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Sport

Vietato tutto. Anche mimare gli occhi a mandorla a un giudice di linea giapponese!

Da Vincenzo Martucci 16/09/2017

I tanti episodi disciplinari sul campo da tennis si arricchiscono di un singolare avvenimento, in coppa Davis: aspettiamo la sentenza contro il brasiliano Clezar

Non si può tante cose, sul campo da tennis. Di certo, non si può afferrare con forza la racchetta fra le gambe col manico verso il mondo e scuoterla vivacemente mimando chissà che, come faceva quel gentleman di Jimmy Connors. Non ci può dire all’avversario di colore, peraltro famosissimo ed educatissimo come Arthur Ashe che non lo vedi bene con l’oscurità, di là del net, come fede Ilie Nastase. Non si può dire all’arbitro che il giudice di linea ha qualcosa di molto evidente in comune col proprio avversario, e che quindi, magari, l’aiuta, per il semplice fatto di avere la pelle nera, come fece agli Us Open Lleyton Hewitt, poi spiegandosi: “Non sono razzista”. Non si può tirare una pallina a un giudice come quello sconsiderato di Denis Shapovalov a febbraio in coppa Davis, che ha pure centrato l’arcata oculare dell’arbitro costringendolo a farsi operare. Non si si può di certo ingiuriare il giudice sul seggiolone, men che meno se donna, come abbiamo visto recentemente agli Us Open, sia pure in un lingua che conosciamo da quando siamo nati. Non gli si può dire: “Se il più corrotto di sempre”, come fece Jeff Tarango prima di andarsene dal campo a Wimbledon un attimo prima che la moglie schiaffeggiasse il giudice francese (che poi è sparito di scena). Non si può avvicinarsi a un giudice di linea e minacciarlo di fargli ingoiare a palla giù giù fino in fondo a quel suo pancino, anche se sei Serena Williams e gli Us Open sono casa tua. Ma certo conquistò molti favori negli spogliatoi, quando disse in campo alla giudice donna Asderaki: ”Non guardarmi, se mai cammineremo sulla stessa strada, stai dall’altra parte. Sei totalmente fuori di testa. Sei un “hater”, poco attraente dentro. Che perdente”. Non si può scuotere il seggiolone dell’arbitro, come fosse un terremoto, come fece Adriano Panatta, da capitano di un indimenticabile Francia-Italia, dopo il mancato intervento di un giudice australiano non certo cuor di leone (che poi ha fatto carriera). Non si può certo suggerire all’arbitro che abbia particolari inclinazioni sessuali, come sbottò Goran Ivanisevic, o dargli dell’idiota, come si espresse John McEnroe. Che, comunque, agli Australian Open disse anche peggio per farsi addirittura espellere da un Slam. Non si può scalciare per la stizza la pedana pubblicitaria dove si siede un giudice di linea, se poi i pezzi di compensato feriscono indirettamente il malcapitato: si finisce espulsi come successe al non simpaticissimo argentino, David Nalbandian. Non si può nemmeno invitare l’arbitro ad accelerare il rientro in campo perché noi non ne può più, vuole solo perdere ed andarsene a casa prima possibile, come ha fatto recentemente Nick Kyrgios. Non si possono spandere monetine davanti al seggiolone dell’arbitro, come se quello fosse in vendita o si fosse venduto chissà che, come ha fatto Daniil Medvedev (recidivo contro la classe arbitrale) all’ultimo Wimbledon.

 

Non si possono fare tante cose davanti all’arbitro su un campo da tennis. Ma che ne pensate del tennista brasiliano Guilherme Clezar che, stizzito per una chiamata di un giudice di linea giapponese, durante Giappone-Brasile di Davis di venerdì a Osaka, l’ha guardato male, stringendosi con l’indice i due lati degli occhi? L’accusa è: “Gesto discriminatorio”. La Federazione mondiale, dopo aver visionato attentamente il filmato del fattaccio, sta discutendo con quella brasiliana sulla pena…

Vincenzo Martucci

vincenzomartucci57@gmail.com

Tags: arbistro, clezar, Coppa davis, tennis, vincenzo martucci

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Nota sull’autore: Vincenzo Martucci

Napoletano, 34 anni alla Gazzetta dello Sport, inviato in 8 Olimpiadi, dall’85, ha seguito 86 Slam e 23 finali Davis di tennis, più 2 Ryder Cup, 2 Masters, 2 British Open e 10 open d’Italia di golf. Già telecronista per la tv svizzera Rsi; Premio Bookman Excellence.

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