parte, quando ha affrontato squadre di seconda fascia. Non lo si sapeva, ma questa è pure la nostra fascia. Quindi, il Belgio di Anastasi, nostra miglior prestazione, l’inconsistente Dominicana, il Giappone, l’Argentina del vecchio maestro Velasco, la Slovenia anch’essa con tantigiocatori cresciuti da noi, hanno fatto da mirabili paggetti. Un rush contro la Russia, ultimo sprazzo d’orgoglio, di rabbia, di gran gioco, perso per lo strapotere fisico dei colossi usciti da un serbatoio impressionante per qualità e quantità. Poi il crac. Con tro Serbia e Polonia, è venuta a galla la nostra realtà. Si intuiva la nostra debolezza. Si è coltivata l’illusione che sull’onda dell’entusiasmo popolare, la squadra potesse operare il ribaltone. Ma il pubblico, per quanto generoso, appassionato, caciarone, festante, non scende sul campo. E gli azzurri sono incorsi in due prestazioni scadenti, denunciando i nostri conosciuti, ma si sperava celati, difetti. Ricezione scadente, difesa perforabile, muri in difficoltà, attacco di posto quattro carente con Lanza scomparso presto dalla battaglia, forse colpa del problema al ginocchio e Juantorena spentosi presto e non all’altezza delle sue capacità. Zaytsev pure non è riuscito a ripetere per concretezza le prestazioni puntigliose e convincenti delle prime partite e la squadra è fatalmente naufragata. Il primo set con la Polonia, nella partita della vita, si èchiuso a 14 e ha messo spietatamente a nudo tutti i nostri limiti. Fisici, tecnici, caratteriali.
   Ora si scatenerà la consueta caccia alle streghe. Meglio, allo stregone. Cioè all’allenatore. Blengini è già sulla graticola. Verrà messo sotto accusa, esposto alla gogna, lapidato per avere lasciato a casa questo o quello, per non avere saputo guidare i suoi guerrieri in finale. Come già accaduto a Ventura nel calcio, ma con eco e responsabilità ben maggiori, anche il tecnico torinese finirà male. Eppure, se non per la sua conduzione in alcune partite dove poteva provare qualche cambio, al cittì torinese non si possono imputare problemi di scelte. Sui social si è scatenata subito la crocifissione di Pippo Lanza. Ebbene, chi al suo posto? Maruotti, bravo giocatore al tramonto di una lunga carriera, è stato encomiabile quando è stato chiamato in campo a dare fiato al titolare spento. Ma oggi in questo volley massacrante, non puoi opporti se non hai giocatori più potenti fisicamente e quindi produttivi. Grazie a Maruotti per quanto fatto, ma se non hai altro, allora…Troppo tardi è toccato a Randazzo, bene nei set non più determinanti con la Polonia già qualificata. Come pure Candellaro, sacrificato in panca per l’intero torneo. Ma il risultato non poteva cambiare. Quando nelle due gare decisive è crollato anche Colaci, bersagliato come un tiro al piccione in ricezione e massacrato in difesa, allora la linea del Piave era stata infranta.
   La botte offre il vino che ha. E per l’Italia, anziché cercare responsabili, è giunto il momento di cambiare impostazione del nostro volley. Di vertice, ma soprattutto di base. Cattaneo e Righi faranno bene a sedersi attorno a un tavolo ad oltranza, per uscirne con la ricetta giusta della rinascita. Quale non sappiamo. Oltre ai quattordici schierati al mondiale, ben poco d’altro oggi è presente sul mercato. Vettori o Sabbi da opposti, ma Nelli era già selezionato. Ricci o Diamantini al centro dove siamo coperti. Posto quattro, con Juantorena che ha annunciato il suo addio definitivo alla maglia azzurra, desolante e vuoto. Talenti cercasi disperatamente. Ma se i giovani non ci sono ancora, o se ci sono non arrivano sulle panchine dei club di serie A.O se ci arrivano, sono costretti a panche infinite dietro qualsiasi straniero approdato non da migrante sui nostri lidi, il futuro sarà certamente fosco. Blengini avrà qualche colpa in alcuni momenti tattici di certe gare. Ma guardando la sua panchina, pareva una zattera della disperazione a confronto di altre ben più fornite di gente esperta e già pronta.
   La domanda che va rivolta al presidente federale Cattaneo esula dal processo al tecnico. Ma riguarda cosa si vuol fare. A chi dare precedenza. Il campionato tira la nazionale. Sempre, in ogni sport. Ma se si continua a importare stranieri di ogni lingua e latitudine, perché, tranne i super-big, costano meno, allora rassegniamoci a un’Italia in seconda o terza fascia per molti anni ancora. L’epoca dei fenomeni è finita. Dimentichiamo la loro gloria. Per ridare fiato, corpo, speranze, giocatori alla nazionale, occorre uno sforzo collettivo, di tutti. Non sappiamo se sarà possibile o se i club maggiori lo vorranno compiere. L’Italia esce con le ossa rotte da questo mondiale. Fuori campo, come ha sottolineato Cattaneo, un successo stratosferico. Pubblico eccezionale, incassi record ovunque, televisione al vertice con la Rai che ha lavorato molto bene. Interesse dei media, finalmente, loro i grandi assenti con le dovute eccezioni. Ma se tanta gente è accorsa accanto al nostro mondo sottorete attirata dallo spettacolo, sul campo la disfatta è stata ancor più crudele. Italia anno zero. Sul domani, aspettiamo lumi. La pallavolo italiana esce con i cerotti dal campo. La situazione è grigia. Numericamente e qualitativamente, anche più. Nera. Dirigenti federali e di club: a voi! Ma ora riflettori e sveglie puntati sul Japan. Tocca alle ragazze regalarci sorrisi e speranze. Forza azzurre!

 

Carlo Gobbi
Tags: carlo gobbi, italia, mondiali, Pallavolo, sconfitta

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Nota sull’autore: Carlo Gobbi

È il giornalista più poliedrico del panorama nazionale. Oltre a 7 Olimpiadi, 6 Mondiali e 15 Europei di pallavolo, e 139 test match di rugby, ha seguito oltre 20 Mondiali ed altrettanti Europei di ginnastica, judo, hockey, ghiaccio, pallamano, pesi, tiro.

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