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Tennis

Fermateli! No, non fermateli! Wimbledon esagera: “gli alberi” vanno avanti troppo, Rafa e Nole troppo poco….

Da Vincenzo Martucci 14/07/2018

Il regolamento dell’All England Club non contempla il tie-break al quinto set e così Anderson-Isner va avanti per 6 ore 35 minuti (nuovo record del torneo), ma soprattutto l’ultimo set dura 175 minuti. Poi la finale anticipata, Nadal-Djokovic deve fermarsi dopo tre set!

Irreale, indimenticabile, anche un po’ assurdo. Come definire il venerdì delle semifinali maschili di Wimbledon? Hanno cominciato i bombardieri giganti – “servono da così in alto che sembrano tirare dagli alberi”, li fotografava anni fa Lleyton Hewitt – il sudafricano Kevin Anderson (2.03) e lo statunitense John Isner (2.08) che, uguali nel gioco essenziale sul tema servizio e dritto, vicinissimi nella qualità e anche nella crescita, via Università Usa – nel 2007 si affrontarono addirittura nella finale per il titolo Ncaa vinta da Anderson – fanno match allo specchio per 6 ore 36 minuti, finché l’alfiere Lotto non la spunta su quello Fila, raggiungendo la seconda finale Slam dopo gli Us Open di settembre. I record sono infiniti quanto le polemiche. E’ la semifinale più lunga di Wimbledon – da Djokovic-Del Potro 7-5 4-6 7-6 6-7 6-3 in 4 ore e 44 minuti, la seconda partita più lunga dopo quella di 11 ore e 5 minuti, diluiti in tre giorni, nel 2010, sempre ad opera di Isner, con la concreta partecipazione del francese Mahut, con l’americano che, strada facendo, ritocca a quota 214 il primato assoluto di 212 ace nel torneo fissato da Goran Ivanisevic nel 2001, ma ci riesce con una partita in meno.

   Onore ai guerrieri. Bellissimo l’epilogo, con Anderson felice che però non esulta per rispetto verso l’amico Isner. Ma lo spettacolo tennistico non è di certo esaltante, né divertente. La domanda di tutti, di giocatori che chiedono da tempo un cambiamento al pubblico, è: perché il quinto set solo a Wimbledon non ha il tie-break e si estende ad oltranza, fino a toccare, da solo, i 175 minuti di quel parziale decisivo fra i due bombardieri? Una partita così lunga segna comunque il destino, soprattutto trattandosi di omoni così, alti e pesanti, dalla muscolatura e dall’io tanto particolare, da farli esprimere solo oltre i 30 anni.
   “Rules are rules”, risponderebbero anche un po’ sarcastici gli inglesi. Che semplicemente se ne fregano del resto del mondo e vanno da sempre avanti per la propria strada. “Brexit docet”. E’ talmente vero che la semifinale successiva, la finale anticipata, com’è stata definita da tutti la riedizione della sfida ad alto livello più frequentata di sempre del tennis maschile, fra Nadal e Djokovic, a quota 52 puntate (bilancio 26 Nole, 25 Rafa), comincia dopo le 20 ed è sospesa dopo il terzo set. Non piove, il Centre Court è difeso dal meraviglioso tetto illuminato a giorno, lo spettacolo è sontuoso, e ancor più apprezzato dopo lo sterile bum-bum precedente, l’equilibrio è altrettanto sostenuto per 2 ore 54 minuti, eppure la partita viene interrotta d’ufficio alle 23.02. Perché? I paradosso è che la partita precedente l’avrebbero voluta finire tutti prima ma il regolamento non l’aveva concesso, stavolta questa partita l’avrebbero valuta continuare tutti e invece ancora il regolamento, davvero unico di Wimbledon, non l’ha consentito. Perché alle 23 scatta il coprifuoco dell’orario locale sancito fra l’All England Club e la comunità di Wimbledon. Così i giocatori impacchettano le proprie cose fra i mugugni di disapprovazione del pubblico e si danno appuntamento alle 13 di oggi, prima della finale donne fra Serena Williams ed Angelique Kerber. Ricordando bene, tutti e due, l’ultima semifinale disputata di sabato ai Championships, nel 2007, proprio con protagonisti lo spagnolo e il serbo, col secondo che si ritirò per le terribili vesciche sotto il piede sinistro, sul 3-6 6-1 4-1.
     Peccato davvero per questo spettacolo interrotto sul 6-4 3-6 7-6 (9) a favore del rigenerato Djokovic. Che esce meglio dai blocchi, dimostrando di leggere meglio il gioco di Nadal, e di saper contrastare col rovescio il micidiale dritto a uncino avversario. Ci riesce bene nel primo set, ricordando il “cannibale” di due-tre anni fa, smarrito dietro problemi mentali e fisici. Ma nel secondo, dopo aver fallito più occasioni, rimette in partita Rafa. Che prende a martellare inesorabilmente col suo colpo forte, spazzando il longilinea, piazzando uno strike dietro l’altro come un giocatore di bowling provetto: è assolutamente ingiocabile e poi si catapulta velocissimo a rete con impeto ed efficacia, chiudendo la volée e portando dalla sua parte gran parte del pubblico. Nole è tesissimo, ma reagisce da campione, va sotto 5-2, manca altre chance, cede il set, ma tiene, di rabbia, di orgoglio e, soprattutto, di servizio. E, nel terzo set, una volta agguantato il 6-6 e quindi il tie-break, anche quello equilibratissimo, dopo aver salvato tre set point, trasforma il secondo set point, forzando l’errore di rovescio dello spagnolo.
   Che succederà alla ripresa? Quest’ultimo giallo tennistico poteva essere pane per Agatha Christie o Sherlock Holmes. Che, inutile ricordarlo, erano inglesi, come le famose “rules” e come la parola deadline (scadenza), entrata ormai nel nostro lessico comune. Rafa è Rafa, è tornato numero 1, riemergendo dall’ennesimo infortunio, ha rivinto il Roland Garros addirittura per l’undicesima volta ricavandone talmente tanta fiducia da rituffarsi alla conquista di Wimbledon, lo Slam più avaro con lui, dov’è stato protagonista l’ultima volta, coi successi del 2008 e 2010, in cinque finali. Djokovic riappare in una semifinale Slam dopo quasi due anni, dagli Us Open del settembre 2016, quando si arrese a Stan Wawrinka nel 2008 e 2010, ma ha trionfato ai Championships tre volte in quattro finali negli anni d’oro 2011-2015.
    La sensazione è che Rafa sia un toro scalpitante e a tratti irrefrenabile, Nole non sembra mai ugualmente inviolabile come ai tempi belli, ma riesce ad imbavagliare la prorompente vitalità del sempre più sorprendente avversario. Peccato che alla ripresa non si giocherà col tetto, quindi indoor, in condizioni che favoriscono il serbo. E quindi il pronostico torna a favore dello spagnolo. Che pure deve vincere due set contro un avversario determinato e lucido come non mai da due anni a questa parte. Una cosa è certa: “rules are rules”, come dicono gli inglesi ma, dopo questo incredibile e anche un po’ assurdo venerdì, il tennis torna nel suo alveo normale.
VINCENZO MARTUCCI
vincenzomartucci57@gmail.com
Tags: isner anderson, semifinale, Wimbledon

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Nota sull’autore: Vincenzo Martucci

Napoletano, 34 anni alla Gazzetta dello Sport, inviato in 8 Olimpiadi, dall’85, ha seguito 86 Slam e 23 finali Davis di tennis, più 2 Ryder Cup, 2 Masters, 2 British Open e 10 open d’Italia di golf. Già telecronista per la tv svizzera Rsi; Premio Bookman Excellence.

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