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Pallacanestro

Il Grande Ragù fa gola all’Italia…

Da Luca Chiabotti 06/04/2018

Donte Divincenzo ha trascinato Villanova al titolo dei college con una prestazione straordinaria: il suo soprannome è The Big Ragù perché discende da italiani. Due anni fa toccò a Ryan Arcidiacono, oggi ai Bulls: sono delle risorse alle quali la nostra pallacanestro dovrebbe attingere 

Siete anche voi rimasti affascinati dal Grande Ragù? Niente Master Chef, parlo di Donte Divincenzo, eroe della finale dei college americani vinta da Villanova, chiamato “The big ragù”. Lui stesso suppone che il nickname gli sia stato affibbiato perché è italiano e ha i capelli rossi. Notate bene, non ha detto perché sono italo-americano ma italiano. Ha segnato 31 punti partendo dalla panchina, 18 nel solo primo tempo quando la sua squadra ha distrutto in finale Michigan, un record per quel campionato. Ha 21 anni, un tiro che spacca, è un atleta vero (il suo altro nomignolo, un po’ più suggestivo, è il Michael Jordan del Delaware, lo stato in cui è nato e ha dominato il basket dei licei con la squadra dei Salesiani), e ha perso la possibilità di vincere il titolo del 2016 con Villanova perché si è fratturato un piede. In quell’anno, l’eroe per i Wildcats fu un altro italo americano, Ryan Arcidiacono, che vestì anche la maglia delle nostra nazionale sperimentale, e adesso fa la spola tra i Chicago Bulls, della Nba, e la loro squadra satellite nella G-league. Non è detto che le stelle dei college possano poi avere fortuna tra i professionisti, anzi. Spesso chi primeggia nelle università è chi ci resta per più anni, senza passare professionista dopo una sola stagione, quello che accade con i giovani più forti. La maturità, quando si hanno 20 anni, può contare più del talento. Non sappiamo se Big Ragù avrà un futuro nella Nba, sarà dura. Però ha una forza mentale da vero big, e se ce l’hanno fatta giocatori come TJ McConnell o Ron Baker, può provarci anche lui. Anche su Arcidiacono eravamo dubbiosi e in effetti sta facendo fatica ai Bulls anche se domina nella lega inferiore con i Wind City (ha un two way contract: può cioè andare e venire tra Nba e G-League). La loro resta comunque una storia meravigliosa anche per il nostro Paese: è impossibile non pensare che Villanova è stata l’università di Rollie Massimino, figlio del calzolaio Salvatore emigrato negli Stati Uniti, e poi coach campione Ncaa in uno dei più grandi upset della storia.
Sarà per la simpatia che questi italiani d’America suscitano e, anche, per la reale spinta che giocatori figli e nipoti di nostri emigrati hanno dato al nostro basket, da D’Antoni a Ginobili, da Sconochini a quelli di oggi come Forray, Filloy, Fitipaldo e Cerella, che ogni volta che vedo in campo un “oriundo” faccio il tifo e mi piacerebbe vederlo giocare da noi. In realtà sono già tantissimi, soprattutto nelle serie inferiori, spesso con storie incredibili. Molti sono anche giocatori modesti, ma credo che in un momento in cui continuiamo a sostenere che non ci sono abbastanza italiani di buon livello per la serie A (e aggiungerei anche A-2, considerato che i primi 25 italiani per minuti giocati hanno 30 anni di età media con 5 over 35) dare una corsia preferenziale ai giovani come gli Arcidiacono e i Divincenzo, a prescindere o meno se abbiano mantenuto la linea di cittadinanza diretta italiana dei loro parenti, potrebbe essere un modo produttivo invitarli a giocare da noi e alzare il livello del nostro campionato restituendo un passato comune ai figli di chi ha dovuto lasciare il nostro Paese per vivere. Uno di loro, John Di Bartolomeo, oggi gioca nel Maccabi Tel Aviv dopo essere partito dalla terza divisione delle università americane, un livello paragonabile alla nostra serie C. Suo padre è italiano, ma la cittadinanza israeliana gli arriva dalla madre, una russa ebrea. Non è un fenomeno, solo un play pulito e con fosforo, ma è un peccato che ci sia sfuggito…
Certo non è con Big Ragù che possiamo risolvere i nostri problemi. Gli italiani, intesi tutti i ragazzi che crescono e giocano nel nostro Paese a prescindere dalla nazionalità della loro famiglia, dobbiamo scoprirli, costruirli, lanciarli da soli. E metterli nella migliore condizione possibile perché possano affermarsi in serie A e a livello internazionale. E’ anche una questione sociale per la quale non esistono scorciatoie. Ma non possiamo dimenticare che le università americane restano la più grande scuola di pallacanestro ancora esistente al mondo. E che soprattutto la costa Atlantica è ricchissima di figli e nipoti di nostri connazionali. Vale la pena di pensarci, seriamente. Tra l’altro Donte è fidanzato con Morgan Calantoni. Tra italiani ci si capisce meglio…
Tags: basket. usa, donte divincenzo, finale college, Luca Chiabotti

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Nota sull’autore: Luca Chiabotti

(La Firma) Inviato a 6 Olimpiadi, 7 mondiali e 15 europei basket, oltre 200 partite dello sport che è il suo grande amore ed ha caratterizzato la sua carriera, 35 final four, finali italiano del 1978. Esperto anche di sport americani, dal football al baseball.

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1 Commenti

  1. Il Grande Ragù fa gola all'Italia... (di Luca Chiabotti) - basketnet.it
    07/04/2018 at 4:08

    […] sportsenators.it a cura di Luca […]

I commenti sono chiusi.

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