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Pallacanestro

Basket, Milano scudetto meritato, ma non è stata una grande stagione

Da Luca Chiabotti 18/06/2018

L’Olimpia ha vinto il titolo ma è anche la squadra che, nella stagione, ha perso più del 40% delle partite disputate: è un problema di tutta la nostra pallacanestro il cui livello è crollato a livello internazionale negli ultimi anni. E la cattiva Eurolega pesa anche sulla considerazione della squadra neo campione d’Italia

Sono cresciuto alla scuola del mitico Aldo Giordani. Diceva una cosa apparentemente molto banale: chi vince merita sempre di vincere. Il basket non è il calcio dove, dopo che hai colpito 4 pali, puoi perdere per l’unico tiro in porta del tuo avversario. Forse è il caso di ricordarlo, in questo momento di assoluto dominio economico dell’Olimpia Milano che fa ritenere quasi scontata la conquista del suo 28° scudetto, il terzo in 5 anni. Di certo Trento, per il roster più corto anche per l’infortunio di Flaccadori, le grandi rimonte, il buttarsi su ogni pallone, la gara-5 persa a Milano con la palla del 3-2 nella serie stoppata da Goudelock sulla sirena, ha suscitato negli appassionati non milanesi emozioni più forti. Ma, alla fine, analizzando la serie, l’EA7 ha disputato tre gare nettamente superiori a quelle degli avversari. Gara-6, decisiva e in trasferta, è stata senza storia grazie a una qualità di gioco molto elevata, col 51.4% da tre e 18 triple realizzate, non scaturite dal semplice talento individuale dei suoi giocatori ma costruite coralmente. Altro che spirito del campetto ritrovato, come il giornale più importante titolava dopo lo scudetto: siamo di fronte all’esatto opposto, la quadratura di un cerchio tecnico inseguito per tutta la stagione.
Prendendo con bene d’inventario le dichiarazioni post scudetto dei vincenti, ma chi vince acquista anche il diritto di autogasarsi e esagerare sui propri meriti anche se rimasti nascosti per buona parte della stagione, adesso per Milano comincia il difficile visto che ha già costruito la squadra per il prossimo campionato rivoluzionandola nel settore fondamentale, quello delle guardie, con l’arrivo di Amedeo Della Valle, Mike James, Nemanja Nedovic deciso già tempo fa, quando evidentemente coach e società non erano contenti di quello che stavano vedendo in campo. Da quel momento, Andrew Goudelock, mvp della finale, è stato fatto giocare da prima punta e ha risposto come tale, dopo essere già dato per partente. E’ una situazione analoga a quella del 2014, quando Milano decise di non rinnovare il contratto di Keith Langford (e in quel caso, anche di Curtis Jerrells stavolta confermato) per motivi simili a quelli di Goudelock, snaturando la squadra che non solo aveva riportato il titolo a Milano dopo 18 anni ma addirittura sfiorato la qualificazione alle Final Four di Eurolega. La stagione successiva fu un disastro paragonata alle ambizioni del club. Ma tenendo Goudelock, l’anno prossimo Milano avrebbe sette guardie (8 magari con Abass, 9 con Fontecchio) tutte competitive e con una chimica molto complicata. Il che, visto che per raddrizzare la stagione, Pianigiani ha dovuto mandare in tribuna Theodore e M’Bahie, e togliere di fatto dalle rotazioni, Abass, Pascolo, Cusin, la dice lunga sulla difficoltà di gestire squadre troppo lunghe anche di fronte a stagioni particolarmente pesanti per numero di partite e viaggi. E poi considerate che fino alla finale, dopo più di 70 gare disputate assieme, Pianigiani ha lamentato ancora la mancanza di vissuto della sua squadra e il fatto che fosse stata rinnovata anche a stagione in corso con l’arrivo di Kuzminskas e Jerrells. Dare in mano la squadra a giocatori completamente nuovi potrebbe portare a ritrovarsi con gli stessi problemi per tutta la prossima stagione. Vedremo.
Il domandone finale è: come mai al di la dei 10 che si sono dati all’Olimpia per la stagione appena conclusa, la percezione dell’anno dell’EA7 presso il pubblico italiano non è altrettanto splendente? Perché Milano spende quattro-cinque volte di più degli avversari più ricchi in Italia? Nella maggioranza dei casi, come è logico, le squadre che vincono sono sempre al top come spesa in una manifestazione… Oppure è perché tutti sono invidiosi e ce l’hanno con l’Armani? Mi sembra una fesseria, punto. Io ho elaborato una teoria, spero solo apparentemente banale. In Italia non siamo ancora abituati a considerare grandi squadre quelle che perdono tante partite. Non parlo di campionato di serie A ma di stagione: Milano ha chiuso la campagna 2017-2018 con un bilancio complessivo di 44 vinte e 32 perse, cioè col 57.8% di vittorie: meno di 6 su 10 gare. E, cosa da non sottovalutare, delle 32 sconfitte, facciamo 31 togliendo quella in campo neutro di coppa Italia, 14 sono arrivate al Forum di Assago, in casa, amareggiando pesantemente il proprio pubblico. Non è un problema di Milano quanto della pallacanestro italiana: la storia ci aveva sempre abituato a squadre campioni d’Italia capaci di recitare un ruolo importante anche in Europa, magari senza mai arrivare a vincere il trofeo più importante, come Treviso, la Fortitudo o Siena, ma comunque competitive, emozionanti. Dieci anni fa, la Siena di Pianigiani chiuse la stagione con un bilancio di 59-12 (83%), come la Virtus di Messina 20 anni fa, eccetera, eccetera. Non ci siamo ancora abituati al trend negativo del nostro movimento a livello internazionale, non riusciamo a vivere una stagione separando i risultati manifestazione per manifestazione. Questo discorso probabilmente non vale soltanto per quei tricolori vinti da squadre inaspettate, come Sassari del 2015 o Venezia del 2017. E’ un “problema” che è cominciato col declino economico di Siena, chiamiamolo così. Eravamo soliti a vedere la Mens Sana dominare in Italia ma, anche, lottare fino alla fine in Europa. Una tradizione, per le squadre italiane, che durava dagli anni Settanta. Ora i tempi sono cambiati, non siamo più competitivi ad alto livello internazionale con nessun club: i tricolori sono i re di un piccolo regno. Ci sono mille motivi per cui ciò è accaduto e non è questo il momento di parlarne, ma ritenere che questo non pesi sulla considerazione tecnica e la percezione emotiva presso il pubblico della quale godono le squadre italiane è una utopia. Tutto questo per dire che la Milano di oggi, se vuole davvero essere apprezzata quanto la grande Olimpia del passato, deve considerare come un obbiettivo la totalità della sua stagione: si può perdere la coppa Italia che è un evento fine a se stesso, non arrivare per tre anni di fila sul fondo in Eurolega. Nessuno chiede all’Armani di vincerla, ma di competere sì. Solo così i suoi successi in Italia avranno, agli occhi di tutti, il valore e la considerazione che Milano, giustamente per gli sforzi non solo economici che ha compiuto in questi anni, pretende.
Luca Chiabotti
Tags: Basket, olimpia milano, scudetto, stagione 2017 2018

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Nota sull’autore: Luca Chiabotti

(La Firma) Inviato a 6 Olimpiadi, 7 mondiali e 15 europei basket, oltre 200 partite dello sport che è il suo grande amore ed ha caratterizzato la sua carriera, 35 final four, finali italiano del 1978. Esperto anche di sport americani, dal football al baseball.

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1 Commenti

  1. Milano, scudetto meritato ma non è stata una gran stagione (di Luca Chiabotti) - basketnet.it
    20/06/2018 at 15:28

    […] Sportsenators.it a cura di Luca […]

I commenti sono chiusi.

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