Il Giro di Lombardia ha segnato la fine di un’epoca per il ciclismo italiano. Dopo venti stagioni fra i professionisti, Domenico Pozzovivo ha deciso di dire addio allo sport professionistico. Una scelta complicata, ma arrivata dopo che lo scalatore lucano ha firmato alcune delle pagine più belle della disciplina, fra il record di partecipazioni al Giro d’Italia e l’infinita rincorsa a quel podio “rosa” che non si è mai concretizzato.
A quarantadue anni, dopo una serie infinita di cadute che hanno minato la sua carriera, l’ex atleta della VF Group-Bardiani CSF-Faizanè non smette di sognare e, con in tasca una laurea in economia aziendale e una in scienze motorie, punta a ridare lustro al ciclismo nel Sud Italia.
Come si è sentito quando ha terminato il Giro di Lombardia?
E’ stato più emozionante del solito, anche se non lottavo per la vittoria. Ho faticato a trattenere la commozione, un po’ perché si trattava di una gara così importante, un po’ perché non pensavo che quel tipo di fatica non l’avrei più fatta.
Quando ha deciso che avrebbe smesso?
E’ stata presa a inizio stagione, quando ho scelto di correre ancora un anno. Mi trovavo senza contratto e, anche qualora fossi riuscito a trovarlo, sarebbe stata comunque la mia ultima esperienza per inseguire il record di presenze al Giro d’Italia. Mi sarebbe bastato così perché ho fatto una carriera molto lunga e non ero più disposto a sopportare i numerosi rischi che questa ha comportato.
Quanto è stata importante la famiglia Reverberi per la carriera?
Moltissimo, perché sono stati loro a darmi fiducia ancora quand’ero Under 23. Ho avuto la possibilità di disputare il Giro d’Italia già al primo anno da professionista e da lì ho vissuto una crescita graduale che mi ha portato ad affacciarmi a palcoscenici ancor più importanti. Il finale ha rappresentato un ritorno alle origini ed è stato bello concludere dove avevo iniziato la carriera.
Cosa l’ha spinta a correre per vent’anni fra i professionisti?
Il piacere di vivere questo sport e sfidare continuamente sé stesso in primis. Paradossalmente il grave incidente che ho avuto nel 2019, quando una macchina mi ha travolto in allenamento, mi ha allungato la carriera visto che mi erano stati prospettati grossi problemi al gomito. Sono riuscito tuttavia a recuperare una certa mobilità e poter tornare in bici mi ha consentito di andare oltre quello che mi ero prospettato.
Quanto le cadute hanno impattato sulla sua carriera?
E’ stato importante, ma mi hanno anche rafforzato facendomi crescere più velocemente del previsto. Ne avrei fatto anche a meno, soprattutto come l’incidente del 2019, ma esser riuscito a superare tutte queste difficoltà è per me un motivo d’orgoglio, che ha permesso a molti di prendermi come riferimento.
Com’è riuscito a conciliare studio e sport?
Lo studio è sempre stata una priorità perché mi è sempre piaciuto. La carriera professionistica chiedeva una dedizione quasi totale, anche se negli ultimi anni il ciclismo è un po’ cambiato. All’inizio c’era un approccio più rilassato e questo consentiva più facilmente di studiare. Nell’ultimo periodo il fattore agonistico è stato esasperato per ritagliarsi degli spazi non è stato facilissimo. Gli esami però non finiscono mai, per cui continuerò a studiare per tutta la vita.
Porterà avanti la passione della meteorologia?
Assolutamente sì, è nata sin da piccolo e mi ha aiutato anche nella mia professione, quando non esistevano le app meteo e alcune scelte di programmazione le facevo in base al meteo.
Qual è la vittoria più bella della carriera?
Quella a Lago Laceno, davanti ai miei tifosi che erano giunti lì per me. La squadra si era presa alcune responsabilità e ripagarla è stato fantastico.
In futuro il ciclismo potrà tornare a crescere al Sud?
Da quando eravamo giovani, la situazione non è migliorata di molto. A livello nazionale stiamo soffrendo per cui il Sud non beneficia di una situazione migliore. Io e Vincenzo (Nibali, NdR) siamo stati dei riferimenti per i giovani, ma dobbiamo rendere ancora più facile l’avvicinamento dei ragazzi al ciclismo, consentendo loro di non emigrare sin da giovanissimi.
Cosa farà ora che ha detto addio al ciclismo?
A breve diventerò papà. Con mia moglie la nostra prima esperienza, quindi cercheremo di esser al meglio dei genitori, anche se non mi dispiacerebbe sfruttare la mia esperienza nel ciclismo e trasmetterla come coach.