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Ciclismo

Boom, Van Hecke, Curvers, Moscon, Gesbert, Offredo… Non c’è più lo Sceriffo Moser, è “mucchio selvaggio”!

Da Marco Pastonesi 06/08/2018

Il ciclismo sembra attraversato da un’insolita elettricità: troppe cose sono cambiate da quando tutti si conoscevano e c’erano meno gare….

 Lars Boom, olandese, e Preben Van Hecke, belga, al Tour of Norway 2018: prima una sbandata, poi gli insulti, infine Boom che rifila una gomitata a Van Hecke e gli mette una mano in faccia. Roy Curvers, olandese, al Giro d’Italia 2018: ritenendosi vittima di una manovra pericolosa dell’auto dell’assistenza in corsa, gli lancia contro una borraccia. Gianni Moscon, italiano, e Elie Gesbert, francese, al Tour de France 2018: Gesbert che taglia la strada a Moscon, Moscon che cerca di colpire Gesbert con un pugno (dice il bretone) o con una manata (dice il trentino), comunque andata a vuoto. Yoann Offredo, francese, al Tour de France 2018: non si sa il perché, ma è colto dalla giuria mentre getta “intenzionalmente” una borraccia a un corridore.
Che cosa succede in gruppo? “Trance” agonistica o stress professionale? Alta tensione o pressione alta? Effetti collaterali da farmaci o conseguenze dirette da maleducazione, ignoranza, inciviltà, complicità, addirittura razzismo? O troppi soldi, troppi interessi? O troppa precarietà, troppa provvisorietà? Una cosa è certa: mai come adesso il ciclismo sembra attraversato da un’insolita elettricità (non quella di eventuali motorini), affrontata a nervi scoperti. Ma è proprio così?
   Il gruppo (il “peloton” francese sa di gergo militare, il “bunch” inglese – abbinato all’aggettivo “wild” – ricorda le scatenate atmosfere western del film “Il mucchio selvaggio” di Sam Peckinpah) ha, da sempre, le sue leggi. E’ un codice, non scritto, di norme di comportamento – un po’ militari e un po’ western – da conoscere e rispettare, con possibilità di sanzioni interne. Quando c’è la sosta pipì (nella primissima parte della corsa, o quando è finalmente partita la fuga di giornata): vietato attaccare. Quando si è nella zona rifornimento (consegna delle sacchette contenenti cibo e bevande): vietato attaccare. Quando una squadra sta inseguendo una fuga: vietato “rompere i cambi”, cioè spezzare l’armonia dell’azione collettiva. Quando uno dei due fuggitivi si sobbarca la maggior parte del lavoro e della fatica: vietato fregarlo in volata. Quando uno dei due fuggitivi potrebbe conquistare la maglia di primo in classifica: si lascia la vittoria di tappa all’altro.
E’ così, confermano gli storici, da che mondo è mondo. E’ così, aggiungono i veterani, da che ciclismo è ciclismo. Fausto Coppi, per uno “sgarbo” in corsa (era andato a riprenderlo e poi si era incollato alla sua ruota), fece saltare a Renzo Zanazzi i circuiti successivi al Giro d’Italia, fonte sicura di guadagni. Enrico Guadrini chiese il permesso di andare in fuga per una “visita parenti”, poi fece il furbo e continuò a pedalare, ma venne raggiunto e pagò dazio. Si dice che, ai tempi di Mario Cipollini, fosse indispensabile la sua autorizzazione per aumentare l’andatura di certe tappe che gli servivano per recuperare o per non finire fuori tempo massimo. E non è un caso che il soprannome di Francesco Moser, uno dei padroni del gruppo, fosse proprio “lo Sceriffo”.
    Ma oggi la situazione è meno controllata (i vecchi corridori direbbero: meno professionale). Perché fino a trent’anni fa i corridori si conoscevano tutti, invece adesso no. Perché fino a dieci anni fa c’erano, contemporaneamente, un paio di corse, oggi il calendario professionistico internazionale propone Giro di Polonia, Giro di Danimarca, Giro di Portogallo, Vuelta a Burgos, Tour of Utah (negli Stati Uniti), Tour of Qinghai Lake (in Cina), perfino il Tour of Rwanda, oltre a classiche (San Sebastian) e circuiti (quelli dopo il Tour de France). Perché certi corridori si giocano la carriera, e un po’ anche la vita, con il primo contratto che è obbligatoriamente di due anni, ma poi si rischia la disoccupazione e l’abbandono, e da qui anche certe tentazioni chimiche. Perché la velocità è sempre più alta, e le bici sempre meno guidabili, e basta un niente per provocare o rimanere schiacciati da un’ecatombe. Perché ai tempi – questi – della Var, certi fattacci che rimanevano segreti perché coperti dalle maglie e dalle leggi del gruppo, adesso sono pubblici e pubblicati su YouTube. Tant’è che, se oltre ai video ci fossero anche gli audio, ne sentiremmo delle belle, cioè, delle brutte, delle bruttissime, delle orrende.
   La bicicletta, sosteneva Alfredo Martini, dovrebbe ricevere il Nobel della pace. Vero. Ma il ciclismo, quello su strada, è una guerra. E fra adrenalina e acido lattico, a vincere sono i nervi.
Marco Pastonesi

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Nota sull’autore: Marco Pastonesi

Genovese, ha seguito 15 Giri d'Italia, 10 Tour de France, 4 Coppe del mondo e 18 Sei Nazioni di rugby. Ha scritto, fra l’altro: Pantani era un dio, L'Uragano nero, Gli angeli di Coppi e I diavoli di Bartali, Ovalia - il dizionario erotico del rugby.

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