Io c’ero quando cadevano le Torri Gemelle, quel maledetto 11 settembre 2001. Ho visto anche questo! |
  • Chi Siamo
  • Firme e Voci
  • Sport
    • Accadde Oggi
    • Atletica
    • Calcio
    • Ciclismo
    • Ginnastica
    • Golf
    • Motori
    • Nuoto
    • Pallacanestro
    • Pallavolo
    • Pugilato
    • Sci
    • Sport di contatto
    • Tennis
    • Vari
    • Politica Sportiva
  • TennisVintage
  • La testimonianza
  • Galleria
  • Sport per Tutti
Io c’ero quando cadevano le Torri Gemelle, quel maledetto 11 settembre 2001. Ho visto anche questo! |
  • Chi Siamo
  • Firme e Voci
  • Sport
    • Accadde Oggi
    • Atletica
    • Calcio
    • Ciclismo
    • Ginnastica
    • Golf
    • Motori
    • Nuoto
    • Pallacanestro
    • Pallavolo
    • Pugilato
    • Sci
    • Sport di contatto
    • Tennis
    • Vari
    • Politica Sportiva
  • TennisVintage
  • La testimonianza
  • Galleria
  • Sport per Tutti
Vari

Io c’ero quando cadevano le Torri Gemelle, quel maledetto 11 settembre 2001. Ho visto anche questo!

Da Vincenzo Martucci 11/09/2018

Riproponiamo l’articolo che il nostro Senator scrisse quel martedì da inviato della Gazzetta dello Sport agli Us Open che erano slittati al lunedì

La vita è tutta un flash-back, vero o presunto. Tanto che a volte confondiamo sogno e realtà, mescolando storie e facce, ora crediamo di aver già visto una certa situazione, ora invece ci sbagliamo clamorosamente, e altre volte non riconosciamo una realtà giù vista. Che potrebbe salvarci da un’amara delusione. Oggi, 11 settembre, guardando il post di un amico che invitava a ricordare dove eravamo quell’11 settembre del 2001 mentre i terroristi islamici abbattevano le Torri Gemelle di New York, mi è venuto di rispondergli, sicuro che il mio ricordo sia unico, fra quelli che raccoglierà. Perché io c’ero, io ho avuto la fortuna, con la “mia” Gazzetta dello Sport, di essere inviato agli Us Open di tennis a New York che erano slittati a lunedì per pioggia, per cui quel maledetto martedì mattina 11 settembre stavo preparando i bagagli nella mia camera d’albergo per prendere poco dopo l’aereo per casa, quando fui folgorato dalle prime immagini della tragedia.
Per chi ha voglia di sapere che cosa raccontai il giorno dopo allego quelle mie sensazioni indimenticabili, cui ne seguirono altre, per dieci giorni nella città elettrica che era diventata dead city, piena di poliziotti a ogni angolo di strada, piena di fumo, tristezza, silenzio e con un odore terribile, indimenticabile. Di morte.
NEW YORK – Turista per caso, curioso nell’anima, quando ho visto alla tv il secondo aereo che  virava direttamente contro la seconda torre gemella, sono sceso in strada e ho cominciato a correre down town. E’ quello che fanno tutti gli stranieri in visitano Manhattan, solo che gli altri guardano in alto, ai grattacieli, io guardo davanti, lungo la lunga arteria, la Fifty Avenue, dove nasce un fumo scuro, cattivo.Inutile protendere il braccio per un taxi, incupite cercare scampo nella metropolitana, inutile anche cercare qualcuno col cellulare: la città è paralizzata, le vie di movimento sono bloccate, compresi tunnel ed aeroporti. Nell’aria solo rumori di elicotteri, sirene, radio ad altissimo volume che raccontano la tragedia a crocicchi di persone terrorizzate.
   Dalla 42a alla 22a Strada è già una bella camminata, tre-quattro chilometri. Ma la mia attenzione è sempre lì, verso il fumo, verso quello che era il simbolo della produttività della città. Il simbolo che, all’improvviso, vedo crollare davanti ai miei occhi, con i vetri che esplodono e pezzi di metallo che si accartocciano, fino ad appiattirsi al suolo come si vede nei film. “Implosione”, dice uno. “La seconda torre non c’è più”.
   Ricomincio a correre, ormai sono arrivato a Sono. A Chambers Street passano solo poliziotti, vigili del fuoco, medici e giornalisti: mi consegnano dei guanti, una mascherina, ghiaccio per bagnarmi gli occhi e una benda con cui coprirmi naso e bocca. Mi tuffo in quel paesaggio lunare, e finisco presto all’inferno insieme ai volontari, ai fotografi e agli altri cronisti. A Park Street non respiro quasi più per il fumo acre nell’aria, quei dieci centimetri di polvere misti a fogli di carta sparsi dappertutto, sulla strada, fra auto e bus carbonizzati. All’incrocio fra Champers e Barclay sono si avanza proprio più: a un centinaio di metri dal World Trade Center c’è solamente un mezzo corazzato, ci sono solo omoni in tuta ignifuga e fumo. Tanto fumo.
   “IO so che cosa è la guerra, e questa è la guerra”, dice un vigile del fuoco, Brandon Handway, che emerge ansimando dal nulla. “In quattro anni è la prima volta che faccio tardi, avevo il trasloco – racconta in lacrime Adnan Khawata, immigrato dal Pakistan, che lavorava alla Kasadel Inc: quello era il mio ufficio. Ma qualcuno si è salvato?”. Un volontario scorge una donna di colore accasciata contro un’auto, ma non riesce a convincerla a venir via. “Andate dentro, salvateli, io sono corsa fuori e quando mi sono girata, non c’era più nulla. Sto bene, sto bene, andate dentro”.
     Ma non si può: un’ora dopo le esplosioni c’è ancora troppo pericolo. “Il gas, gli edifici vicini, quel grattacielo – come si chiama, All Trade5? – che è a rischio crollo. E poi guarda i vetri rotti, lassù, in alto, se ne cade uno, addio. Sai quanti sono giù morti dei nostri dei primi soccorsi?, spiega l’agente Gravelli, figlio di un emigrante napoletano.
   Ha del miracoloso, invece, la storia di Lucio Caputo, un italiano presidente del Food and Wine Institute of New York. Il suo ufficio era al 76° piano di una delle due Torri e quando ha visto la sua stanza invasa dal fumo è scappato sulle scale. S’è fatto di volata una trentina di piani senza intralci, poi al 50° piano ha incrociato i pompieri che salivano, pompe alla mano e aiutavano gli inquilini che cercavano di mettersi in salvo. Uno slalom veloce, una fuga verso il parcheggio nel garage sotterraneo e poi solo duecento metri più in là, finalmente una sosta: per telefonare alla moglie  e rassicurarla. Era proprio al telefono con lei, quando un orribile boato ha coperto la sua voce: dietro di lui la seconda torre stava crollando.
   Frattanto, un pazzo con la croce (vera) sulle spalle comincia la sua nenia annunciando la fine del mondo. Un energumeno sputa contro un taxi: “Arabi schifosi, via dalle nostre strade”.
    Raccolgo un primo foglio da terra: è – era – una lettera commerciale. Ne prendo un’altra: istruzioni per software. Ne afferro un’altra ancora: sei righe scritte a mano da Joselt Ortiz della Stuyvesant Global Studies. “Quando sono entrato nella high school tutti mi avevano detto che sarebbe stata dura. Mi hanno fatto paura, ma una volta cominciato mi sono accorto che ci si diverte molto e non è così duro”.
    Il tema s’interrompe, ma la vita continua. Mamma, ho visto anche questo
Tags: 11 settembre 2001, il ricordo, vincenzo martucci

Condivisione...

Articolo precedente
Mercoledì 12 la presentazione dell’ebook Donne di Sport  
Articolo successivo
In piedi, passa Raikkonen, l’ultimo anello con la Ferrari dell’epoca d’oro!

Nota sull’autore: Vincenzo Martucci

Napoletano, 34 anni alla Gazzetta dello Sport, inviato in 8 Olimpiadi, dall’85, ha seguito 86 Slam e 23 finali Davis di tennis, più 2 Ryder Cup, 2 Masters, 2 British Open e 10 open d’Italia di golf. Già telecronista per la tv svizzera Rsi; Premio Bookman Excellence.

Post correlati

  • Da Jordan a Curry a Maldini: il vecchio sogno, irrealizzabile, del campione
  • Dal 9 alla Norvegia allo zero a bob, freestyle e skeleton azzurri. Un’Olimpiade senza 10…
  • Rosolino: “Concretezza ed ingegno: che bravi i nostro tecnici! Il più fenomeno? Vergani”
  • Barcolana, la corsa in barca a vela più pazza del mondo
  • Ignoranza, leggerezza, negligenza o realtà? Il rugby torna a placcare il doping…
  • Chicco e Valentino, quando il secondo posto vale davvero il primo 

Ultimi articoli

  • Il braccio sinistro della legge
  • Tutto è possibile, ma solo per chi crede in se stesso e negli altri…
  • L’Union(e) fa la forza, alla scoperta dell’Union Berlin e dell’Union St. Gilloise (II parte)
  • Indian Wells, Sinner vola agli ottavi e sfida Wawrinka. Nel frattempo Alcaraz fa 100!
  • Costretta a battere il Galles, l’Italrugby cede alla pressione
  • La storia si inchina alla Shiffrin che supera Stenmark!

Sport Senators

Le grandi firme di 45 Olimpiadi, 8 mondiali di calcio, 86 tornei del Grande Slam, 13 Tour de France, 43 giri d’Italia, 20 GP di Formula 1, 31 Mondiali di Atletica leggera, 100 campionati Mondiali ed Europei di nuoto, ginnastica, scherma, judo, e tanti altri sport.

Accounts Social

  • Facebook
  • Twitter

Newsletter

Vuoi ricevere la nostra newsletter?
Iscriviti!

Cerca

Sport Senators © 2018 - All Rights Reserved | Testata registrata al Tribunale di Milano. Registrazione n.168 del 30.05.2018. Direttore responsabile Vincenzo Martucci

  • Home
  • Chi Siamo
  • Firme e Voci
  • Sport
  • Accadde Oggi
  • Galleria
  • Sport per Tutti
  • TennisVintage
  • Privacy policy

Continuando la navigazione, accetti l'utilizzo dei cookie da parte nostra. maggiori informazioni

Questo sito utilizza i cookie per fornire la migliore esperienza di navigazione possibile. Continuando a utilizzare questo sito senza modificare le impostazioni dei cookie o cliccando su "Accetta" permetti il loro utilizzo.

Chiudi