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Calcio, La cena delle beffe

“Prospettiva Astori”: possiamo amare lo sport, il calcio, esserne tifosi, da esseri umani e non da belve…

Da Roberto Perrone 07/03/2018

La scomparsa di un ragazzo di 31 anni suscita un momento di autocoscienza collettiva. Perché non siamo così sempre?

In morte di un ragazzo di 31 anni che lascia una bella famiglia, sia quella che aveva composto, una compagna e una bambina di due anni, sia quella che aveva lasciato, solida di valori, ma anche un’immagine pulita di se stesso, è giusto sprecare delle parole. Buone. Come ha sottolineato Gigi Buffon. In morte di Davide Astori, il calcio si è fermato, la gente ha riflettuto, perfino gli sciacalli della rete, quelli che sublimano la loro mediocrità di nani fingendosi giganti e scambiando le loro sciocchezze per opinioni, quelli che chiosano e insultano, hanno taciuto. Si sono presi qualche ora di silenzio, per poi ricomparire con le loro efferatezze alle 23 di domenica, con l’inizio della notte elettorale.

   Abbiamo visto bambini, ragazzi e adulti in preda alla paura dovuta all’assenza di risposte esaurienti sul mistero della vita e della morte, abbiamo assistito alla celebrazione di un principio di umanità: la vicinanza nel dolore. Abbiamo osservato la commozione serpeggiare e la ragionevolezza prevalere. E allora perché la morte di un ragazzo di 31 anni che ha unito le persone perbene e zittito quelle permale non ci deve insegnare qualcosa? Quando muore qualcuno, specialmente in questo Paese che in vita tende a stroncare le vite e le opere altrui, scatta l’iperbole. Abbiamo visto politici, artisti, agenti di artisti, inventori di piattaforme web trasformati in premi Nobel, in Santi. Insomma in persone che non erano e che in vita molti dei celebranti avevano disprezzato. Ricorderò sempre il necrologio che Gianni Brera scrisse per Gino Palumbo. Un esempio di giornalismo. A Giuanbrera, Palumbo stava lì e lo disse chiaro e tondo anche in morte del rivale. Nessuno sconto.
    In questo caso, però, tutte le parole usate per ricordare Davide Astori non appartenevano al frasario un po’ retrò della cerimonia degli addii. Corrispondevano al vero. Lui, il capitano della Fiorentina, era proprio così. Un bravo ragazzo.
    E allora, di fronte a questa unità domenicale, a questo momento di autocoscienza collettiva sulla povertà del nostro essere umani, sul nostro niente di fronte al cielo, sul nostro essere bisognosi di risposte che facebook, twitter e neanche il metodo Aranzulla possono darci, mi domando: perché non siamo così sempre? Mi chiedo perché abbiamo già ricominciato con gli insulti, con i maneggi, con le polemiche, con il complottismo. Gli arbitri, il fatturato, la var, il rigore che non c’era e quello che c’era, il gioco che è bello ma dura poco, nel senso che non fa vincere, e il non gioco che invece ti porta dritto in paradiso: tutto questo ci può anche stare, ma con altri toni, atteggiamenti. Possiamo amare lo sport, il calcio, esserne tifosi con una diversa prospettiva. Io la chiamerei “la prospettiva Astori”, in onore del sacrificio, inconsapevole, di un ragazzo che per un pomeriggio uggioso di marzo ci ha costretti a comportarci da esseri umani e non da belve nel web, negli stadi, nei media, nella vita in genere. Grazie e buon viaggio, Davide.
Roberto Perrone
PIATTO CONSIGLIATO
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* ARTICOLO APPARSO SULLA GAZZETTA DI PARMA IL 6 MARZO 2018
Tags: “Prospettiva Astori”: possiamo amare lo sport, calcio, da esseri umani e non da belve…, esserne tifosi, il calcio, morte astori, Roberto perrone

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Nota sull’autore: Roberto Perrone

Giornalista e scrittore, ha cominciato al Giornale di Indro Montanelli (1981-1989). Dal novembre 1989 al giugno 2015 è stato inviato del Corriere della Sera. Ha seguito 9 Olimpiadi, 7 Mondiali di calcio, 5 Europei di calcio, 11 finali di Champions League; inoltre, ha scritto di tennis, raccontando tutti i tornei del Grande Slam, la Coppa Davis e la Fed Cup, e di nuoto (9 Mondiali e 11 Europei). Scrive anche di enogastronomia e viaggi, il suo sito è www.perrisbite.it

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