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La testimonianza

Bertolucci: “Cecchinato può far male a Thiem. Non l’invidio, lotto già tanto quando commento Fognini”!  

Da Sport Senators 07/06/2018

Da giocatore arrivò ai quarti al Roland Garros “troppo giovane”, ma ha vinto la Davis, da capitano ha riportato l’Italia in finale, da voce di Sky analizza il tennis moderno, ma non gioca più, perché…

“I miei quarti di finale Slam, al Roland Garros 1973, li giocai quand’ero molto giovane, a ventidue anni, quindi ancora a inizio carriera. Giocai contro Nikki Pilic sul Centrale, era un mancino jugoslavo che, subito dopo, in semifinale, batté anche Adriano Panatta. Non giocai una brutta partita, persi in quattro set: feci il massimo, non ci fu niente da recriminare. Niki era più forte di me, per questo fu comunque un’esperienza bellissima che purtroppo non riuscii più a replicare. Cecchinato è l’autentica sorpresa del Roland Garros di quest’anno. Mi diverte molto quando gioca: ha un tennis molto aggressivo, gioca bene da fondo, ha un bel servizio. E poi è soprattutto un gran lottatore: il fatto che fino ai venticinque anni sia rimasto ai margini dei grandi palcoscenici, che abbia sempre giocato nei campi di provincia, lo deve aver formato molto. Adesso mostra quasi una “garra” spagnola, per questo, secondo me, sta cavalcando quest’onda con consapevolezza e non con ingenuità. Si deve rendere conto che questo è solo l’inizio, visto che ormai ha una considerevole striscia vincente dopo aver battuto anche nomi di spicco come Djokovic. In semifinale, contro Thiem, non sarà facile: l’austriaco ha ottimi fondamentali da fondo campo, cerca sempre di colpire la palla dal fondo, caricando il diritto mentre pianta bene a terra le gambe per sfruttare tutta la riserva di energia disponibile. Cecchinato deve riuscire a prendere l’iniziativa dello scambio e cercare il più possibile di variare tagli e velocità dei colpi. Dovrà stare attento: sarebbe già ottimo non riuscire a fargli colpire la palla per due volte di fila alla stessa altezza, il bacino, che è uno dei punti di forza del suo avversario.”
“Il passaggio dalla racchetta alle cuffie del telecronista è stato inatteso. All’inizio, pensavo proprio di non esserne all’altezza: feci un provino per la Rai e poi lo feci di nuovo per Stream. Capii che la cosa non mi dispiaceva e notai anche di essere avvantaggiato, se così posso dire, rispetto ad altri perché semplicemente avevo una conoscenza del gioco migliore. È una categoria, quella del giornalismo, come tutte le altre: ci sono quelli bravi e quelli meno bravi. Del resto è il pubblico che sceglie chi seguire e chi no. E poi, è sicuramente più facile, stare seduti è molto meno faticoso! E’ stato più semplice il passaggio prima, da giocatore a capitano di coppa Davis: è stato un processo naturale. Giocavo con grandi tennisti, ero al fianco di Mario Belardinelli (ex tennista ed allenatore dei Moschettieri d’Italia, Panatta, Barazzutti, Bertolucci e Zugarelli, al centro tecnico federale di Formia, n.d.r). Ascoltavo consigli e cercavo di fare mie tutte le esperienze con gli altri giocatori, poiché ognuno era diverso e ognuno aveva una chiave di lettura propria del gioco. Ai tempi, poi, era diverso anche il rapporto coi giornali e con i giornalisti, l’ho notato io stesso facendo questo passaggio di ruoli da giocatore a commentatore televisivo. E avevamo anche buonissimi rapporti con loro: quando giocavo, c’era una sorta di sinergia tra noi atleti e i giornalisti, non so perché, forse il fatto che eravamo forti in Davis ci ha aiutato. Eravamo seguiti in tutto e per tutto, venivano proprio in giro per il mondo con noi. Ora è molto diverso, i giocatori, come dire, sono più protetti e c’è pochissimo margine per i reporter di oggi. Questo magari può comportare giudizi più freddi e oggettivi, influenzati dal non-rapporto con i tennisti. Poi, comunque, ogni giornalista ha il proprio stile e la propria lente. Io,. da telecronista, posso comunque permettermi di parlare a priori. Certo, è un rischio, perché magari sbagli e tutti te lo fanno notare, ma è sicuramente meglio che parlare dopo: è troppo facile commentare un fatto già avvenuto.” “Da giocatore, mi piaceva tantissimo Tony Roche, era un tennista mancino australiano. Era diverso da me: giocava su superfici veloci, e aveva uno stile differente, eppure era il mio preferito. Nel tempo, il tennis è cambiato molto; ci sono passaggi generazionali necessari e indispensabili, e proprio per questo secondo me è sbagliato paragonare i giocatori di oggi con quelli di una volta: sono cambiate troppe cose, le palle, le racchette, l’alimentazione. Dagli anni ’80 ad oggi, si è persa molta goliardia, quando andavo negli spogliatoi c’era un clima di festa, ora sembra quasi di stare in chiesa. È sotto gli occhi di tutti poi quanto siano cambiati gli attrezzi: quando giocavo usavamo delle mazze medievali al posto delle racchette, che invece oggi sono delle vere e proprie fionde. Quindi posso dire che un tempo era più difficile sfondare, in quanto giocava a tennis solo chi era veramente capace tecnicamente, oggi basta essere minimamente bravi e avere un buon fisico per fare strada. Eppure, questo forse è un paradosso, perché oggi è più difficile arrivare ad essere il migliore: il livello generale è altissimo, c’è molta più competizione perché non ci sono confini: un tempo erano sei/settecento i giocatori di alto livello, oggi forse saranno cinquemila, quasi da ogni parte del mondo. In più c’è stato un periodo di transizione secondo me abbastanza noioso, prima che si avventassero i vari Agassi, McEnroe, fino a Federer. Lui, per esempio, gioca un tennis vecchio stile, con la bravura di farlo alla velocità e ai ritmi di oggi. Forse anche per questo è quello più amato in giro per il mondo, è quasi come se giocasse sempre in casa. Se sia il migliore di sempre? Questo non lo so, è difficile da dire: in questi casi parlano i risultati e, per quelli, si, è il migliore di sempre. Anche gli stessi giocatori, parlandoci, ve lo nomineranno sempre. Probabilmente Roger è il più forte in assoluto, mentre Nadal quello sulla terra rossa: è incredibile che sia ancora lì, ha avuto un periodo difficile ma l’ha superato. In più è una persona davvero gentile e sempre disponibile. Gli altri, Fab Four, Djokovic e Murray? Lo scozzese è un grande difensore, con un bel rovescio e con un evidente deficit nel dritto: forse proprio questo suo animo scozzese non lo ha mai spinto ha volere di più, a migliorarsi sempre. Nole invece per due anni è stato letteralmente ingiocabile su qualsiasi tipo di superficie”.
“Che cosa serve per arrivare al top: talenti inespressi ce ne sono molti perché le componenti che ti servono per arrivare in cima e restarci sono molte: fisico, gioco, testa, tenuta. In un’ipotetica pagella, vi sono tre aspetti fondamentali: il gioco, il fisico e la testa. Se solo uno di questi è insufficiente, non sfonderai mai. Ah, sia chiaro, le altre due componenti devono essere da 9. Il discoro deve per forza riguardare Fabio Fognini: ha ancora tempo, certo, ha trentuno anni e per questo la sua carriera non sarà infinita, deve sfruttare il periodo in cui mancano un po’ i Fab Four, anche perché molti giovani sono in rampa di lancio. A Zverev, per esempio, mancano solo due gradini per arrivare in cima alla classifica, anche se finché c’è Nadal sarà dura farcela, Federer prima o poi si ritirerà, Murray ha dei grossi problemi fisici e Djokovic, secondo me, farà molta fatica a tornare quello di prima. Quindi sì, direi che Zverev è il candidato principale per essere il prossimo numero uno al mondo. Poi, devo ammettere di avere un debole per Shapovalov: può diventare un grandissimo, anche se certe volte tenta delle giocate assurde sul piano del gioco che non sono ancora nel suo bagaglio. E poi piace ai giovani ed entusiasma il pubblico: insomma, le premesse per fare bene ci sono. Giovani italiani? Mi piace Berrettini, potrebbe diventare il nuovo numero uno del tennis italiano, ha un alto livello sia del servizio che del dritto. Arrivare in alto si può, la cosa più difficile resta mantenere costante quel livello”.
“Allenatore? No, non allenerò mai di nuovo, l’ho fatto per anni. Ora la mia vita è diversa, non mi vedo più in quelle vesti e il lavoro che svolgo adesso mi permette comunque di seguire da vicino il mio sport. E ho già il mio daffare. Per esempio, il giocatore più difficile da commentare è Fognini: innanzitutto perché è italiano, poi perché alle volte potrebbe fare meglio e questo mi fa un po’ innervosire, ma poi ripenso che anche io sono stato giocatore e che bisogna capire la persona e i momenti difficili delle partite. Da un certo punto di vista, è anche quello più facile da commentare: quando una partita inizia male, sai già come andrà a finire. Una cosa è sicura: non sono invidioso dei tennisti di oggi. Anche ai miei tempi si pensava che guadagnassimo troppo e ora è lo stesso. Non ho rimpianti nemmeno per la mia carriera di giocatore, penso che dalla carriera si ottenga sempre, o quasi, quello che si merita. Tutto varia in base a come ti alleni, come mangi, come ti mantieni: solo così puoi raggiungere il tuo limite, con la consapevolezza che il numero uno sarà sempre e soltanto uno. Poi, quando arriva il momento di smettere, è giusto prenderne atto e compiere questo ultimo passo. Perciò, non ho più giocato a tennis da quando ha smesso. Mai. Neanche una volta. Anche perché se giochi con gli amici e vinci, poi questi ti chiedono la rivincita e non finisce più…”.
Paolo Bertolucci 
* Campione, da giocatore della storica ed ultima coppa Davis italiana nel 1976 in coppia con Adriano Panatta ha raggiunto, negli anni successivi, per tre volte la finale. Con record di 8-10 in singolare e 22-30 in doppio. Ottimo capitano con giocatore di Coppa, che ha guidato alla finale del 1998, un risultato che mancava dal 1980. Commentatore da anni di Sky Sport, è la voce n. 1 tra i telecronisti di tennis.
(Pareri raccolti da Riccardo Bordino)
Tags: cecchinato. thiem, paolo bertolucci, roland garros

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Nota sull’autore: Sport Senators

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