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Sempre più gare miste: parità reale o modernità di facciata? L’unico vero è il …Korfball!

Da Sport Senators 21/07/2018

Ai Giochi invernali di Pechino 2022 ci saranno uomini e donne nella stessa prova nel salto con gli sci, negli Aerials del Freestyle, nel Cross dello Snowboard e nella staffetta dello Short-track. Che si aggiungono alla staffetta del Biathlon e nel doppio del Curling

Febbre da gare miste. Il Comitato olimpico internazionale, nella seduta dell’Executive Board del 19 luglio, ha approvato il programma per l’Olimpiade invernale di Pechino 2022 con l’introduzione di nuove prove nell’ambito di discipline già olimpiche. Così, accanto al Bob singolo femminile, al Big air maschile e femminile nel Freestyle, ecco l’ondata di gare in cui uomini e donne gareggiano insieme: squadre miste, quindi, nel Salto con gli sci, negli Aerials del Freestyle, nel Cross dello Snowboard e nella staffetta dello Short-track. Considerato che nei Giochi invernali ci sono già le gare miste nella staffetta del Biathlon e nel doppio del Curling, si nota come questo tipo di prova stia diventando quasi una “necessità” dei responsabili del Cio e degli organizzatori. Ne è riprova, considerando anche gli sport estivi, l’inserimento di gare miste nelle staffette di atletica, nello judo, nel triathlon, nel tiro con l’arco. A parte vanno considerati gli sport dove c’è un “mezzo” di trasporto da utilizzare, quindi il senso di gara mista è diverso, come l’equitazione (senza offesa al cavallo considerato come “mezzo”), gli sport motoristici e la vela (equipaggi misti in Tornado, Finn e 49er). La sensazione è che si insegua una cosiddetta “modernità” di facciata puntando sulla “parità” fra uomini e donne, più che una reale esigenza di equilibrio di diritti.
    Già, perché il punto fondamentale è proprio quello dei diritti. Inventare gare miste per assecondare una legittima richiesta di parità di diritti da parte delle donne, sicuramente discriminate nello sport (oltre che nella vita sociale) sin dalla nascita di questa attività per proseguire poi con gli insulsi divieti persino nelle Olimpiadi moderne e nella disparità di tante gare riservate soltanto agli uomini, appare più come un tentativo di “risarcimento” fittizio che un effettivo riequilibrio sportivo e umano. Per andare più sul concreto, nello sport in generale, è utile pensare al tennis e alla lotta che le donne hanno portato avanti per decenni, e tuttora, alla ricerca di una parità dei premi. Parliamo quindi di “diritti” dovuti alle “persone”, non di più agli uomini e di meno alle donne. La tesi sostenuta da chi, sempre nel tennis, vuole mantenere la differenza nei premi è che gli uomini nei tornei Slam giocano al meglio dei 5 set, le donne al meglio dei 3, quindi maggior fatica per gli uomini e maggior spettacolo offerto al pubblico, di conseguenza premi più consistenti per gli uomini. Ma questa tesi si poggia su una discriminazione di fondo: la maggior fatica non si può basare solo sulla lunghezza della gara, ma sullo sforzo in relazione al fisico dell’atleta; il maggior spettacolo non si può basare sulla durata della gara, ma sulla sua effettiva drammaticità, sulla capacità di creare emozione. E nel tennis (ma il discorso possiamo poi estenderlo a qualsiasi altro sport) si è visto come tante gare maschili risultino noiose, a maggior ragione se lunghe 5 set, e tante gare femminili abbiano coinvolto il pubblico in maniera incredibile, risultando più belle e avvincenti. E sul discorso del doppio misto, relativo anche a sport di racchetta come tennistavolo e badminton, ci arriviamo fra un po’.
    La discriminante, quindi, non può essere la forza fisica, visto che, gira e rigira, è lì che si va a finire quando si fa un raffronto fra lo sport maschile e quello femminile e si giustificano le differenze di trattamento a favore degli uomini. E nemmeno si cerca di negare che esistano differenze fisiche, perché questa è la trappola che viene tesa da chi vuole mantenere una situazione di disparità. Le differenze fisiche ci sono, è naturale che ci siano, è giusto riconoscerle, ma, fondamentale, non possono essere il motivo di qualsiasi discriminazione in materia di diritti. Ma nemmeno si può far finta che non esistano, basta accettarle. Cosa significa accettarle? Ci aspettiamo che le donne vadano alla stessa velocità degli uomini nelle gare di atletica o di nuoto, che esprimano maggior potenza degli uomini nella ginnastica, tanto per citare gli sport “di base” dell’attività fisica? Ovviamente no, proprio a causa della differenza di struttura fisica. Riteniamo che la bellezza di una gara di atletica o di nuoto risieda solo nella velocità assoluta, che quella di una gara di ginnastica nel maggior numero di salti? Altrettanto ovviamente no, altrimenti ci saremmo mai appassionati alle imprese di una Wilma Rudolph, tre ori olimpici in atletica a Roma 1960, un fisico che le portò il soprannome di “gazzella”, o di una Nadia Comaneci, olimpionica a Montreal 1976, a 14 anni, con un fisico da bambina quale era, prima atleta, fra uomini e donne, a ottenere un 10 alle Olimpiadi?
    Accettare queste differenze, quindi, significa “non costringere” le donne ad avere prestazioni simili a quelle degli uomini per vedersi prestare attenzione o per vedersi riconosciuti i propri diritti. Certo, è possibile che in qualche situazione estrema una donna si avvicini alle prestazioni maschili, ma i casi eccezionali non possono costituire la regola. E visto che nello sport una parte importante è quella dell’interesse che viene suscitato negli spettatori, proviamo a vedere quale impatto reale hanno le gare miste. E’ facile osservare che ci sono meno spettatori in qualsiasi sport preveda gare miste: gli sport di racchetta, i tuffi col sincro misto, le staffette negli sport invernali, come nel biathlon, e nel nuoto, come le 4×100 stile libero e con i quattro diversi stili. E che senso può avere una staffetta in cui le velocità aumentano e diminuiscono con un tira e molla che può anche creare qualche motivo di interesse ma che alla fine stanca? Basta vedere cosa succede nelle staffette miste del nuoto, in cui ogni squadra decide l’ordine di partenza, per cui si possono trovare insieme un uomo di una nazione e una donna di un’altra, con effetto davvero paradossale e con distacchi che si allungano e si accorciano a dismisura. Il dato più importante è che alla fine queste staffette non sono composte dai migliori atleti, ma da qualcuno forte e dagli altri di rincalzo, tanto per capire che considerazione gli stessi atleti e tecnici hanno di questo tipo di gara. Un po’ più di senso potrebbe avere la gara mista dei tuffi, ma qui si verifica un’altra situazione che fa male alle donne perché, considerato che i due atleti devono eseguire lo stesso tuffo contemporaneamente, il programma si abbassa di livello tecnico perché gli uomini devono adattarsi ai minori coefficienti di difficoltà delle donne. Risultato: le nazioni più forti iscrivono a questa gara gli atleti di seconda fascia. Un po’ meglio va negli sport di racchetta, in particolare nel tennistavolo perché qui c’è l’obbligo per i due atleti di colpire la pallina una volta ciascuno e questo rende l’incontro più equilibrato. Nel tennis e nel badminton, a parte il servizio, può anche succedere che l’uomo colpisca la palla la maggiorparte delle volte, ma comunque un sia pur minimo equilibrio c’è. Il problema è che, per tutti e tre i casi degli sport di racchetta, gli spettatori delle gare di doppio misto siano pochissimi, a dimostrazione che il senso di questa gara, sia tecnico che di spettacolo, praticamente non esiste.
    Il concetto di accettazione della differenza fisica (ed è bene precisare che non va inteso come superiorità e inferiorità, a dispetto di maggiore velocità o potenza, ma semplicemente di diversità) viene reso ancor meglio in altri sport nei quali non ci sono gare miste, ma che sono esempi concreti di come la differenza fisica non sia un vantaggio per gli uomini e uno svantaggio per le donne, ma semplicemente la necessità di una differente interpretazione atletica dello sport che porta però agli stessi risultati spettacolari e agonistici. Lo sport più importante da questo punto di vista è la pallavolo. Nelle gare maschili la rete è alta 2,43, in quelle femminili 2,24. Quindi, la pallavolo accetta la differenza fisica e non ne fa un problema, anzi, si rende conto che assecondare questa diversità sia un bene. E infatti, sia pure con l’ovvia differenza di potenza muscolare, lo spettacolo della pallavolo produce lo stesso interesse negli spettatori, nei palazzetti e in televisione, ma, ancor di più, diventa un moltiplicatore dello sport al femminile. Solo per restare in Italia, il numero di donne tesserate alla Federazione pallavolo, è il triplo di quello degli uomini. E in Italia, anche se le donne hanno saputo vincere un Mondiale e ottenuto grandi risultati, il confronto con le imprese degli uomini è impari. Ciò nonostante, ci sono più donne invogliate a praticarla rispetto agli uomini. E la qualità tecnica del gioco, proprio grazie alla ridotta altezza della rete, anche se sconta il gap di potenza con gli uomini, è di altissimo livello. Al contrario, guardiamo il basket, nel quale non ci sono differenze nelle strutture: canestro alla stessa altezza degli uomini, stesso pallone e dello stesso peso. Risultato: meno spettatori, meno interesse della Tv, meno tesserate rispetto agli uomini, in Italia le donne sono un terzo degli uomini. Basterebbero un canestro più basso e un pallone più leggero per rendere il basket femminile più facile per le giocatrici e più attraente per gli spettatori, che magari comincerebbero a vedere le schiacciate anche dalle donne. E andando a esaminare il calcio, ci si rende conto come la grandezza delle porte, uguale per uomini e donne, sia un handicap insuperabile per i “portieri” al femminile, con atlete che appaiono goffe, anche se non lo sono atleticamente, perché i riferimenti di ampiezza e altezza sono enormi per loro. Ed è enorme il campo per le giocatrici, che si stancano prima degli uomini e per le quali i tempi sono di 45 minuti, come per gli uomini. In questo caso, i risultati sono peggiori rispetto ad altri sport perché la differenza con gli uomini è più marcata.
   Tornando al punto di partenza, se proprio si deve pensare a uno sport davvero “misto”, l’unico vero è il Korfball, una specie di pallacanestro, ma senza tabellone, con un palo e un cesto, con ogni squadra composta da 4 uomini e 4 donne, che devono buttare la palla nel cesto. Fu inventato dagli olandesi nel 1902, si gioca tuttora e c’è anche la Federazione italiana, fondata nel 2003. Per tutto il resto, sarebbe meglio portare rispetto alle donne con fatti concreti, non con invenzioni da circo.
GENNARO BOZZA
Tags: Korfball, olimpiadi, pechino 202

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