Milan-Lazio 1-2 è la cronaca di una morte annunciata, quella di un Milanaccio che fa orrore al suo passato e anche al suo stesso presente. E che soprattutto scorro la classifica e non trovo fino a quando non sono arrivato a metà.
Porgiamo le doverose condoglianze di fronte al loculo numero 9, dove giace – legati entrambi dal medesimo destino – il povero Santiago Nasar, amante condannato fin dalla prima pagina della sua triste storia, sepolto insieme a tutto l’armamentario della grandeur rossonera che fu. E che il trio Cardinale-Ibraimovic-Conceição ha riproposto vanamente ed esclusivamente a chiacchiere, spot, colpi a effetto, miliardi buttati al vento, calciomercato come se fosse un pomeriggio alla Rinascente – “mi sta bene Gimenez?” “Joao Felix è in saldo?” -, e copertine di Ibrahimovic che fa il modello su GQ in occasione della Milano Fashion Week (aggiunge sfiga a sfiga), sigari che a ripensarci sono chiari e minacciosi simboli fallici, e ultima ma forse prima in ordine di tragicità l’impresentabile e oltraggiosa divisa rossa, verde e gialla che il Milan indossava nel momento di maggior dolore. Ecchecz..o, almeno la forma, lo stile, dai…
Obbrobrio di divisa che si dovrebbe bruciare in rogo pubblico sul piazzale di San Siro. Perché se proprio bisogna cadere è giusto farlo dignitosamente con l’abito proprio e la maglia del cuore. Posto che i discorsi su cuore e sentimento abbiano ancora un senso in questo calcio qui. E soprattutto con una proprietà americana che ha la stessa tracotanza sborona di Trump nello Studio Ovale.
Non vi racconterò una partita che avete visto perché ci vorrebbe un capitolo per ogni episodio chiave: il gol di Zaccagni, l’espulsione di Pavlovic, il pareggio in dieci di Chukwueze, l’uscita di Maignan su Isaksen e il rigore di Pedro al minuto 99. Tifosi umiliati e pure a rischio infarto.
Pur ammirato dai laziali Pedro e Guendouzi e ancora sorpreso da un Baroni che nessuno si filava e considerava, confesso che a un certo punto ho avuto un afflato solidale verso il Milan che mi pareva epicamente eroico nella reazione, mentre Conceição faceva francamente una gran pena. Ai tifosi inferociti e che contestavano già da prima dell’inizio della partita al grido di “Cardinale vattene”, il portoghese 2 (Conceição) ha restituito un Milan peggiore di quello del portoghese 1 (Fonseca). Andando a ritroso si finirebbe inevitabilmente come sempre nella valle delle lacrime e dei rimpianti di coloro, non Ibrahimovic, che volevano Antonio Conte e adesso lo vedono battagliare per lo scudetto. Mai scelta scatenò dal ventre rossonero maggior reflusso gastroesofageo.
Inutile cercare di salvare un rapporto che è ormai intossicato. Non esiste un destino diverso dalla separazione del Milan da Conceição, è scritto nel libro, sono come l’acqua e l’olio, non stanno insieme. Possiamo fare tutte le considerazioni che vogliamo ma è evidente che la squadra si sta drammaticamente decomponendo. Il terzo ko consecutivo in campionato e l’eliminazione dalla Champions League, la ripetuta autocastrazione del Milan in dieci per via degli espulsi, la mai risolta questione Leao – Theo Hernandez, e soprattutto la constatazione che quando Conceição ha preso il Milan alla 17a giornata la Roma di Ranieri gli stava 7 punti sotto e ora gli sta 2 sopra, sono una dimostrazione ancor più netta del Teorema di Pitagora.
Vabbé, vada come vada, ci si vede con Ibra alla Milano Fashion Week eh.
*Foto e articolo ripresi da www.bloooog.it, il Bar Sport di Fabrizio Bocca