Nella cerimonia di inaugurazione dei Mondiali aquatici, a Gwangju, cui è intervenuto anche il presidente sudcoreano Moon Jae-in, è stato detto con orgoglio che la Corea del Sud è diventata la quinta nazione del mondo ad aver organizzato tutte le cinque più importanti manifestazioni sportive: Olimpiadi estive e invernali, Mondiali di calcio, di atletica e di nuoto. Le altre quattro sono, in ordine di completamento di questa speciale “scala reale”: Germania (Giochi estivi e invernali 1936, Calcio 1974, Nuoto 1978, Atletica 1993), Italia (Calcio 1934, Giochi invernali 1956, Estivi 1960, Atletica 1987, Nuoto 1994), Giappone (Giochi Estivi 1964, Invernali 1972, Atletica 1991, Nuoto 2001, Calcio 2002), Russia (Giochi Estivi 1980, Atletica 2013, Invernali 2014, Nuoto 2015, Calcio 2018). La Corea del Sud ha cominciato per ultima, con i Giochi estivi nel 1988, poi Calcio nel 2002 (insieme al Giappone), Atletica nel 2011, Invernali nel 2018 e adesso Nuoto.
Il punto è: questo record di grandi manifestazioni ha un senso, corrisponde a particolari meriti per efficienza organizzativa, partecipazione degli spettatori, impatto sul territorio e sulla popolazione? Già l’anno scorso, in occasione dell’Olimpiade invernale a Pyeongchang, i dubbi furono molti, a partire dalla semplice capacità di organizzare i Giochi. Adesso, la storia si ripete, con una serie notevole di problemi, di errori, di interrogativi sul perché proprio in questa città, sulla bontà degli impianti e della loro dislocazione, fino ad arrivare a questioni anche più importanti come la mancata partecipazione della Corea del Nord. Un anno fa, a Pyeongchang, ci fu la grancassa del grande abbraccio di pace fra le due Coree, assecondato acriticamente da tutti i mezzi di informazione. Adesso, il silenzio totale e omertoso, per il pubblico mondiale soltanto i risultati, senza alcun approfondimento. E allora, proviamo a dare un’occhiata nel “dietro le quinte” di una manifestazione che può riservare più di una sorpresa.
DIVE INTO PEACE
Il motto di questi Mondiali è “Tuffati nella pace”. Un pio desiderio, sulla scia di quanto accaduto (falsamente) l’anno scorso a Pyeongchang. Qualche mese fa è venuta fuori la notizia che la Corea del Nord non aveva ancora accettato l’invito a partecipare ai Mondiali di Gwangju. I dirigenti della Fina, la Federazione mondiale del nuoto, annunciavano che stavano facendo gli ultimi tentativi, che erano in contatto con le autorità nordcoreane, che aspettavano una risposta e bla bla bla… Finché si è arrivati alla scadenza delle iscrizioni e la Corea del Nord è rimasta a casa sua. Sia nelle successive interviste, sia nelle conferenze stampa a Gwangju, i responsabili della Fina hanno continuato a dire che hanno continuato a invitare la Corea del Nord, ma che non hanno mai avuto una risposta chiara. Ma è mai possibile che una questione così importante si concluda con un semplice “hanno deciso di non partecipare” senza alcun altro tentativo di chiarimento? E tutta questa situazione appare ancora più paradossale se si considera che proprio un paio di settimane prima, il 30 giugno, c’è stata un avvenimento “epocale”: il presidente statunitense Donald Trump si è incontrato col presidente-dittatore nordcoreano Kim Jong-un (a proposito, si pronuncia Kim giòng-un e non Kim iòng-un, è mai possibile che quasi tutti i giornalisti continuino a sbagliare? Chiedere a qualche coreano è troppa fatica?) al confine fra Sud e Nord Corea e ha attraversato simbolicamente questo limite, posto al 37° parallelo, per poi tornare nella zona sudcoreana e avere un incontro di circa un’ora con Kim Jong-un per la ripresa dei colloqui sul programma nucleare nordcoreano. E allora: Trump e Kim Jong-un fra baci e abbracci, le due Coree che un anno fa, a Pyeongchang, si scambiano messaggi di pace, una sola squadra femminile di hockey su ghiaccio all’Olimpiade invernale con giocatrici di Nord e Sud tutte insieme, tanto da far scattare la proposta di assegnare loro il Nobel per la pace, atleti di Nord e Sud che portano insieme la fiaccola olimpica nella cerimonia inaugurale a Pyeongchang, e adesso la Corea del Nord che rifiuta di partecipare ai Mondiali di nuoto in Corea del Sud! Cosa è successo davvero? Inutile fare questa domanda: tutti zitti. E il problema è che questa domanda non l’ha fatta nessuno dei tanti giornalisti presenti ai Mondiali di nuoto, forse perché sapevano che non avrebbero avuto una risposta chiara?
E allora, la soluzione è fare questa domanda al di fuori dell’ufficialità. E qui viene fuori qualcosa di diverso, ma vero. Un dirigente della Fina, fuori del virgolettato e sotto anonimato, ammette: “La verità è che la Corea del Nord ha detto chiaramente che non parteciperà più a qualsiasi manifestazione in cui c’è la squadra degli Stati Uniti”. Ed eccola finalmente la cruda realtà, che ovviamente ha niente a che fare con lo sport, ma ha motivi prettamente politici. L’impegno della Corea del Nord a limitare, per poi cancellare, le armi nucleari, si è dimostrato falso, gli Stati Uniti lo sanno benissimo ma tutti vanno avanti con bluff e controbluff. C’è però un limite al bluff e gli Stati Uniti cercano di mettere KimJong-un con le spalle al muro. Così, mentre gli abbracci politici continuano ufficialmente, sottotraccia le tensioni aumentano e in questi casi la via più facile è sempre quella del boicottaggio sportivo. Quindi, a dispetto di tutte le favole raccontate un anno fa nei Giochi invernali, le belle intenzioni della pace, delle squadre miste, della Corea unita, si sono rivelate completamente false, esattamente come scrivevamo, solitari, un anno fa.
GWANGJU UNA E TRINA
Ma i problemi non finiscono con le bugie per fini politici, ci sono anche quelle esclusivamente sportive, legate allo svolgimento di questi Mondiali. Nella conferenza stampa di avvio, il presidente della Fina, Julio Maglione, e il sindaco di Gwangju, Lee Yong-sup, hanno magnificato questa edizione dei Mondiali, la 18ma della storia: record di nazioni partecipanti (194, superata Kazan 2015 che ne aveva avute 184), record di atleti in gara (2537, e con le delegazioni il numero di partecipanti sale a 7647), 76 titoli da assegnare in 6 discipline (nuoto, nuoto di fondo, tuffi, tuffi grandi altezze, pallanuoto, nuoto artistico). E poi, l’esaltazione di impianti definiti “belli, moderni e sostenibili”, di una organizzazione che conta su 3000 volontari e 12000 persone coinvolte, di una prevendita di biglietti oltre le aspettative, e via di questo passo. Ma la realtà qual è?
E la realtà appare molto diversa a guardarla bene. Cominciamo da Gwangju, città di un milione e mezzo di abitanti, 300 chilometri a sud della capitale Seul, non raggiungibile direttamente via aereo, ma solo con volo interno dal secondo aeroporto di Seul (Gimpo). Quindi, per arrivare a Gwangju bisogna prima andare all’aeroporto di Seul Incheon, poi spostarsi a quello di Gimpo, un’ora con bus o taxi, e poi prendere il volo per Gwangju: ma, sorpresa, ci sono solo due voli al giorno, non un gran collegamento quindi, per una città che non si rivela molto importante. E con manifestazioni con tanti partecipanti, i due voli al giorno sono pochissima cosa. Di buono c’è che gli organizzatori hanno provveduto al trasporto con bus da Seul Incheon a Gwangju, quasi 4 ore, resta però il fatto che il collegamento è difficoltoso.
Peggio va quando si arriva a Gwangju e ci si rende conto della situazione. Gwangju è una città particolare, divisa in “blocchi”. C’è Gwangju centro, la città vera e propria, dove non ci sono impianti, ma solo gli alberghi, quello della Fina e quelli della stampa. Poi c’è GwangjuNambu, se possiamo chiamarla così, dal nome dell’Università in cui si trovano due impianti (nuoto e tuffi nel primo, pallanuoto nel secondo), oltre al Villaggio degli atleti e al Media Village. Per andare dal centro a Nambu, bisogna prendere letteralmente una autostrada e percorrere una quindicina di chilometri, perché si tratta di due agglomerati urbani completamente distinti, che magari dovrebbero essere due municipalità separate, ma si vede che da queste parti sono abituati a risparmiare e hanno due città al prezzo di un amministratore! E poi c’è la terza città, GwangjuYeomju, dove c’è l’impianto per il nuoto artistico (che sarebbe il nuoto sincronizzato, ma col nome nuovo), da un’altra parte ancora, a distanza di un’ora circa di viaggio. Quindi, Gwangju una e trina, non certo un capolavoro di logistica. Ovviamente, la località per il nuoto di fondo, Yeosu, è distante 86 chilometri da Gwangju, ma questo è comprensibile, vista l’esigenza speciale del campo di gara, resta il fatto che quasi 90 km sono parecchi anche tenendo conto di questaparticolarità.
TRASPORTI SCHIZOFRENICI
Restiamo comunque a Gwangju per capire meglio quali sono le difficoltà dei collegamenti. Intanto, c’è da chiarire che chi voleva prenotare un posto nel Media Village, non poteva farlo singolarmente, ma solo insieme ad altri giornalisti per stare insieme in appositi appartamenti. Chi voleva prenotare da solo poteva farlo, sì, ma poi gli organizzatori lo avrebbero piazzato insieme ad altri, casuali e sconosciuti, nel Media Village.Per chi voleva prenotare “normalmente”, c’erano gli hotel per i Media nel centro città, ma, altra sgradita sorpresa, non sono previsti shuttle bus per andare negli impianti. O meglio, c’è uno shuttle bus, ma solo dall’hotel riservato ai dirigenti della Fina. Se un giornalista vuole prendere quello shuttle bus, gli viene impedito. Quindi, ci sono i Media hotel, ma non ci sono collegamenti con gli impianti! Una organizzazione magnifica. Per fortuna, dopo tante proteste dei giornalisti, qualcuno del comitato organizzatore, un po’ più sveglio degli altri, si è reso conto dell’assurdità e ha cambiato le regole, ora il bus è per tutti gli accreditati, ma rimane la dimostrazione di insipienza. Il bello è che i dirigenti Fina, che avrebbero voluto il bus in esclusiva, quel bus non lo usano quasi mai, perché preferiscono utilizzare le auto di servizio, che devono restare a loro disposizione a qualsiasi ora. Quindi: i dirigenti della Fina pretendono un bus solo per loro, senza “contaminazioni” dei giornalisti, ma poi preferiscono usare le auto di servizio perché non vogliono aspettare l’orario previsto e hanno bisogno di un’auto “immediatamente”. Ma sono solo i giornalisti a doversi lamentare? Certo che no. C’è un sistema di bus pubblici, ovviamente, che però fanno servizio fino alle 22.20 al massimo. E le gare di nuoto finiscono dopo quell’orario: come faranno gli spettatori senza auto propria a tornare a casa? Infine, tornando ai trasporti interni per gli atleti e gli addetti ai lavori, i collegamenti con gli impianti più lontani, come lo Yeomju, hanno orari strani e frequenze scarse, così da creare ulteriori difficoltà a tutti.
IMPIANTI A META’
E per gli spettatori i problemi non si esauriscono con la difficoltà nei trasporti. L’impianto principale, nella Nambu University, è incredibile per certi aspetti. Il principale è che non ci sono i bagni. Ce ne sarebbero solo 4 nel piano terra, dove c’è la piscina insomma, che però nei giorni di gara sono praticamente “sequestrati” dal servizio antidoping. Ma il punto è che, comunque, anche ammesso che possano essere utilizzati dagli atleti, sono pochissimi e non possono servire ad altri. Nei piani superiori, riservati agli spettatori, non ci sono bagni, nel senso che non sono stati nemmeno costruiti. L’impianto, che ha una capienza di oltre 10.000 posti, non ha nemmeno un bagno per questi diecimila spettatori. Come hanno risolto gli organizzatori? Con bagni chimici sistemati in container posti all’esterno delle tribune, ovviamente nella zona interna ai controlli di sicurezza e ai cancelli di ingresso, ma comunque all’aperto. Ho contato 15 container, ognuno diviso a metà per uomini e donne, ogni settore maschile ha due tazze e 3 orinatoi (presumo che per le donne ci siano 3 o 4 tazze) per cui, in totale possono usufruirne 75 uomini contemporaneamente (per le donne, in teoria, 60 contemporaneamente), il che è del tutto insufficiente se ci sono dai cinquemila spettatori in su, come si prevede che ce ne siano durante le gare di nuoto. E’ mai possibile una cosa del genere? Fra l’altro, forse perché il sistema di smaltimento non sta funzionando a dovere, dopo poco tempo c’è già un gran fetore in questi bagni. Possibile che la Fina avalli tutto questo?
Si può andare avanti con altre assurdità, ma davvero non si finisce più. Un accenno solo a un’altra amenità: all’interno dell’impianto non ci sono punti di ristoro, ce ne sono appena due all’esterno, lì dove ci sono i bagni chimici, ma con una particolarità: non si vendono bevande calde e cibi caldi, solo bibite fredde, gelati e snack. Per trovare qualcosa del genere bisogna andare all’esterno, quindi una volta entrati ci si trova in un’altra realtà in cui ogni comodità è scomparsa.
E concludiamo con un accenno all’estate di Gwangju, se si può chiamare estate. Da quanto si è visto nei primi sei giorni dei Mondiali, il meteo in questa città ha solo tre varianti: nuvoloso, pioggia, diluvio. Il sole si può intravedere a sprazzi per pochi minuti velato però da uno strato continuo di nuvole. Un cielo sereno, anche solo uno spicchio, non si è visto. Quattro giorni su sei è piovuto, le previsioni annunciano pioggia e temporali per altri 3 giorni consecutivi, per il quarto non è prevista pioggia ma solo cielo coperto. Come canterebbe Bruno Martino: “E la chiamano Estate”. Parafrasando: “E li chiamano Mondiali”.