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Quelle strane squalifiche dello short-track: bisogna solo decidere… anti-Cina o pro-Sud Corea?

Da Sport Senators 23/02/2018

L’analisi degli interventi della giuria ai Giochi Invernali ricordano altre clamorose e discutibilissime decisioni nelle massime rassegne mondiali

“Come ti sei permesso di mettere il tuo piede sotto il mio?” Lo dice Franco Franchi in “Due mafiosi nel far west”, film del 1964, dopo aver schiacciato il piede a un poveraccio che osa addirittura lamentarsi. Cambiando ambientazione e parti del corpo, protagonista di una scena del genere potrebbe essere la pattinatrice sudcoreana dello short-track che, nella finale della staffetta, dopo aver dato il cambio a una sua compagna, invece di spostarsi e lasciare la pista libera, rimane sulla linea delle altre concorrenti e ostacola una povera canadese che va a sbattere sul suo “posteriore” e cade. E’ un vero e proprio tamponamento la cui responsabilità, secondo le regole di questo sport, è tutta della coreana. Che invece sembra dire: “Come ti sei permessa di correre sulla tua corsia e di sbattere contro di me che l’ho occupata abusivamente?”. Ma la giuria olimpica applica lo stesso principio prevaricatore del mafioso nel far west e dice che va tutto bene, anche se in pista si è vista la versione umana dell’autoscontro, con le italiane che vengono coinvolte nella caduta e se la cavano per fortuna e bravura allo stesso tempo. Anzi, pur di non squalificare la Corea del Sud, che batte in volata la Cina, con l’Italia al terzo posto e Canada desolatamente ultima a un giro di distacco, i giudici si inventano un altro film, che tutti ormai conoscono, con Cina e Canada escluse dal podio, l’Italia seconda e l’Olanda “ripescata” dalla finale B e premiata col bronzo. Detto che l’Italia è l’unica squadra a non aver subito vantaggi, perché sarebbe stata comunque seconda con la squalifica della Sud Corea (o con ipotetico danno perché poteva essere addirittura prima con la doppia penalizzazione di coreane e cinesi), la vicenda merita qualche parola in più, sia per cercare di conoscere il “dietro le quinte”, sia per ricordare che la Corea del Sud non è mica nuova ad arbitraggi discussi e giurie compiacenti verso i padroni di casa, il più delle volte con scientifico metodo di eliminazione degli avversari scomodi.
E adesso che si è chiuso il programma dello short-track, dopo un’ulteriore giornata di episodi strani, ma anche di gioie come il bronzo della Fontana nei 1000 metri, si può verificare che tantissimi interventi della giuria sono stati al di sotto di ogni sospetto. Già, perché se si vanno a esaminare tutte le squalifiche nello short-track in questa Olimpiade invernale, si scopre qualcosa di strano e illuminante. Ci sono state 49 squalifiche in tutto, fra gare individuali e staffette. Chi è stato penalizzato di più? Alla pari, con 9 squalifiche, guarda caso, ci sono Cina e Canada, proprio le nazioni che nella finale della staffetta donne hanno ricevuto il cartellino rosso dai giudici. La Cina ne ha 4 fra gli uomini, 4 fra le donne, più quella in staffetta. Il Canada ne ha 3 fra gli uomini e 5 fra le donne, oltre alla staffetta. E Canada e Cina sono le avversarie più forti della Sud Corea nello short-track. Proseguendo nella classifica dei “cattivi”, troviamo con 5 atleti penalizzati l’Ungheria (4 uomini e una donna, non è un caso perché la squadra maschile è fortissima, tanto che poi vincerà la staffetta); con 3 la Russia (2 uomini e 2 donne), gli Usa (3 uomini e una donna); con 3 l’Olanda (2 uomini e una staffetta) e la Sud Corea (due donne e un uomo); con 2 Gran Bretagna e Israele (2 uomini), Giappone e Italia (un uomo e una donna per entrambi); con un solo squalificato Nord Corea (uomo), Germania, Australia e Kazakistan (donna).
Come si vede, gli interventi della giuria appaiono “mirati” a tutti quelli che possono dar fastidio ai sudcoreani. In particolare, alcune squalifiche cinesi sono risultate provvidenziali per permettere il ripescaggio di sudcoreani che erano stati eliminati. Per comprendere meglio come funzionano le cose è importante sapere che nello short-track la funzione del ricorso contro le decisioni della giuria in pratica non esiste. In teoria lo si può pure presentare, in pratica è impossibile perché viene respinto a prescindere. Infatti, alla fine di ogni gara, che sia batteria o finale, i giudici esaminano il video perché comunque c’è da controllare qualcosa: in questo sport, con una pista così piccola, i contatti sono innumerevoli, così come le cadute, per cui è quasi obbligatorio rivedere come è andata. E allora, se qualche nazione fa reclamo, la giuria semplicemente risponde che ha già esaminato il video e quindi è superfluo andare a rivederlo perché dalle immagini i giudici hanno già ricavato le indicazioni che hanno portato. Ma c’è persino qualcosa di peggio in questa procedura: nelle decisioni ufficiali, la giuria non dice perché un atleta viene squalificato, si limita a citare il “reato”, senza alcuna spiegazione: off track, impeeding, assistance, kicking out le infrazioni previste, che vanno dalle interferenze alle spinte e così via. In questo scenario, quindi, i giudici possono inventarsi qualsiasi cosa per giustificare i provvedimenti disciplinari (o sarebbe meglio dire “non giustificare”). Se si verifica un episodio controverso all’ultimo giro, con l’atleta A che butta fuori pista l’atleta B, i giudici possono addirittura andare a riprendere un episodio del primo giro in cui l’atleta B ha sorpassato quello A e dire che lo ha fatto irregolarmente, per cui squalificano B e salvano A. E non fanno riferimento all’episodio preciso, ma dicono semplicemente che B ha danneggiato A. Come si può facilmente capire, nello short-track i giudici fanno quello che vogliono, senza alcun controllo, o meglio, con l’autorizzazione tacita a fare quello che vogliono.
Nel caso della staffetta donne a Pyeongchang, la Federazione internazionale degli sport del ghiaccio, l’ISU, rendendosi conto del clamore della vicenda, eccezionalmente ha deciso di spiegare la decisione di squalificare Cina e Canada. Ma il fatto stesso di volerlo fare, cosa inusuale, equivale ad ammettere che si ha la coda di paglia e in questo caso sta bruciando peggio del grande incendio di Chicago del 1871. E la stessa spiegazione, come vedremo, dimostra che i giudici non sanno trovare la pezza di un buco enorme. Infatti, utilizzando il metodo appena descritto per sviare l’attenzione dall’episodio più importante (la sudcoreana Kim Alang che blocca la strada alla canadese Valerie Maltais e la fa cadere), i giudici vanno a esaminare tutt’altro. Così, dicono che la cinese Fan Kexin, nell’ultimo cambio, taglia la strada alla sudcoreana Choi Minjeong, per cui la Cina viene squalificata. E poi, senza citare l’atleta, dicono che una canadese “non attiva”, quindi una delle tre non in corsa in quel momento, dà fastidio alla cinese e alla sudcoreana che stanno effettuando la volata finale. Neanche una parola sul contatto fra Kim Alang e la Maltais, come se non fosse mai avvenuto. Eppure è avvenuto prima delle azioni incriminate per spiegare le squalifiche di Cina e Canada e questo dimostra la malafede della giuria.
    Fra l’altro, andando a rivedere proprio le azioni giudicate irregolari dai giudici, davvero non si riesce a capire cosa abbiano notato, perché i movimenti della cinese e della canadese appaiono assolutamente regolari. E a dirlo non sono soltanto i diretti interessati, ma anche giornalisti e osservatori, e in particolare una persona la cui competenza è al di sopra di ogni sospetto, il due volte campione olimpico di short-track a Salt Lake City 2002 e Torino 2006, lo statunitense Apolo Ohno: “Ho rivisto il video della gara dieci volte e ancora non capisco perché la Cina sia stata squalificata”. E se anche si dovesse ammettere che la cinese Fan Kexin abbia davvero commesso una irregolarità, la spiegazione della squalifica del Canada è davvero allucinante, ma il punto è proprio questo: la giuria “aveva bisogno” di trovare una qualsiasi scusa per includere il Canada nella confusione generale al fine di non esaminare l’episodio più grave, quello in cui la gara del Canada viene compromessa dall’azione irregolare della Sud Corea.
   Ma torniamo alla classifica delle squalifiche. I sudcoreani, per annullare la sensazione di essere stati favoriti per il fatto di aver subito appena tre squalifiche, citano la perdita dell’argento della Choi Minjeong nella gara dei 500 donne, vinta dall’azzurra Arianna Fontana. La sudcoreana, dietro la Fontana per appena 22 centimetri, al termine di una volata mozzafiato, è stata tolta dall’ordine di arrivo per “impeeding”, vale a dire per aver poggiato una mano sul fianco della Fontana negli ultimi metri e averle quindi impedito di andare alla massima velocità possibile. Come dire: abbiamo perso anche noi una medaglia, non potete accusare la giuria di volerci favorire. Ma anche in questo caso la visione è distorta volutamente. Perché la scorrettezza è stata evidente e non si poteva ignorare. Ma soprattutto per un altro motivo, originato dalla bellissima prova della Fontana. L’azzurra, infatti, in quella finale è stata in testa sin dal primo metro, perciò non ha mai dovuto effettuare un sorpasso, non ha mai avuto la necessità di sgomitare, di toccare le avversarie. In questo modo, sia pure come semplice conseguenza della sua tattica di gara, non ha offerto ai giudici alcun appiglio per giustificare un loro intervento contro di lei e a favore di Choi Minjeong. Era impossibile farlo. Ve l’immaginate se fosse stata impelagata in una lotta fianco a fianco con le altre e in un tentativo di sorpasso? I giudici in quel caso avrebbero potuto inventare qualsiasi misfatto per espellere lei e favorire la sudcoreana. Non si può dire con certezza che l’avrebbero fatto, ma quanto accaduto nella staffetta fa fortemente sospettare di sì. E il sospetto aumenta quando si va a vedere cosa accade nell’ultima giornata di gare.
   Nella seconda semifinale dei 1000 donne, la coreana Choi Minjeong, grande favorita ed eroina nazionale della Sud Corea, viene eliminata. Passano le prime due, l’olandese e l’altra sudcoreana Shim Sukhee, che non entrano mai in contatto con la Choi, terza. Come fare per portarla comunque in finale? Ed ecco la soluzione: si squalifica la cinese Qu Chunyu, arrivata quarta dopo essere stata letteralmente sbattuta fuori pista proprio dalla Choi, per un lieve contatto avuto con Choi in uno dei primi giri, e si fa qualificare Choi per la finale, “in aggiunta” a quelle già qualificate, perché “danneggiata”. E’ una soluzione prevista dal regolamento, ma in questo caso è assolutamente forzata perché la cinese non commette irregolarità (ed è comunque eliminata perché arrivata ultima), anzi è lei a subirla dalla Choi, che dovrebbe essere lei sì squalificata. Così, Arianna Fontana si ritrova in finale un’avversaria in più, proprio colei che è stata “designata” dai dirigenti sudcoreani come il “personaggio dei Giochi”. Stavolta, però, il giochetto non riesce. La Fontana riesce, nella fase decisiva della finale, a stare dietro all’olandese Schulting (che vince l’oro) e alla canadese Boutin (argento) e a mettersi alle spalle le due coreane che, nel tentativo di superarla in una delle ultime curve, finiscono con lo sbattere fra loro e andare fuori. Così, si ritrovano con la squalifica della Shim perché è lei a far cadere la Choi, una volta constatato che la Fontana nemmeno entra in contatto con loro. Inoltre, la terza squalifica per la Sud Corea entra a far parte della classifica dei cattivi solo nominalmente, perché nella sostanza si tratta di un danneggiamento “interno”, quindi non di una penalità che avvantaggia altre nazioni.
Resta quindi la realtà di un’azione sistematica e precisa contro chiunque ostacoli il cammino dei sudcoreani.
   Per capire cosa è successo a Pyeongchang basti pensare che una potenza dello short-track come la Cina, alla vigilia dell’ultima giornata di gare, si ritrova con appena un argento, nei 1500 donne con Li Jinxu, e rimedia un oro e un altro argento con gli uomini proprio nelle gare conclusive. Ma non può nemmeno essere considerato una sorpresa tutto questo, perché ci sono esempi ancora più eclatanti nel passato, sia olimpici che mondiali, di come le competizioni in Sud Corea non siano così tranquille per chi incontra gli atleti locali. Basta citarne solo due, clamorose, per averne un’idea. La prima risale al 1988, Olimpiade estiva di Seul, con quello che è considerato il più grande scandalo nella storia della boxe olimpica: l’oro nei superwelter al sudcoreano Park Si Hun, portato al titolo letteralmente nelle braccia di arbitri e giudici.
   Ogni vittoria è un furto, ma due in particolare. La prima, nei quarti di finale, contro l’azzurro Vincenzo Nardiello, che dopo il verdetto impazzisce per la rabbia ed è bloccato dal capo missione Mario Pescante che, mentre trascina via Nardiello, grida “Ladri” ai giudici. La seconda in finale, contro lo statunitense Roy Jones, che lo malmena per tutti i 3 round, mettendo a segno ben 86 pugni contro i soli 32 di Park. Ma i giudici danno l’oro al sudcoreano. Sempre nella boxe in quell’Olimpiade avvengono tanti altri episodi, addirittura con un arbitro aggredito da un addetto della sicurezza con una bottigliata in faccia e tante intimidazioni ai giudici. Finisce con un oro, 2 argenti e un bronzo alla Sud Corea, una autentica bestemmia sportiva.
   L’altro episodio è il più famoso per gli italiani: 2002, Mondiali di calcio in Giappone e Sud Corea, la sconfitta degli azzurri negli ottavi proprio con i sudcoreani, 2-1, protagonista l’arbitro Byron Moreno, gol regolare annullato a Tommasi, espulsione ingiusta di Totti e altro ancora. Ma è tutto il cammino della Sud Corea a essere “avvelenato”, a partire dalla vittoria sul Portogallo nel gruppo eliminatorio, con due espulsioni ai danni dei portoghesi. E nei quarti altrettanto clamorosa vittoria con la Spagna, 0-0 dopo i supplementari, 5-3 ai rigori per la Sud Corea, due gol regolari annullati agli spagnoli. Lo scandalo è così grande che la Fifa decide di utilizzare solo famosi arbitri europei per semifinali e finale (Collina arbitrerà Brasile-Germania). In semifinale, c’è l’arbitro svizzero Meier per Germania-Sud Corea, che finisce 1-0 senza imbrogli. I sudcoreani sono così indispettiti che un loro dirigente federale, nella zona delle interviste, va verso i giornalisti italiani e dice: “Siete contenti adesso? Siete soddisfatti perché la Corea del Sud è stata eliminata?”. Viene misericordiosamente ignorato e va via con la bile che gli esce dalle orecchie. Ma rispondergli “Sì, siamo contenti perché finalmente chi non merita è stato eliminato” non sarebbe stato scortese.
   Si potrebbe continuare con altri esempi, come le Universiadi 2003 a Daegu, con tanti scandali nel taekwondo, ma è l’idea è chiara. Tornando brevemente allo short-track e a quanto avvenuto nella staffetta, più che sul singolo episodio è importante soffermarsi su un sistema generale che non garantisce trasparenza e certezza del diritto in uno sport le cui caratteristiche danno origine a tantissime occasioni di contrasti e polemiche. E si pensa di risolvere tutto con la “concessione”, fatta comunque “in via eccezionale”, di un chiarimento che non chiarisce. Ma non è una cosa seria. Alla fine, da Franco Franchi siamo passati a Luigi Pirandello con le citazioni. Siamo rimasti in Sicilia e pensavamo di essere in Corea.
Gennaro Bozza
Tags: gennaro bozza, olimpiadi invernali, Quelle strane squalifiche dello short-track: bisogna solo decidere… anti-Cina o pro-Sud Corea?

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