Un numero 1 come Jannik Sinner lo sport italiano nemmeno se l’immaginava. Nell’immaginario azzurro e nella storia, l’idolo, l’eroe, è sempre stato fulminante ed estemporaneo, fallace e discontinuo, genio e sregolatezza, insomma, capace di imprese irripetibili, ma poi di cadute vertiginose e imbarazzanti. Nelle prestazioni ludiche, per non parlare di quelle comportamentali, con magari una macchia, un buco nero, un ma, un però. Invece questo ragazzo strappato dalle Alpi con gli sci ai piedi, con la faccia pulita le efelidi e i capelli rossi, da novello Merlino, ha estratto la spada della roccia di uno sport che, fino al 2000, cioé all’avvento al vertice federale di Angelo Binaghi, è stato semplicemente il peggiore fra le federazioni sportive del CONI. Come risultati agonistici e organizzativi e anche come immagine.
Sinner è stato subito all’altezza del tennis potente e veloce, è stato subito moderno nel frequentare le superfici rapide e nell’attaccare la palla e l’occasione. Diventando il simbolo non già della scintilla, della vincita al Superenalotto, ma del lavoro, dello studio, della perseveranza che si sublima nella resilienza, e quindi nella continuità. Di più. Da subito, ha messo freno ai facili entusiasmi e ai facilissimi tifosi di un paese che sale e scende con facilità dal carro dei vincitori. Ha pronunciato frasi totalmente contro corrente, tipo: “Io non guardo i social, non sono la verità”. O anche “Non seguo i numeri, le classifiche, la storia, ma il percorso, il continuo miglioramento”. Fino al telegramma sul gossip per la nuova fiamma, la collega russa Kalinskaya: “Sì, sto con Anna, ma mi conoscete, teniamo tutto molto riservato, non mi piace parlare tanto della mia vita privata”.
IDEE CHIARISSIME
Jannik non si lamenta, non cerca scuse, non tergiversa, non rimanda, non mente. Se le cose vanno male e perde, ammette serenamente la realtà, anche quando sbaglia, come a Vienna quando subisce le furbate di Tiafoe che coinvolge il pubblico, come a Montecarlo quando non richiama l’attenzione dell’arbitro su un doppio fallo che l’avrebbe portato al forse decisivo 4-1 contro Tsitsipas, come a Madrid quando sa che è meglio disertare ma proprio non resistite all’istinto del campione e peggiora il guaio all’anca. Jannik sceglie la strada senza ripensamenti: come quando a 13 anni lasciò casa per Bordighera alla scuola-Piatti e poi a 20 lasciò anche quella per sposare un progetto tutto suo, con Vagnozzi & Cahill, i tecnici del tennis, ma anche Ferrara & Naldi & Ceccarelli, che gli mettono a punto muscoli, fiato e testa. Jannik accetta tutto, tranne i ritardi di progresso, dai colpi all’attitudine in campo. Sulla falsariga del suo idolo, Novak Djokovic, cui, non a caso, toglie il numero 1.
ANTI-EROE
Sinner è ostinato, come quando, da bambino, spegneva e riaccendeva la luce della cameretta tirando la pallina contro l’interruttore. Rimanendo ben ancorato ai valori che gli hanno inculcato mamme e papà: soprattutto, onore e rispetto. Mai un gesto scomposto, in campo come fuori, una parola smodata, una polemica, una critica, un protesta. E’ rimasto quello che nel 2019 ringraziava la Federazione per la wild card alle Next Gen Finals, vincendole, da più giovane e sconosciuto del lotto. Quello che, non guardando all’uovo di oggi ma alla gallina di domani, giocò da subito i tornei pro minori saltando gli juniores. Quello che al papà cuoco in una baita in montagna dove la mamma faceva la cameriera chiese in regalo una macchina incordatrice per le racchette da portarsi dietro nei tornei per tagliare le spese. Quello che ha rovesciato le continue sconfitte contro i top 10 in continue vittorie, aggiungendo colpi e varietà a un repertorio che non poteva accontentarlo e lo faceva rodere di rabbia.
ESEMPIO
Così facendo, s’è fatto amare da grandi e piccini, appassionati e non, raggiungendo una quotazione che va oltre i 100 milioni di euro che gli vengono da premi e sponsor. “Se lo merita” è anzi lo slogan che l’accompagna anche da rivali ed avversari pure di casa Italia. Perché è genuino quando ringrazia Matteo Berrettini che gli lascia il posto, infortunato, al Masters, quando diserta la nazionale per impegnarsi più a fondo nei tornei, quando abbraccia l’amico Sonego in doppio e riconquista la coppa Davis, quando il giorno dopo il primo Slam è già con la testa al prossimo allenamento, quando sogna l’Olimpiade di Parigi. E’ bello avere un compagno di squadra così bravo, non “secchione”, un primo della classe che ti mostra la strada, con trasporto. Senza mai suscitare invidie. Nemmeno quando conquista anche il primo Slam, a gennaio a Melbourne, rimontando in finale quel diavolo di Medvedev, sulla scia del magic moment che, dal ko con Zverev ad agosto a New York, lo porta al numero 1 del mondo. Dove nessun altro tennista italiano è arrivato mai. Grazie, Jannik, eccezioni come te possono solo farci bene. Guarda la bella scia che stai lasciando: da Musetti ad Arnaldi, da Cobolli a tutti gli altri giovani leoni rampanti.
Vincenzo Martucci