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La testimonianza

Grazie, Pittera: noi tecnici italiani d’esportazione siamo i più bravi perché troviamo le soluzioni

Da Sport Senators 12/05/2017

 Il decano, Silvano Prandi, neo campione a Chaumont, in Francia, 33 anni dopo l’ultimo tricolore, nell’84 a Torino, ci guida nell’universo dei tanti italiani che allenano all’estero: “Pittera ha cambiato la mentalità avviando il processo culturale della nostra pallavolo, così siamo arrivati all’avanguardia, partendo dalla preparazione fisica e dallo scouting. E oggi quanti siamo in giro per il mondo? Alle ultime finali di Champions League c’erano 3 allenatori italiani su 4 squadre”  

Quando mi parlano dei tanti, bravissimi, allenatori italiani che lavorano all’estero, io specifico sempre che dobbiamo parlare piuttosto di tecnici, perché sotto questa voce rientrano non soli gli allenatori propriamente detti, ma anche preparatori atletici e scouter/tattici, cioè i soggetti che lavorano con le statistiche e programmano le situazioni tattiche da allenare. Così, oggi, siamo presenti in quasi tutte le nazioni, anche in Australia e in America. Io personalmente, dopo due anni in Bulgaria, alleno da quattro in Francia, ora sono a Chaumont, nella macro regione che comprende Champagne, Alsazia, Lorena e ha come capoluogo Strasburgo. Sono qui con mia moglie, mentre mio figlio gioca e ha un’attività a Cuneo.

Questa tendenza dell’allenatore italiano io non la considero una moda, ma una tendenza, una garanzia di qualità: gli italiani, a confronto con i colleghi stranieri in generale, sono semplicemente i più bravi. Lo so perché ho vissuto tutta quest’era di grandissimi cambiamenti, a cominciare dagli anni 60-70, quando l’Italia si sentiva inferiore nei confronti della pallavolo mondiale, finché coi Mondiali  del’78 con Carmelo Pittera e con un pizzico di presunzione con Silvano Prandi all’Olimpide dell’84 c’è stata la svolta.

Pittera ha dato l’impulso, da nuovo direttore tecnico della federazione, ha iniziato il rinnovamento delle idee, della cultura, partendo dalla preparazione fisica. Perché, all’inizio, ricordo benissimo, come ci appoggiassimo ad altre federazioni, come la Federatletica e la Federginnastica, mentre il nostro sport ha le sue specificità. Così si è cominciato a creare una classe di preparatori atletici di pallavolo. Dopo di che è apparso Emilio Spirito, col suo computer, che ha cambiato il modo di fare lo scouting, che prima era sostanzialmente di tipo giornalistico, coi dati di ricezione, schiacciate, il classico tabellino. Mentre lui ha dato vita alla Data Project di Bologna, un prodotto d’eccellenza italiana, non solo della pallavolo, cui tutte le nazioni fanno riferimento. Da lì è nata una vera e propria scuola di scouting per elaborare dati precisi da cui evidenziare le qualità della nostra squadra per studiarne e limitarne i deficit. E fare altrettanto con gli avversari, per lavorare sulle loro debolezze.

Negli anni 70 è nata quella straordinaria squadra, la Klippan Torino, la prima squadra occidentale a vincere una coppa europea nel 1980 e quattro scudetti consecutivi, con Vullo, Dametto, Bertoli, De Luigi, Lanfranco, Rebaudengo. E che poi era in pratica anche la nazionale italiana. Sono andato in giro per l’Europa in sacco a pelo, guardavo, facevo riprese video e studiavo, poi in Italia organizzavamo corsi, scambiavamo idee: così la nostra cultura ha cominciato a crescere. Skiba ci ha dato una mano ma ha trovato però una squadra tirata su da Cuco, il vice di Pittera, la generazione dei fenomeni di Zorzi, Bernardi, Cantagalli, Galli, Tofoli, Giani, Lucchetta, Gardini, Bracci… Poi nel 1989 è arrivato Velasco che ha preso quella nazionale e l’ha portata a all’altissimo rendimento che sappiamo, a livello mondiale. Oggi la nostra pallavolo vive ancora di rendita grazie al grande scambio e alle modifiche culturali di quell’epoca.  Abbiamo fatto uno scatto rispetto a tutti, e gli altri hanno capito che eravamo più avanti: ricordo che quando allenavo Cuneo, l’allenatore russo Vladimir Alekno venne a vedere i miei allenamenti e si portò via parte del mio staff per utilizzarlo all’Olimpiade di Pechino 2008, a cominciare da Camillo Placì, che era il mio scooter, il mio braccio operativo. Ora è il coach di quello Zenit che ha appena vinto per la terza volta di fila la Champions League e fa un successo eccezionale davanti a 17mila persone a Roma, anche grazie agli atleti fantastici che qualsiasi allenatore vorrebbe avere: parliamo della squadra più ricca del mondo, con stipendi da un milione di euro.

Noi italiani siamo ovunque, si è visto nelle coppe. Nella Champions League, a parte lo Zenit col mio ex vice, e ai due club italiani con due coach italiani, la quarta, Berlino, aveva pure una guida italiana. Nella Champions femminile, le turche che sono arrivate prime sono allenate da un italiano, davanti a Conegliano, con coach italiano, e terze le altre turche, ancora con un allenatore italiano. E così anche nelle coppe minori. Perché emigrare? Perché siamo bravi e perché da noi non ci sono tutti questi posti di lavoro, eppoi facciamo esperienze uniche, eccezionali, confrontandoci con realtà diverse, acquisendo nuove informazioni e garantendoci nuovi stimoli, e trovando quindi nuove spinte per andare avanti e migliorarci ancora. Curioso: quand’ero in Italia i colleghi stranieri venivano a vedere i miei allenamenti e facevamo tanti corsi, qui in Francia, non mi sfruttano come penserei, non esiste la cultura dello scambio di informazioni. Anche se noi allenatori continuiamo ad imparare ogni giorno dai nostri giocatori: sono loro i veri maestri. Io, ad esempio, ho in squadra un ceco, un argentino, un tahitiano, un camerunese (nella pallavolo italiana non abbiamo ancora gli africani), un ragazzo de La Reunion, Boyer, quando si è presentato confesso che non sapevo dov’era sulla cartina geografica, ma già so di certo che questo ragazzo del ’96 sarà uno dei più forti del mondo. E, culturalmente so che trattare persone di estrazione così diversa, è una cosa molto bella per me. Che resto fiero ed orgoglioso di qualsiasi cosa sia italiano, sia chiaro, ho allenato anche la nazionale per 4 anni e ho fatto 37 campionati da noi. Quando ho giocato contro la squadra azzurra contro Anastasi agli Europei 2009, ero preoccupato, non sapevo come avrei reagito, da allenatore della nazionale bulgara, e invece, dopo la grande emozione ascoltando l’inno di Mameli, poi in partita è subentrato solo il fatto tecnico e ho vinto, contento, per 3-0. Io sono un professionista, ho firmato un contratto col club, ho preso un impegno e devo rispettarlo, il mio compito è solo quello.

Eppoi ci sono anche grandi stimoli da parte del pubblico. In Polonia, che oggi insieme alla Turchia al femminile, è il campionato d’èlite, ci sono 10-12 mila spettatori in ogni palazzetto, tre anni fa, l’esordio del Mondiale allo stadio di calcio ne ha avuti 65mila e per il prossimo Europeo di settembre si punta ai 70mila. Infatti in Polonia ci sono oggi cinque allenatori italiani, e Fefé de Giorgi dopo aver vinto il secondo scudetto è passato alla guida della nazionale. Coi sono anche Anastasi, Gardini…., c’è un livello molto alto di retribuzione per gli atleti, con stipendi di 350mila euro.

Come in Italia, anche all’estero il ruolo dell’allenatore è rimasto solo quello, in Francia, dove girano un po’ meno soldi, qualche club utilizza il coach anche come manager, ma è cosa rara. Anche perché fare l’allenatore non è facile. Dopo aver acquisito la maggior quantità possibile di dati e di informazioni deve utilizzarla nel modo appropriato, cioè farla loro comprendere, ed allenarla al meglio perché i giocatori possano utilizzarla quando se la ritroveranno in partita. Quali e quante informazioni trasmettere, e come? Qui gli allenatori devono essere davvero bravi, come dei veri e propri maestri di scuola, altrimenti gli studenti, cioè i giocatori, vanno in confusione quando si trovano davanti alle situazioni di gioco.

Sono problemi che ho già verificato anche tanti anni fa con il mio amico Sandro Gamba che vedono allenare la squadra di basket prima o dopo di me a Torino: il basket è partito prima nel suo processo culturale, la pallavolo dopo, non me la sento di dire che li abbiamo superati, ma so che abbiamo fatto die grandissimi passi avanti, grazie a Carmelo Pittera che ha cambiato davvero la mentalità di uno sport, come Doug Beal che ha trasformato gli Stati Uniti portandola dalla undicesima potenza del mondo alle prime tre. I paesi dell’Est, che erano all’avanguardia, rifiutavano l’idea di essere stati sorpassati, ma poi anche loro hanno inserito nel sistema allenatori statunitensi ed italiani ed ora eccoli tornati protagonisti. Io, da italiano, ne sono orgoglioso, anche perché so che, da questo scambio culturale, ce ne avvantaggiamo tutti. In qualsiasi campo della vita, la concorrenza ad altri livello alza il livello di qualità.

 

  • Silvano Prandi (70 anni a novembre), “Il professore” perché dapprincipio allenava e insieme insegnava Educazione fisica a scuola, ex giocatore, ha allenato per 36 anni in serie A (quattro scudetti, una Champions League), bronzo olimpico con la nazionale italiana ’84, ha guidato anche quella bulgara e da 4 anni in Francia (ha appena portato al primo scudetto lo Chaumont, proprio come fece nel ’79 col Cus Torino).

ALLENATORI ITALIANI ALL’ESTERO

Squadre maschili

Andrea Anastasi: Gdansk (Polonia)

Andrea Gardini: Zaksa (Polonia)

Ferdinando De Giorgi: nazionale Polonia

Andrea Giani: nazionale Germania

Silvano Prandi: Chaumont (Francia)

Giampaolo Medei: Tours (Francia)

Roberto Serniotti: Berlin (Germania)

Federico Cipollone: Rottenburg (Germania)

Piero Molducci: Almeria (Spagna)

Squadre femminili

Nicola Vettori: Torun (Polonia)

Giovanni Guidetti: Vakifbank Istanbul e nazionale Turchia

Massimo Barbolini: Eczacibasi (Turchia)

Marcello Abbondanza: Fenerbahce (Turchia) e nazionale Canada

Giuseppe Cuccarini: nazionale Israele

Alessandro Chiappini: nazionale Slovenia

Carlo Parisi: Le Cannet (Francia)

Giulio Bregoli: St.Raphael (Francia)

Roberta Rinaldi: Tenerife (Spagna)

Luca Chiappini: Hameelinna (Finlandia)

Marco Angelini: Innsbruck (Austria)

Nicola Negro: Csm Bucarest (Romania)

Alessandro Beltrami: Calcit Lubiana (Slovenia)

Eraldo Buonavita: Cheseaux (Svizzera)

Marco Amiens: Lugano (Svizzera)

Francesco Cadeddu: Cartagine (Tunisia)

  • a cura ufficio stampa Fipav.
Tags: Grazie, Pittera: noi tecnici italiani d’esportazione siamo i più bravi perché troviamo le soluzioni

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Nota sull’autore: Sport Senators

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