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Sport

Il perché dell’abbandono sportivo: non può essere perché ci sono troppi compiti!

Da Maurizio Mondoni 23/04/2019

 

Per cercare di avere una visione globale del fenomeno dell’abbandono, dobbiamo chiederci quali sono i principali motivi e le dinamiche psicologiche che convincono un bambino a iniziare una qualsiasi attività sportiva. In Italia purtroppo non sono sempre i bambini a scegliere l’attività motoria e sportiva da praticare, ma spesso sono i genitori e questo è un grave errore e potrebbe essere una delle cause dell’abbandono sportivo in età precoce. La molla iniziale che fa decidere di intraprendere questa nuova avventura, è formata da diversi fattori motivazionali:

 

v  il provare piacere nella pratica motoria;

v  il giocare e far parte di una squadra;

v  l’indossare una maglia (divisa della squadra);

v  il relazionarsi con gli altri (amicizia con i coetanei);

v  il divertimento fine a se stesso;

v  sentirsi bene fisicamente.

Perchè esiste il fenomeno dell’abbandono?

Ogni anno migliaia di giovani abbandonano l’attività sportiva, ma raramente ciò accade perché è nata in loro una nuova passione a cui vogliono dedicarsi. I giovani abbandonano lo sport perché non trovano soddisfatti i bisogni che li avevano inizialmente spinti a intraprendere questa attività. Non si pratica più uno sport (drop-out) quando le motivazioni iniziali non sono, in parte o del tutto, soddisfatte.

La motivazione

Per i bambii e per i giovani dai 6 ai 13-14 anni è molto importante il sostegno dell’Istruttore-Educatore, dei genitori, degli amici (dimensione affiliativa), il giocare con i compagni ed  incontrarne di nuovi. Man mano che i bambini crescono e passano dall’infanzia alla prima adolescenza, emergono altre motivazioni, quali l’acquisizione di competenza sportiva, il desiderio di gareggiare e di confrontarsi con gli altri (agonismo da non confondersi con antagonismo). La motivazione è l’agente fisiologico emotivo e cognitivo che organizza il comportamento individuale verso uno scopo e costituisce la chiave di accesso ai risultati e può essere associato al termine “bisogno” (motivo-azione). La motivazione ha due fonti:

Ø  nasce dall’interno della persona (intrinseca);

Ø  scaturisce dall’esterno della persona (estrinseca) e deriva da altre persone (allenatore, squadra, famiglia) attraverso il rinforzo (positivo/negativo) e ricompense.

Il drop-out

Drop-out, letteralmente significa “cadere fuori”, “ritirarsi”. Da studi e ricerche effettuate si evince che circa il 20% dei maschi e il 40% delle femmine interrompe prematuramente la pratica sportiva agonistica. La fascia d’età più a rischio è tra i 15 e i 17 anni per i ragazzi, mentre per le ragazze questa tendenza si manifesta leggermente prima. Per certi aspetti il drop-out può essere considerato “fisiologico”, essendo inevitabile un mutamento di interessi e priorità nella vita dei giovani.

Perché si abbandona lo sport?

Quali sono le carenze o le azioni negative che accelerano l’abbandono o comunque nulla fanno per contenerlo? Per il giovane i motivi basilari di questa scelta sembrano essere:

v  la carenza di momenti di gioco e di divertimento;

v  poco tempo libero a causa degli allenamenti;

v  altri interessi;

v  troppi compiti;

v  diminuzione dell’autostima;

v  una spropositata esasperazione della competizione sportiva (ansia pre-agonistica, mancanza di successi, noia e monotonia dell’allenamento, rapporto genitori-allenatori, difficoltà di coesione con il gruppo, rapporto allenatore-atleta, infortuni);

v  il raggiungimento della vittoria ad ogni costo.

Le cause specifiche comuni a molti casi di abbandono sportivo, sono:

v  lo studio, inteso come un impegno che richiede sempre maggior tempo;

v  il non sempre facile rapporto con l’allenatore, a volte poco attento alla relazione interpersonale e spesso troppo esigente;

v  le difficoltà legate alla socializzazione e alla competizione con i compagni e spesso viene a mancare “il gusto” di stare in compagnia e di divertirsi;

v  la troppa fatica fisica che si deve sopportare durante gli allenamenti;

v  l’ansia da competizione che è generata dalle eccessive richieste ambientali (non bisogna attribuire troppa importanza al risultato da parte dei genitori, allenatori, dirigenti; bisogna scegliere competizioni sportive adeguate (non frustranti); occorre prestare attenzione all’impegno e ai miglioramenti che di volta in volta si ottengono e non fare paragoni con gli altri;

v  gli scarsi risultati ottenuti nella disciplina praticata;

v  l’inizio troppo precoce dell’attività agonistica;

v  le strutture sportive troppo lontane e talvolta fatiscenti;

v  i costi troppo alti;

v  i genitori troppo “pressanti”.

Conclusioni

Il giovane deve avere fiducia in se stesso e in quello che è in grado di fare. Nella formazione dell’autostima i fattori ambientali ed educativi sono essenziali e in particolare i giudizi espressi dalle persone significative (Genitori, Insegnanti, Educatori, Istruttori, Allenatori).

Si può studiare e allenarsi, non può essere una scusa “ho troppi compiti e non posso allenarmi! Troppi compiti salto l’allenamento! Quanti atleti si sono laureati e hanno vinto campionati mondiali e Olimpiadi, basta gestire bene la giornata e gli impegni, anche andare ad allenarsi è un impegno come studiare. Basta organizzarsi meglio e avere più autostima e non “franare” di fronte alle prime difficoltà.

L’acquisizione di fiducia in se stessi è la vera chiave della motivazione. Solo chi ha forti motivazioni vince gli ostacoli e le difficoltà e continua a studiare, ad allenarsi e a gareggiare: è importante mantenere alta la motivazione.

 

Tags: #allenamenti, #compiti, #educazione, #ragazzi, sport

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Nota sull’autore: Maurizio Mondoni

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