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Calcio, Full Time

Il caso Pirlo e la gavetta negli anni 2000

Da Enzo D'Orsi 23/03/2021

Il tecnico della Juve nel mirino di tifosi e media – Gli rimproverano scarsa esperienza in panchina, ma è un problema secondario – Cambiare il quarto allenatore in quattro stagioni non avrebbe senso - La squadra va rafforzata a centrocampo, mentre Ronaldo si guarda intorno tra Real e Psg

Strano Paese, il nostro. Un Paese di umori mutevoli, nel quale basta una sconfitta, un periodo negativo per buttare via tutto inseguendo i risultati. Ma i risultati non arrivano per caso: la programmazione è fondamentale, ma non è una garanzia. L’ennesima delusione della Juve di Pirlo ha aperto un dibattuto sulla figura dell’allenatore: è meglio che sia stato un campione, un comprimario oppure un illustre sconosciuto? Naturalmente, ogni risposta è valida dal momento che, a torto o a ragione, tutti pensano di conoscere bene lo sport più popolare, e magari non conoscono il regolamento né le caratteristiche della maggior parte dei protagonisti.
Pirlo, del quale per fortuna nessuno mette in discussione il valore di campione, suscita ora – in assenza di grandi successi, anche se ha vinto la Supercoppa di Lega ed è in finale di coppa Italia – poche simpatie. Gli manca la gavetta, sottolineano i detrattori e aggiungono che raramente un fuoriclasse riesce a mettere in pratica il proprio magistero. Spesso, non dispone degli interpreti adatti. Questo può essere vero, ma se si mette da parte la gavetta, in Serie A più del cinquanta per cento dei tecnici ha giocato ad un livello medio-alto, da Conte – tredici stagioni alla Juve, capitano, vincitore della Champions con Lippi in panchina – a Pioli, da Gattuso a Gasperini, e così via. Tutto questo senza scomodare all’estero autentici mostri di bravura come Guardiola e soprattutto Zidane, uno dei fuoriclasse più grandi che sta nel Real Madrid a suo agio, pur sapendo che la storia di quella squadra è ingombrante come nessun altra. Chi più chi meno, tutti hanno avuto qualche esperienza all’inizio della nuova carriera. Pirlo no.
Ma l’idea della gavetta, nell’era del computer e della comunicazione diffusa, in virtù della quale chi vive, poniamo, a Rejkiavik può ricevere in tempo reali i dati, i filmati, le cronache e le dichiarazioni persino di un match della terza categoria francese, ha ancora un senso?
E Pirlo, con i suoi pregi e difetti, che cosa avrebbe aggiunto al proprio curriculum con una stagione alla guida della Juve under 23 o, per esempio, della Pro Vercelli? Ben poco, ritengo.
Dunque, se Pirlo è stato considerato dai vertici della Juve all’altezza del ruolo, queste valutazioni sono state superate. Dicono, tra l’altro, che Pirlo sia uno studioso del calcio, interessato alla preparazione e alla psicologia dei giocatori, oltre ad essere assistito da uno staff di tutto rispetto. Ecco perché, a dispetto dell’indignazione popolare dopo l’incredibile sconfitta contro il Benevento, confermerei ancora Pirlo, penalizzato più di altri dal virus e da una lunga serie di infortuni. Ma se a fine stagione, decidessi di cambiare il quarto allenatore in quattro anni, la ragione non starebbe sicuramente nella mancata gavetta.
Per concludere, se la Juve vuole fare una squadra di impronta europea, capace di giocare un calcio spettacolare e redditizio, deve resistere ad ogni pressione mediatica. Con Pirlo – se gli saranno assicurati i rinforzi indispensabili, prima di tutto a centrocampo, una volta risolto il quiz Ronaldo, tentato dal Real e dal Paris Saint-Germain – o senza Pirlo, ma senza rinnegare il progetto iniziale, come accadde invece trent’anni fa, quando di fronte al fallimento di Maifredi, fu deciso di tornare all’antico, cioè a Trapattoni, invece di insistere puntando su un’altra guida tecnica.
Enzo D’Orsi
(foto tratta da eurosport.it)
Tags: Enzo D'Orsi, Il caso Pirlo e la gavetta negli anni 2000

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Nota sull’autore: Enzo D'Orsi

Classe 1953, per ventun anni al Corriere dello Sport, capo della redazione torinese e inviato. Quattro Mondiali, cinque Europei, migliaia di partite di tutte le competizioni, dai dilettanti alla Champions league. Ha lavorato anche a Paese Sera e Leggo, nonché al settimanale Rigore. Ha collaborato con numerose pubblicazioni, anche straniere: in particolare, l'Equipe e France football. Dai tempi di Bobby Charlton, simpatizza per il Manchester United. E' convinto che il più grande calciatore di ogni epoca sia stato Alfredo Di Stefano, non Maradona e forse neppure Pelé. Adora il calcio inglese, l'Umbria e Parigi, non sempre in questo ordine. Sposato con Maria Paola, medico, ha tre figli e cinque nipoti. Si considera per questo molto fortunato. Fin da ragazzino, sognava solo di fare il giornalista. Tre libri per Edizioni InContropiede: “Gli undici giorni del Trap” (2018), “Non era champagne” (2019) e “Michel et Zibi” (2020). Non ama i social, ad eccezione di Twitter: @Edorsi53.

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