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Ciclismo

Velocità e inseguimenti, keirin e scratch: l’ennesimo miracolo all’italiana. Eppure le piste non decollano!

Da Marco Pastonesi 29/08/2018

Era dall’Olimpiade di Roma del ’60 che l’Italia della specialità non dominava così. E’ merito anche delle imprese di stradisti e pistard com Elia Viviani e Letizia Paternoster, e frutto del lavoro dei tecnici Marco Villa e Edoardo Salvoldi… 

Due medaglie d’oro (inseguimento a squadre uomini e corsa a punti donne), due d’argento (inseguimento a squadre donne e omnium uomini) e una di bronzo (omnium donne) agli Europei 2018, con il quinto posto nella graduatoria per nazioni. Addirittura 13 medaglie d’oro, cinque d’argento e tre di bronzo agli Europei juniores e under 23, con il primo posto nella graduatoria per nazioni. Era dai tempi dell’Olimpiade di Roma, nel 1960, che l’Italia del ciclismo su pista non conquistava, non primeggiava, non dominava così. La Signora degli anelli.
    Il ciclismo è nato sulla strada, ma si è moltiplicato sulla pista. I primi Mondiali in pista risalgono al 1893 per i dilettanti (a Chicago, negli Stati Uniti) e al 1895 per i professionisti (a Colonia, in Germania), i primi Mondiali su strada al 1921 per i dilettanti (a Copenaghen, in Danimarca) e al 1927 per i professionisti (nell’autodromo del Nurburgring, in Germania). Le acrobazie dei pistard erano spettacoli circensi e teatrali, erano fabbriche di scommesse e truffe, erano maratone ciclistiche e letterarie, erano brividi atletici e sessuali. Sulla pista si cimentava Buffalo Bill a cavallo (contro il corridore-panettiere Romolo Buni in bicicletta), sulla pista si incontrava Ernest Hemingway con bicchiere e taccuino (“Linart, il grande campione belga chiamato per il suo profilo ‘il Sioux’, che chinava la testa per succhiare cherry brandy da un tubo di gomma collegato a una bottiglia d’acqua calda sotto la maglia quando ne aveva bisogno verso la fine mentre aumentava la sua furiosa velocità”, da “Festa mobile”), sulla pista si respirava l’aria sottile dell’arte (per Mario Fossati il Vigorelli corrispondeva, valeva, era “uno Stradivari”) e l’atmosfera claustrofobica della vita (sempre Fossati ne definiva i frequentatori come “la parrocchia” e “la consorteria”). Finché, prosciugata dalla concorrenza delle corse su strada, la pista, un po’ dovunque, soprattutto in Italia, si è inaridita. Fra nostalgie in bianco e nero, fra miopie di politica ciclistica, fra fallimenti di amministrazioni pubbliche e private.
Oggi il ciclismo su pista sembra ritrovare linfa, energia, vita. “Perché ha fascino”, sostiene Felice Gimondi. “Perché fa scuola”, spiega Francesco Moser. “Perché dà spettacolo”, aggiunge Vittorio Adorni. “Perché è moda, tendenza, bellezza, perché regala colpo d’occhio e gioco di gambe, perché è un’oasi metropolitana e una grammatica universale”, dice Davide Cassani. In Italia è merito anche delle imprese dei ciclopedici (stradisti e pistard) Elia Viviani e Letizia Paternoster, e frutto del lavoro dei tecnici Marco Villa e Edoardo Salvoldi.
   Eppure le piste non decollano. L’unica coperta, a Montichiari, nel Bresciano, è stata chiusa per infiltrazioni dal tetto. La Federciclo segue i cantieri alle Bandie, vicino a Treviso, nella speranza che l’impianto sia disponibile entro il 2019. E si progetta un’altra pista coperta in Toscana, mentre lo scorso 2 agosto stata inaugurata quella aperta di Noto, in Sicilia. Intanto il Vigorelli di Milano (Angelo De Lorenzi ha appena pubblicato “Vigorelli e altre storie” per Youcanprint) è resuscitato, seppure a singhiozzo, ma grazie soprattutto al volontariato del Comitato Velodromo Vigorelli. Altre piste, da Ostuni a Padova, rimangono malinconicamente deserte: cattedrali vuote, spente, dismesse. Altre, da Fiorenzuola d’Arda a Bassano del Grappa, sopravvivono solo grazie a sforzi valorosi e straordinari. Villa, il c.t. della nazionale italiana maschile, non può che lamentare lo stato di abbandono del settore: “I tecnici delle squadre continuano a negarci i loro atleti, anche se ormai è arcinoto come l’attività della pista aiuti quella della strada”.
   Velocità e inseguimenti, keirin e scratch: l’ennesimo miracolo all’italiana.
Marco Pastonesi
Tags: ciclismo su pista, keirin e scratch

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Nota sull’autore: Marco Pastonesi

Genovese, ha seguito 15 Giri d'Italia, 10 Tour de France, 4 Coppe del mondo e 18 Sei Nazioni di rugby. Ha scritto, fra l’altro: Pantani era un dio, L'Uragano nero, Gli angeli di Coppi e I diavoli di Bartali, Ovalia - il dizionario erotico del rugby.

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