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Atletica

Coleman non basta, quant’è difficile il dopo Bolt!

Da Pierangelo Molinaro 05/03/2018

Poche tv nazionali, poca esposizione sui media: la rassegna iridata in sala di Birmingham ha regalato quattro giorni frizzanti, ma il movimento paga la fine del mitico Usain. Anche il suo erede annunciato non accende gli entusiasmi. Sorrisi italiani dalle donne: Trost, Bongiorni, Bouih, Lukudo e Ayomide Folunso…

L’atletica guarda dentro se stessa. Un’era è finita dopo il ritiro, ai Mondiali di Londra, di Usain Bolt si cerca un nuovo personaggio capace di portare l’intero movimento anche all’attenzione esterna alla ristretta cerchia degli appassionati. Si paga un errore commesso, forse per pigrizia, dieci anni fa quando, dopo l’esplosione del fenomeno giamaicano all’Olimpiade di Pechino, si focalizzò tutta l’attenzione su di lui ignorando il resto. Certo, un Bolt te lo regala il cielo ed è naturale che dopo la sua uscita di scena cali l’interesse generale attorno ad una disciplina. Succederà anche al motociclismo quando Valentino Rossi alzerà le mani dal manubrio e al tennis, quando Roger Federer uscirà definitivamente dal campo.
Ma l’atletica non è una disciplina univoca. E’ la mamma di tutti gli sport perché contempla i gesti motori fondamentali dell’uomo, la corsa, i salti ed i lanci. Specialità diversissime fra loro con le loro logiche ed i loro protagonisti. Ma l’extra-Bolt per dieci stagioni è rimasto in ombra, molte volte ingiustamente. E ora si cerca di rimettere insieme i cocci.
Non è facile ed i Mondiali indoor di Birmingham ne sono stati la prova. Certo, quella in sala non è ancora vera atletica, sta all’attività all’aperto come il calcetto con il calcio, ma sta di fatto che le sue stelle non sono riuscite ad accendere l’attenzione che l’atletica meriterebbe. La prova? La modica quantità di televisioni nazionali che hanno scelto di trasmettere in diretta l’evento ed il poco spazio sui giornali. Bisogna attendere la prossima Olimpiade, Tokyo 2020, per eleggere un altro re? Per ora non se ne vendono all’orizzonte.
Neppure l’erede designato, lo statunitense Christian Coleman, re della velocità (la specialità più immediata e facile da capire) che ha dominato i 60 metri piani in 6”37, tempo che moralmente rappresenta il nuovo primato mondiale, è riuscito a calamitare l’interesse. Eppure è stato protagonista di una signora gara, vinta davanti al robot cinese Bintian Su (6”42) ed al compagno di squadra Ronnie Baker (6”44). E non ci è riuscita neppure l’etiope Genzebe Dibaba, due volte regina si 1500 e 3000 metri.
Alla fine il fatto di cui si è più parlato di questi Mondiali è stata la diarrea di squalifiche nei 400 metri. Ben 18 nella gara maschile. Un assurdo. Certo, il regolamento parla chiaro: se si pesta la riga della corsia si è fuori, ma sulla pista britannica le curve sono troppo strette e rimanere in corsia alla velocità di un quattrocentista non è affatto facile. Una gara che i giudici hanno rovinato. Sì, ci sono stati “falli”, ma tutti ininfluenti, senza che apportassero reali vantaggi a chi li commetteva. Dopo la squalifica di un’intera batteria, si è arrivati all’assurdo di squalificare dopo che la classifica ufficiale era già stata resa nota, il primo ed il secondo della classifica, uno schiaffo che lo spagnolo Oscar Husillos, vincitore con un ottimo 44”93, non meritava. Una severità inutile e dannosa per l’atletica.
Eppure i buoni risultati non sono mancati, come il 7”70 nel 60 hs della statunitense Kendra Harrison, il 6”97 dell’ivoriana Ahoré nei 60 piani, anche se forse la gara più avvincente è stata venerdì la finale del lungo maschile, gara che si incendiata negli ultimi due turni di salto, con il giovane e talentuoso cubano Juan Miguel Echevarria medaglia d’oro con 8.46 davanti al sudafricano Manyonga (8”44) ed allo statunitense Dendy (8.42).
L’Italia ancora una volta si è dimostrata una piccola cosa. Le è caduta addosso una medaglia inattesa, il bronzo di Alessia Trost, 1.93, nella gara più scarsa nell’alto femminile degli ultimi decenni, per il resto si è dimostrata solo una comparsa. Tre le finali conquistate, oltre alla Trost, con Yassim Bouih nei 3000 metri e con il quartetto femminile della 4×400. Ed è andata bene quando si pensa che la nostra punta di diamante (anzi di cristallo…) era un atleta di 41 anni, il triplista Fabrizio Donato, onore a lui, che però si è infortunato al primo salto. In tre si sono migliorati nell’occasione, Anna Bongiorni nella batteria dei 60 (7”24), Bouih in quella dei 3000 (7’50”65) e Raphaela Lukudo nel primo turno dei 400 (52”98). Inoltre il primato italiano in finale della 4×400 donne, 3’31”55. L’unico sorriso arriva da questa ragazza di colore, 23enne di origine sudanese cresciuta a Modena, Ayomide Folunso, 21 anni, pure lei quattrocentista. Le loro prestazioni non sono ancora a livello assoluto, ma queste ragazze sanno lottare e non si accontentano.
   Per il resto c’è molto da lavorare, bisogna ricreare interi settori e soprattutto ridare a tutto il movimento quel piacere di praticare atletica. Ora invece si vedono musi lunghi e facce tese, ogni appuntamento che conta sembra un cammino verso un fiasco annunciato.
Pierangelo Molinaro
Tags: Atletica, Coleman non basta, Pierangelo molinaro, quant’è difficile il dopo Bolt!

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Nota sull’autore: Pierangelo Molinaro

Ha studiato Biologia all’Università di Pavia. Dopo le esperienze all’Informatore, Corriere di Pavia e SuperGol, ha seguito da inviato per la Gazzetta dello Sport 12 Olimpiadi, 27 Mondiali e 7 Europei di atletica, 5 Paralimpiadi. E’ specializzato anche di sci e doping.

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