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Pallacanestro

Il “nostro” Manu saluta, coi suoi miracoli old basketball. Grazie, ma è un giorno triste…

Da Luca Chiabotti 30/08/2018

Ginobili si è ritirato a 41 anni dopo aver vinto tanto con i San Antonio Spurs e l'Argentina ma, soprattutto, aver emozionato col suo gioco e il suo modo di essere campione milioni di appassionati di tutto il mondo. E' stato un orgoglio anche per noi italiani che lo abbiamo lanciato e amato 

Porca miseria, che giorno triste. Dire che senza Manu Ginobili il basket non sarà così bello non è una delle frasi fatte che si usano spesso quando un grande giocatore si ritira e improvvisamente diventa anche più forte, più bello, più simpatico, più buono, più intelligente… Il basket di Manu, che ha annunciato il ritiro a 41 anni dopo 4 titoli Nba, un oro olimpico e tanti altri trofei, è stato veramente unico. Uno spruzzo di talento meraviglioso e un po’ folle che profumava di old basketball in un fisico comunque travolgente in gioventù che ha resistito stoicamente nonostante le botte prese, i contatti, la durezza nel gioco, i tuffi (il suo soprannome che mi è sempre piaciuto di più era El Contusion, perché finiva sempre per terra), fino allo scorso campionato. Il basket mondiale si è profuso in lodi e in attestati di grande stima per il giocatore e per l’uomo e, una volta tanto, sono parole giuste per un atleta rimasto sempre se stesso, trionfo dopo trionfo, milione dopo milione guadagnato, gentilissimo, disponibile, umile nella consapevolezza di essere fortissimo. Ginobili sembra finto tanto è normale, ma è stato sempre verissimo.
Ovvio che noi italiani avessimo un debole per lui, almeno quanto gli argentini. L’ho visto per la prima volta a Reggio Calabria, in un ristorante pizzeria sul porto dove si sfamava la colonia argentina che allora popolava la Viola: le sue prime esibizioni italiane erano già stupefacenti ma naif e ogni tanto fuori controllo. Mi sono stupito quando Ettore Messina lo chiamò alla Virtus Bologna perché ritenevo, sbagliando, che fosse l’antitesi della sua filosofia. In effetti la prima scelta era Andrea Meneghin che preferì la Fortitudo e Manu arrivò alla Kinder mentre Sasha Danilovic, a soli 30 anni, annunciava a sorpresa il ritiro. La fortuna, qualche volta, non è cieca. Ginobili si trovò immediatamente protagonista con le V nere già al vertice in Europa dimostrando la sua qualità più strepitosa: più alzavi l’asticella, più Manu riusciva ad elevare la qualità del suo gioco, a livello tecnico ma soprattutto mentale. In pochi mesi passò da un debutto sconfortante ad Atene alla conquista dell’Eurolega da superstella.
Manu, ma tutta l’Argentina nella quale fu fondamentale anche Hugo Sconochini (che aveva fatto qualche anno prima la stessa parabola di Ginobili, da Reggio Calabria al titolo continentale con la Virtus con la medesima “garra” in campo e la stessa gentilezza e dolcezza al di fuori), mi ha regalato una delle più grandi emozioni della mia vita sportiva. Nel 2002, al Mondiale di Indianapolis, l’Argentina riscrisse la storia del basket: fu la prima nazionale a battere gli Stati Uniti dopo 10 anni di dominio assoluto, meritato ma anche tanto arrogante dei vari Dream Team. Manu, che l’autunno successivo sarebbe passato professionista a San Antonio, impattò la gara con leggiadria e crudeltà tecnica. Tutti si aspettavano la rimonta degli americani dopo un primo quarto disastroso, mentre io alternavo esaltazione e sofferenza al passare dei minuti, ma non arrivò mai. Purtroppo Ginobili poi si infortunò non potendo giocare al suo livello la finale con la Jugoslavia che vinse il titolo (in Argentina usano il verbo rubò…). Il disastro avvenne dopo: nel lungo volo di ritorno, la caviglia infortunata e gonfia gli “esplose”. Arrivò a San Antonio ancora mezzo zoppo, per questo il suo impatto con la Nba fu ancora più difficile.
Oggi che abbiamo negli occhi le sue giocate meravigliose, le sue imprese, i 4 anelli vinti, l’ultimo a 7 anni di distanza dal terzo, sempre fedele alla maglia degli Spurs, mi piace ricordare un piccolo aneddoto delle sue prime partite americane. Il 22 novembre 2002, ero a San Antonio alla partita contro Memphis. Gara sonnolenta. Gli Spurs vanno sotto, entra il rookie Manu ed è come aprire una finestra alla brezza di una sera d’estate: San Antonio si scioglie e va avanti. Richiamato in panchina, non viene più considerato da Popovich fino a quando la partita è stravinta. Ginobili rientra solo alla fine del terzo quarto, un po’ contrariato, sbaglia tanti liberi (1/7) e va a fare la doccia. Dopo la gara, i giornalisti di San Antonio circondano il coach dei Grizzlies, il mitico Hubie Brown ancora oggi sulla breccia come telecronista a 84 anni, gli chiedono scuotendo la testa di quel rookie argentino poco produttivo che Popovich fatica a capire, soprattutto quando inventa passaggi che solo lui riesce a immaginare cogliendo di sorpresa allenatore e compagni. Hubie, tra la sorpresa generale, dice più o meno che Ginobili è stato la chiave della vittoria degli Spurs e che sarà un giocatore fondamentale per il successo San Antonio. Bingo.
Manu ha giocato 1275 partite in 16 anni di carriera Nba tutti con gli Spurs segnando oltre 14 mila punti, ha vinto 4 titoli Nba, un oro e un bronzo olimpico, un argento mondiale, 4 medaglie continentali, un’Eurolega, uno scudetto più 2 coppe Italia con la Virtus. A 35 anni, a Londra, ha difeso ancora i colori dell’Argentina all’Olimpiade. Mi ha emozionato leggere i messaggi che LeBron James, Kobe Bryant e tanti altri campioni gli hanno dedicato, dove l’onore di averlo avuto come avversario o compagno, l’ammirazione, il rispetto sono mantra ripetuti all’infinito. Ma più prosaicamente mi sento vicino a Facundo Campazzo, il piccolo play argentino del Real Madrid che ha commentato laconicamente “Que dia triste”. L’imprecazione che chiude il suo messaggio su Twitter non la posso scrivere, qui.
Luca Chiabotti
Tags: Basket, Manu Ginobili, nba, ritiro

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Nota sull’autore: Luca Chiabotti

(La Firma) Inviato a 6 Olimpiadi, 7 mondiali e 15 europei basket, oltre 200 partite dello sport che è il suo grande amore ed ha caratterizzato la sua carriera, 35 final four, finali italiano del 1978. Esperto anche di sport americani, dal football al baseball.

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1 Commenti

  1. Il “nostro” Manu saluta, coi suoi miracoli old basketball. Grazie, ma è un giorno triste… (di L.Chiabotti) - basketnet.it
    31/08/2018 at 7:17

    […] Sportsenators a cura di Luca […]

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