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Atletica

I primati rischiano di uccidere l’atletica

Da Pierangelo Molinaro 25/04/2017

Dal primato del mondo sulla maratona della keniana Keitany al tentativo di record all’autodromo di Monza del 5-7 maggio. Chiediamoci che cosa stiamo guardando 

L’ultimo urlo è quello della trentacinquenne keniana Mary Keitany alla maratona di Londra, 2h17’01”, primato mondiale femminile della distanza senza l’aiuto delle lepri. Un record del mondo è una cosa seria, rappresenta il miglioramento della razza umana, lo spostamento in avanti dei suoi limiti. Di certo la razza migliora, basta vedere in pochi decenni l’aumento dell’altezza media della popolazione. Merito di una migliore nutrizione, del miglioramenti delle condizioni di vita, dell’avanzamento delle conoscenze metodologiche di medicina e farmacologia.

Ma davvero tutti i primati mondiali, punto di riferimento per discipline assolute come atletica e nuoto che fanno riferimento a tempi e misure, dimostrano un’evoluzione tanti veloce? Darwin si rivolta nella tomba. Certo, da quando lo sport ha cominciato a dialogare con la scienza sono migliorate le metodologie di preparazione, la dieta, l’analisi della biomeccanica dello sforzo e dei tempi di recupero, ma tutto questo non è sufficiente per giustificare un progresso tanto veloce.

A volere questo scatto in avanti è stata la politica sportiva. L’equazione è semplice: i risultati sensazionali aumentano l’esposizione mediatica, attirano l’attenzione degli sponsor, portano denaro. Ma sono tutti veri? Cosa c’è dietro? Domande a cui è difficile dare una risposta, ma questa logica ha di sicuro prodotto storture importanti. Ormai per la caccia ad un risultato di valore si è disposti ad ogni compromesso, dai cronometri compiacenti al doping, ma soprattutto sono stati distorti i valori essenziali dello sport con esiti spesso dannosi per la popolarità della disciplina stessa.

L’atletica ne è l’esempio più lampante. Ormai ci sono sbuffi di delusione quando un primato del mondo viene fallito per pochi secondi se non centesimi, dimenticandosi che si è comunque davanti ad una grandissima prestazione. Soprattutto nel mezzofondo le gare vere si vedono solo nei campionati (Europei, Mondiali e Olimpiadi) perché le sfide dei meeting si risolvono in lunghe file indiane impiccate dai ritmo imposto dalle lepri, con l’esito finale, nella maggior parte dei casi, scontato. E i manager in questo hanno bella parte delle colpe. Dove sta l’emozione di gare costruite in questo modo?

No, l’atletica, quella vera, è scontro fra gli uomini, fra il loro talento, il loro coraggio, le loro paure, i loro sogni, sempre nel rispetto delle regole. I numeri a volte sono solo un veleno.

Mary Keitany a Londra a realizzato una grande impresa che nella maggior parte dei mezzi di informazione è passata quasi inosservata. Assuefazione ai primati? E’ il caso di farsi delle domande. Ma il bello deve ancora arrivare. Il 5-7 maggio l’autodromo di Monza sarà teatro dell’attacco al primato mondiale della maratona maschile (2h02’57”), il tutto organizzato da una multinazionale delle calzature sportive. Ci saranno grandi atleti africani, si partirà nel momento climaticamente più favorevole e davanti ci sarà una grande auto con un enorme tabellone segnatempo che oltre a dare ai corridori in tempo reale idea del ritmo, addolcirà anche un poco il freno dell’aria che batte sul petto. Un preparazione scientifica, studiata in ogni particolare, forse per lanciare un nuovo tipo di calzatura. Ma ne vale la pena? Quando lo vedremo, dovremo anche chiederci che cosa stiamo guardando.

Pierangelo Molinaro

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Nota sull’autore: Pierangelo Molinaro

Ha studiato Biologia all’Università di Pavia. Dopo le esperienze all’Informatore, Corriere di Pavia e SuperGol, ha seguito da inviato per la Gazzetta dello Sport 12 Olimpiadi, 27 Mondiali e 7 Europei di atletica, 5 Paralimpiadi. E’ specializzato anche di sci e doping.

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