Aldo Agroppi, AA, passerà nell’indifferenza di quelli che oggi parlano di pallone in tv come a un convegno di urologia. L’ingestibile Agroppi non ci si ritrovava e infatti apparteneva a un altro calcio. Forse proprio a un’altra dimensione. Talmente lontano da questa che se ne era completamente assentato, rinchiudendosi nel suo mondo: fatto di canzoni anni 60 e la depressione per compagna.
Era stato un idolo granata, un Cuore Toro della prima rinascita a cavallo tra gli anni 60 e 70, appena prima dello scudetto di Radice. Che di fatto lo fece fuori. Un mediano combattente, nella più ideale ed epica concezione del dovere: vai, corri, recupera, smazza, mena, sacrificati. Se Ligabue non fosse interista e l’avesse scritta dieci anni prima “Una vita da mediano” l’avrebbe fatta per Agroppi e non per Oriali.
In ogni caso, rendiamo il dovuto alla memoria di Aldo Agroppi, tecnicamente assai più dotato di quel che si voleva far credere. Uno di quelli che, nell’ idolatria di Sivori che ammirava come angelo dalla faccia sporca – pensa un po’, AA giovane fan di uno juventino… – giocavano con i calzettoni “a cacaiola”. Allora volgarmente si diceva così per quelli che andavano a calzettoni abbassati e senza parastinchi. Usciva dalle partite scapigliato, stravolto, spesso imbrattato di fango. Bellissimo. Per questo era un Cuore Toro.
Essendo di Piombino, si definiva toscano “di scoglio” a sottolineare la differenza tra la sua rudezza salmastra e i toscani “di sabbia”, più melliflui e politici, tipo Marcello Lippi. Che essendo icona della Juventus, per lui che era “anti juventino” per scelta, finì per diventare il suo polo di opposizione. Un’antica ruggine da giocatori diventata l’odio cordiale di una vita.
In ogni caso quando sentite dire per un pareggio “meglio due feriti che un morto” (si era nell’epoca dei due punti a vittoria), beh applicata al calcio è sua. Ed è l’istantanea perfetta di un modo tutto italiano di fare calcio. E non solo. Agroppi è stato un personaggio popolare, controverso ed estremamente complesso, tagliente e molto rischioso da maneggiare. Io ne sono stato un ammiratore proprio per questo.
Da Presley a Bob Dylan, da Mina a Modugno aveva una formidabile discoteca di diecimila dischi (che prestava anche alle prime avventuristiche radio libere) che ha fatto da colonna sonora alla sua vita e alla sua stessa epoca. La depressione che lo incupiva e compensava il suo carattere aggressivo, ribelle e fuori norma, non gli fece far carriera come allenatore. Anche perché aveva cominciato litigando a Coverciano con Allodi (ex Juve) e finendo ultimo nello stesso corso dove primo arrivò Arrigo Sacchi. No, come allenatore Aldo non sarà ricordato.
In compenso ha fatto parte della prima schiera dei commentatori tv presi direttamente dal calcio. Ed era quello più scomodo, scomposto, incisivo, duro, litigioso e irriverente che si potesse trovare in tv. Con la sua anti juventinità dichiarata non poteva andare lontanissimo, lo ha fatto finché lo ha potuto e fino a quando non è stato rimpiazzato da quelli che in tv snocciolano numeri e inutili considerazioni da dispensa scolastica. Senza scadere nella nostalgia, AA (no, non Andrea Agnelli) aveva un balzano e ingestibile concetto viscerale e popolaresco del pallone e del suo stesso stare al mondo. C’è un tempo per tutto. “For the times they are a-changing”.
*articolo ripreso da Bloooog! (bloooog.it), Il Bar Sport di Fabrizio Bocca