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“Sotto la maschera, lo schermidore è allo stesso tempo un eremita e un prigioniero”

Da Marco Pastonesi 22/05/2018

“Scherma schermo”: il regista Davide Ferrario trasporta in un libro l’esperienza in pedana. “La scherma è un modo di vivere, perché fa appello a qualcosa di profondo che sta dentro di noi”

Cominciò a praticare la scherma per colpa del cinema. Era un bambino, andava matto per i film di cappa e spada, eventualmente anche per quelli degli antichi romani, e quando in quinta elementare arrivò una circolare del Provveditorato su alcuni sport da provare – gratis – nei circoli cittadini, lui d’istinto scelse la Libertas Magrini di Bergamo. C’era una sala (la palestra di un liceo), c’era un maestro (non allenatore, ma maestro: Erminio, napoletano), e c’era – soprattutto – un’arma (il fioretto). Davide Ferrario è diventato un regista, ed è ancora uno schermidore. Anche se, fra un Oscar e un Mondiale, potendo, non avrebbe il benché minimo dubbio. Il Mondiale di scherma, ovviamente.
    Ferrario ha scritto “Scherma, schermo” (add editore, 144 pagine, 13 euro) rivivendo la propria esistenza divisa (ma anche unita) tra lezioni e copioni, tra assalti e girati, tra messe in guardia e messe in scena, anche tra Valerio Mastandrea e Fabio Del Zotto, fra Moana Pozzi e Mauro Numa, fra James Bond e Alfredo Rota. Ferrario sostiene che “la scherma è un modo di vivere, perché fa appello a qualcosa di profondo che sta dentro di noi”, spiega come la scherma “tira fuori il rimosso che abbiamo dentro e lo purifica nella messa in scena di un combattimento simbolico”, precisa che “la scherma non è un gioco, come la maggior parte degli sport. E’ l’adattamento moderno di un’antica ordalia”, conviene che “uno può anche passare la vita senza mai salire in pedana. Così come può morire senza aver visto un solo film”, e conclude che “però, in un caso e nell’altro, non sa cosa si perde”.
    Ecco cosa si perde. La scherma è, per l’Italia, una miniera di medaglie d’oro una volta l’anno (Mondiali) e ogni quattro anni (Olimpiadi). Immediatamente dopo, finisce in soffitta: dimenticata, trascurata, oscurata. Ferrario la rivela, la illumina, la smaschera, a cominciare proprio dalla maschera, che protegge e intanto separa, che separa e intanto protegge, spingendo a confrontarsi con se stessi (“Sotto la maschera, lo schermidore è allo stesso tempo un eremita e un prigioniero”), e anche a recitare (“Portare una maschera è l’essenza della recitazione anche quando, nei secoli, il viso reale degli attori ha sostituito le maschere, diventando a sua volta una maschera virtuale”). E poi i contatti, le relazioni, l’imparentamento con il cinema: nell’etimologia (scherma e schermo), nella filosofia (protezione e proiezione), nello spirito (difesa: da paure, desideri, sogni, incubi), tanto che “la maschera funziona come il ciak su un set cinematografico. Separa le scene l’una dall’altra. Certe volte, rappresenta il tentativo di resettare qualcosa che non va. E’ tipico, dopo aver subìto una stoccata, che uno si tolga la maschera, voltandosi per guardare nel vuoto”.
Tra un ciak e una stoccata, Ferrario racconta del maestro Erminio che frustava con il fioretto sulle cosce dei suoi allievi, di Paolo Milanoli, che accettò di mettere il suo oro olimpico in palio al Casinò di Saint-Vincent contro 100 milioni di lire in un colpo secco, del fluire del tempo nel cinema e dell’arte di attendere nella scherma, di quella volta in cui doveva introdurre “I duellanti” di Ridley Scott al Museo del cinema di Torino e si presentò con le armi in mano e insieme con Giaime Alonge, docente di storia del cinema al Dams, procedette a una dimostrazione pratica. E – inevitabilmente – Ferrario racconta anche del vincere e del perdere. “Anche se vincere è bello, è probabile che dalla sconfitta si impari di più, e ancora di più dalla lotta. Per quanto mi riguarda trovo la vittoria un sentimento invidiabile, ma superficiale… Quando perdo, oltre al bruciore della sconfitta, penso. Rielaboro. In qualche modo, vado avanti”.
   “Scherma, schermo” è un combattimento-film lungo un paio d’ore, è una pedana-set vibrante di emozioni e improvvisazioni, è un capitano-regista che si cerca, si trova e, finalmente, si ritrova. Bentornato, Ferrario, regista dietro la maschera. E in guardia.
Marco Pastonesi
Tags: l'arte della scherma, la scherma, schermiore

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Nota sull’autore: Marco Pastonesi

Genovese, ha seguito 15 Giri d'Italia, 10 Tour de France, 4 Coppe del mondo e 18 Sei Nazioni di rugby. Ha scritto, fra l’altro: Pantani era un dio, L'Uragano nero, Gli angeli di Coppi e I diavoli di Bartali, Ovalia - il dizionario erotico del rugby.

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