Nel calcio di oggi se ne vedono di tutti i colori. E non si sta parlando solo di fatti di campo o delle faraoniche trattative che si tengono attorno alle scrivanie tra club europei e facoltosi sceicchi sauditi. Basta, infatti, fare un giro sulle pagine Instagram dei principali club calcistici per rendersi conto delle mille tonalità differenti che casacche da gara, kit di allenamento, felpe in acetato e pantaloncini in tessuto tecnico possono assumere. Una dinamica che ha rischiato, rischia e sempre rischierà di mettere in secondo piano i sacri colori della propria squadra del cuore.
Ecco, dunque, un profluvio di maglie giallo canarino, fucsia e dalle mille arzigogolate fantasie, senza contare le tute fluo. Prodotti presentati ininterrottamente durante l’estate, spesso all’estero, e annunciati in pompa magna da comunicati stampa, interviste e intense sessioni di shooting con gli uomini immagine di ciascun club. C’è la prima maglia, quella per le gare casalinghe e che dovrebbe, il condizionale è d’obbligo, rispettare la tradizione del club. C’è poi la maglia da trasferta, per la quale gli stilisti unitamente alla società iniziano a prendersi qualche libertà creativa in più: per esempio studiando trame e motivi che rispecchino i monumenti cittadini; la seconda divisa del Milan 2020-2021 riprendeva l’architettura per l’appunto del Mudec, il Museo delle Culture di via Tortona. La vena artistica, però, trova massimo sfogo nel pensare e nel realizzare la terza maglia, un prodotto in grado di dividere un’intera tifoseria. “Trash”, “pacchiana”, “splendida”, “un must-have”. Sussurri e grida dai tavolini del bar sport del XXI secolo, ergo la sezione commenti di qualsiasi social.
Ma non è certo finita qui. Nel corso di una stagione potranno, infatti, comparire quattro, cinque maglie, alcune utilizzate per una sola partita, edizioni limitate, collaborazioni con brand di moda, kit virtuali, creazioni frutto di contest, Puma ne ha appena lanciato uno per realizzare la maglia del 125° anniversario della fondazione del Milan. Non c’è freno alla sperimentazione e alla creatività, decisamente deflagrate nel momento storico che stiamo vivendo: le maglie da calcio sono diventate la nuova frontiera espressiva per coinvolgere e attrarre nuovi tifosi, col rischio però di far storcere il naso a quelli di vecchia data. La maglia da calcio vuole travalicare i confini del campo, diventando un fenomeno culturale in piena regola. I colori della propria squadra nel XXI secolo vanno indossati quotidianamente e non solo in occasione delle partite o dei raduni estivi.
Ormai, siamo di fronte all’evoluzione dell’esperienza germogliata negli anni Novanta, quando il calcio si dotava di nuovi introiti. L’introduzione di Tele+, l’aumentare del numero di partite, l’aprirsi a nuove frontiere commerciali: i club cominciavano ad avere tre, anche quattro maglie a stagione, come fu per il Milan 1995/96, brand come Umbro vestivano con la prima e la seconda maglia del Manchester City i fratelli Gallagher, altri come Nike vestivano i panni dei debuttanti in questo mondo, consapevoli delle potenzialità commerciali di un mondo che si stava rapidamente evolvendo.
Negli ultimi anni, il cambio di passo è stato notevole, perché, se da un lato la maglia da calcio è diventata un oggetto alla moda, da indossarsi anche nelle occasioni più glamour, dall’altra ha permesso a molti club di utilizzarla come qualcosa di più: una sorta di cordone ombelicale con i tifosi. Dicevamo, però, che spesso parte del tifo più tradizionale è indispettita dal vedere le proprie squadre preferite indossare divise multicolori con inserti verdi, arancioni, rosa. Bisogna, però, entrare nell’ordine di idee che il futuro è già tracciato e porta con sé un mutamento del significato stesso legato alla maglia. Non più incarnazione della tradizione, suo irriducibile baluardo, ma la rappresentazione dell’identità di una squadra, che si è naturalmente sfaccettata stagione dopo stagione.
Le diverse divise di una stagione andrebbero quindi giudicate insieme, come l’intera collezione stagionale di un brand che sfila in passerella. Perciò ci sono maglie che guadagnano in termini di consensi e di eccitazione ancora prima di essere lanciate sul mercato, maglie che conquistano una popolarità street, slegata dal contesto della fede calcistica, come succede con i prodotti Jordan griffati PSG che vestono la stragrande maggioranza dei ragazzi di seconda generazione nordafricana non solo in Francia ma anche in Italia.
Oggi, le maglie da calcio sono investite di una precisa missione: valicare i loro limiti spaziali tradizionali, ergo il rettangolo verde di gioco. Ecco perché tra un lustro, con ogni probabilità, non ci sarà nemmeno bisogno che le quattro – o più – divise stagionali finiscano a tutti i costi sulle spalle dei calciatori. Gli appassionati, nel frattempo, avranno pienamente preso consapevolezza della capacità dei club di comportarsi da brand veri e propri. A patto, ovviamente, di fare le cose per bene e di restare credibili, fedeli a se stessi. Perché il nerazzurro su un prodotto destinato ai cuori rossoneri non rispetta l’armocromia di nessuna delle due sponde del Naviglio.