Terremoto su Ovalia. La Nuova Zelanda, campione del mondo in carica da due edizioni di fila, vincitrice a ripetizione di Tri Nationse Rugby Championships, è fuori dalla Coppa del Mondo. La notizia è però un’altra. È il modo con cui ha salutato il pubblico diYokohama. Con una prestazione incredibile. Incredibilmente scarsa. Subendo una lezione di gioco e soprattutto di testadall’Inghilterra che non ha solo vinto, ha dominato in lungo e in largo. Sul campo e in tribuna, dove Eddie Jones ha preparato la sfida da fuoriclasse vero. Un head coach straniero a insegnare rugby ai maestri inglesi, gli inventori di questo sport. Che arrivato a Londra si è presentato da spaccone, dicendo che quella squadra, reduce da un fiasco terribile al Mondiale di casa del 2015, sarebbe arrivata alla Coppa del Mondo successiva a battere gli All Blacks. Risultando subito indisponente e ben poco british, pur facendosi sopportare coi risultati.
Uno che sa sempre cavalcare le polemiche per caricare i propri giocatori e mettere pressione sugli avversari. I giornalisti inglesi in Giappone, negli ultimi giorni, hanno osato dire che l’Haka è ormai scenografia commerciale. Non c’è più nulla su tradizione e origini maori. Gli All Blacks la usano solo per intimidire gli avversari. Jones non aspettava altro. Avrà chiuso i suoi nello spogliatoio, fissandoli negli occhi e ficcandogli in testa più o meno queste parole.
Quando gli toccano la Haka questi s’incazzano a morte: la caricheranno al massimo. Se gli facciamo vedere da subito che non ci fa né caldo né freddo, diventano matti. Sfidiamoli mentre la fanno, avviciniamoci. Poi facciamo lo stesso in campo. Più loro si caricano, più partono all’attacco, più noi li aggrediamo, fermandoli subito. Saranno due volte disorientati.
Un capolavoro mentale degno del miglior Mourinho. E infatti un’Inghilterra partita così a razzo, in meta dopo un minuto e mezzo, con un gioco alla mano da rugby champagne della Francia dei tempi d’oro, e un’altra meta annullata per un velo di Sinclair, sembrava allenata da Franz Kafka più che dal ct australiano. Del resto, uno che da head coach dell’Australia padrona di casa ha perso la finale della Coppa del Mondo 2003 contro l’Inghilterra, poi a Francia 2007 è diventato campione sulla panchina del Sudafrica, nel 2015 ha lanciato il Giappone battendo proprio gli Springboks e ora guida l’eterna rivale, di metamorfosi se ne intende.
Col prosieguo del match, i britannici continuavano a imporre il loro gioco, a un ritmo infernale che rendeva la partita splendida. Dall’altra parte, una Nuova Zelanda che provava in tutti i modi a controbattere, con calci lunghi, ripartendo alla mano, variando e variando. Ma sbattendo sempre su un muro bianco, una difesa in grado di soffocare gli attacchi avversari già nella loro metà campo.Gli All Blacks si sono avvicinati alla meta solo in un’occasione, frutto di un errore inglese. Eppure dopo il primo tempo l’Inghilterra conduceva 10-0. Era chiaro che il secondo tempo avrebbe visto un’altra partita, con i britannici chiamati loro a resistere al ritorno dell’onda nera. Invece no, ecco l’incredibile. Al ritorno dagli spogliatoio i campioni del mondo del 2003, se possibile, giocano ancora meglio. Una mal condotta alla perfezione porta a una meta di Youngs che riflette a dovere la distanza tra le due squadre. Ma il TMO ravvede un pallone effettivamente perso in avanti. Seconda meta inglese annullata. La versione più brutta degli All Blacks si salva ancora. Quando, sul 13-0, c’è da giocare una touche, le squadre sono ferme. Hai tempo di pensare. Pensare che manca ancora più di un quarto di partita, che quei diavoli neri saranno pure inchiodati a zero punti, ma non si sa come sono ancora lì pronti a fregarti, stavolta dentro i tuoi 22 metri. Sempre alti e grossi. Così il tallonatore Jamie George, o meglio la sua umanissima ansia, scodella un pallone altissimo che scavalca le due file piazzate e finisce dove ArdieSavea sente l’odore del sangue, acchiappa l’ovale e corre in meta. Trasformazione di Richie Mo’unga e la partita si riapre, 13-7. La beffa più colossale sembra abbattersi sui ragazzi di Eddie Jones, ma se la partita è stata preparata alla perfezione, la tenuta mentale di più. Gli All… White continuano a vincere i punti d’incontro e ad essere di più degli altri in ogni ruck da contendere. Maro Itoje è dovunque, ma è difficile trovare il migliore in campo. I neozelandesi sono costretti a concedere falli e George Ford, cecchino di Sua Maestà, si conferma impeccabile dalla piazzola e centra i pali al 62’ e al 70’. A dieci minuti dal termine, l’Inghilterra conduce 19-7. Gli All Blacks insistono ancora, trascinati dalla forza della disperazione e dall’orgoglio, ma non possono che abdicare ai Leoni d’Inghilterra.
Aggressività offensiva, gioco alla mano, ma vittoria che poggia le basi su una mischia formidabile, da sempre marchio di fabbrica del rugby inglese. Aggiungere soluzioni nuove senza stravolgere le tradizioni di gioco. Il capolavoro tattico degno del miglior Ferguson. Swing Low, Sweet Chariot rieccheggia per tutto l’International Stadium, l’Inghilterra domenica inseguirà la seconda Web Ellis Cup della su storia contro la vincente di Sudafrica-Galles. Chissà che cosa s’inventerà per l’ultimo atto il Franz Kafka della palla ovale…