Può un’espulsione segnare una carriera? Se ti chiami Gianfranco Leoncini tutto ciò può trasformarsi in un incubo. Pilastro della Juventus fra gli Anni Sessanta e Settanta, il difensore romano ha faticato a trovare la propria dimensione in Nazionale in un periodo di transizione per gli azzurri, da una parte ancora frastornati dalla scomparsa del Grande Torino, dall’altra segnati dall’assenza dai Mondiali nel 1958.
Nato nel 1939 a Roma, a due passi da Piazza di Spagna, Gianfranco cresce in pieno centro galoppando sui campi dei rioni capitolini con l’inconfondibile chioma bionda che lo rende visibile ai selezionatori delle grandi squadre, a caccia di nuovi talenti da lanciare. Proprio durante una di quelle sfide sul campetto dei Cavalieri di Colombo, nel febbraio 1958 lo nota Gigi Peronace, selezionatore della Juventus, il quale lo segnala ai bianconeri e lo chiama a Torino per firmare il primo contratto da professionista.
A soli diciotto anni Leoncini è spaesato, non ha mai lasciato la Capitale se non per pochi giorni durante le vacanze estive o i fine settimana e fatica a trovare appoggio nei genitori che lo vorrebbero impegnarsi negli studi. Per il difensore cresciuto nell’Augusta è un balzo in avanti enorme, quasi esagerato, ma che non gli impedisce di debuttare subito in Serie A e, a partire dalla stagione successiva, di giocare da titolare.

Con i piemontesi conquista nel giro di tre anni due Scudetti e tre Coppe Italia prima di entrare a tutti gli effetti nel giro della Nazionale in vista dei Mondiali in programma in Inghilterra nel 1966. L’Italia è quella del blocco interista in difesa con Tarcisio Burgnich e Giacinto Facchetti a cui si aggiungono il torinista Roberto Rosato e lo juventino Sandro Salvadore. A centrocampo la coppia debordante composta da Gianni Rivera e Giacomo Bulgarelli, davanti il giovane Sandro Mazzola e la coppia del Bologna tricolore composta da Marino Perani e Ezio Pascutti.
E’ un’Italia a trazione anteriore che il 22 giugno 1966 sfida l’Argentina all’Olimpico di Torino in un’amichevole che precede la rassegna iridata. L’obiettivo di Edmondo Fabbri è di testare la squadra con un avversario degno di nota, tuttavia le cose si mettono subito bene grazie all’espulsione di Silvio Marzolini che lascia la formazione di Juan Carlos Lorenzo in dieci dopo soli sei minuti.
La partita rimane in equilibrio, per lo meno fino al 32’ quando Pascutti, sfruttando cross teso dalla sinistra, si libera al centro dell’area e segna il gol del vantaggio. La situazione non cambia per lo meno fino all’inizio della ripresa quando l’attaccante dei felsinei anticipa il portiere argentino Antonio Roma di testa e fissa il punteggio sul 2-0. Grazie alla girandola dei cambi, Fabbri manda in campo Gigi Meroni al posto di Mazzola che, in pochi minuti, mostra il valore della Farfalla Granata. All’81’ si allarga sulla sinistra e fa partire un diagonale all’incrocio dei pali che non lascia scampo a Roma.
Gli highlights di Italia-Argentina del 22 giugno 1966
Tutto sembra andar per il meglio quando al 90’ Leoncini rovina tutto: il mediano juventino commette un fallo sconsiderato e viene così espulso dall’arbitro. Sembra una sciocchezza, che non modifica le gerarchie in azzurro, ma per Gianfranco è una macchia su un esordio in scioltezza. Nonostante l’ottima risposta, Fabbri non lo convoca per l’amichevole successiva con il Messico prima di inserirlo nella lista degli azzurri che volano in Inghilterra per i Mondiali.
Gianfranco non è più titolare e trascorre così la sfida d’esordio con il Cile in panchina a osservare i compagni di squadra imporsi per 2-0 e avvicinare il passaggio del turno. Vista la tranquillità che si respira in squadra, Fabbri decide di dargli una seconda chance nel match contro l’Unione Sovietica, ma l’ “Armata Rossa” può contare su una squadra rocciosa, in grado di tenere sempre il pallino del gioco.
Cosa che peraltro puntualmente accade a Sunderland il 16 luglio 1966 con gli azzurri che sono costretti a giocare di rimessa per provare a impensierire la porta difesa dal “Ragno” Lev Yashin. Quell’undici così offensivo che ha travolto l’Argentina meno di un mese prima appare in difficoltà ed ecco che al 57’, con un tiro dalla distanza, Igor Chislenko buca la rete di Ricky Albertosi. L’Italia non sa reagire, i russi non sbagliano nulla e la sfida finisce 1-0 per loro.
A quel punto Fabbri rivoluziona la squadra nella speranza di battere la “modesta” Corea del Nord, ma l’incubo di Doo-ik Pak, noto nel Bel Paese come “il dentista”, estrometterà gli azzurri dalla competizione e cambierà il destino di diverse generazioni, segnate dalla chiusura delle frontiere. Per Leoncini è la fine della carriera in azzurro nonostante un ulteriore scudetto con la Juventus che lascerà nel 1970 per dirigersi all’Atalanta.

In nerazzurro Gianfranco vivrà gli ultimi anni se si esclude una parentesi di un anno al Mantova, tanto che con gli orobici affronterà anche l’unica esperienza in panchina nel 1976 in Serie B con l’Atalanta a rischio retrocessione, salvata nelle ultime giornate proprio dalla maestria di Leoncini.
La vita non gli regalerà però grandi soddisfazioni tanto che negli Anni ’80 dovrà far i conti con una leucemia, sconfitta come un avversario in campo. Il tutto attirando l’attenzione del magistrato Raffaele Guariniello che lo interrogherà nel corso della sua indagine sulle malattie, in particolare la sclerosi laterale amiotrofica, diagnosticata a vari ex calciatori. Leoncini si spegnerà il 5 aprile 2019 a quasi ottant’anni, dopo aver visto la propria carriera cambiare per via di un’espulsione, la prima per un giocatore della Nazionale accaduta nello stadio d’appartenenza.