Mauro Fabris è un profondo conoscitore del volley femminile. A capo della Lega Pallavolo Serie A Femminile dal 2006, l’imprenditore vicentino ha dato uno volto al settore tanto da trasformare la Serie A1 nel “campionato più bello del mondo”. Un processo lungo, che ha condotto il volley tricolore a conquistare per la prima volta l’oro olimpico oltre a dominare le competizioni europee con i club. Tuttavia Fabris non vuole fermarsi qui e per offrire un futuro dorato alla pallavolo italiana è necessario compiere interventi decisi sia dal punto di vista infrastrutturale che economico.
La nomina di Egonu come miglior giocatrice al mondo è una conferma del valore del nostro campionato?
Sì, anche se questo è un premio che hanno dato i responsabili social della Volleyball World, però è uno dei tanti riconoscimenti che rappresentano il valore del nostro campionato. Lo scorso anno le squadre italiane hanno conquistato tutte le coppe europee; Conegliano ha vinto il Mondiale per Club con Milano giunta terza e a Parigi la Nazionale si è messa al collo l’oro. Tutto ciò dimostra come il nostro sia il campionato più titolato al mondo oltre a esser il più seguito e il più partecipato visto che possiamo vantare atlete provenienti da trenta diversi paesi. Il premio a Paola è quindi soltanto una conferma, considerato che nella top ten di quella classifica sono presenti ben altre sei atlete che giocano nel nostro torneo.

Quanto è cambiato il campionato da quando è arrivato lei nel 2006?
Come Lega abbiamo ricostruito il campionato pezzo dopo pezzo insieme ai Club, dandogli un’identità specifica. Quando sono diventato presidente, il nostro torneo non aveva un’identità, non c’era un ente televisivo che trasmettesse tutte le partite e si parlava decisamente di più della pallavolo maschile. Per dare un’identità abbiamo per esempio contornato di rosa i campi dove giocano le ragazze, cosa che è stata copiata dalla Lega Americana che ha aperto i battenti lo scorso anno. Abbiamo creato la prima tv di Lega, abbiamo lavorato molto per equiparare il campionato femminile a quello maschile. Per esempio, in passato lo stesso arbitro avrebbe guadagnato di più se avesse guidato una sfida al maschile piuttosto che al femminile. Abbiamo inoltre tolto club che utilizzavano la pallavolo per altro, aprendo alla massima trasparenza del movimento e consentendo agli imprenditori sani di entrare nel nostro sport senza rischiare di mischiarsi con realtà non trasparenti. Tutto ciò ha spinto gli imprenditori di primo livello a investire, non ricoprendo più il ruolo di mecenati, ma di finanziatori che hanno bisogno di avere tempo per rientrare dall’investimento. È una realtà che non nasce per caso, sia dal punto di vista sportivo con il risultato di Parigi che era atteso da tempo, che da un punto di vista economico. È un dato, inoltre, che tutte le giocatrici della Nazionale giochi nel nostro campionato rispetto al passato e ciò accade perché abbiamo un sistema sano, trasparente, che possa pagare il cachet di atlete importanti.

Economicamente ricevete aiuti dallo Stato?
No, perché è una realtà gestita totalmente dai privati e per il 90% il bilancio è composto da sponsorizzazioni e investimenti delle proprietà, il restante 10% arriva dalla biglietteria perché c’è un limite negli impianti indoor, non adeguati per il campionato più bello del mondo. Abbiamo tendenzialmente strutture vetuste, non in grado di ospitare competizioni europee. Basterebbe prendere il caso del Pala Eur di Roma che non è nemmeno dotato di aria condizionata. Abbiamo quindi pochi impianti che possono ospitare grandi eventi, un fattore non indifferente soprattutto se confrontato con altri paesi dell’Unione Europea come la Polonia, la Spagna, la Francia o la Germania. Dobbiamo quindi autofinanziarci a fronte di un’impiantistica inadeguata, che non ci permette di fare certe tipologie di eventi, con uno Stato che non ci fornisce nulla perché con il Covid era stata inserita una norma che prevedeva la detassazione delle sponsorizzazioni sportive. Con la cancellazione dello stato d’emergenza è sparita anche quella norma e quindi non abbiamo entrate da quel punto di vista. Le nostre Nazionali si poggiano di fatto totalmente sui club che garantiscono alle atlete una permanenza di sei mesi l’anno in azzurro, nonostante gli oneri economici siano di fatto totalmente sulle loro spalle.

Perché la pallavolo non è ancora uno sport professionistico?
In Italia gli sport professionistici sono soltanto quattro: il calcio, il golf, la pallacanestro e il ciclismo. Il riconoscimento del professionismo arriva dalle singole federazioni per cui non è una scelta che possiamo fare autonomamente come Lega o società. All’interno della riforma del lavoro sportivo abbiamo chiesto di inserire una figura intermedia fra professionismo e dilettantismo, ma non siamo stati accontentati perdendo di fatto una grande occasione. E’ importante che all’interno dello sport siano state riconosciute figure operative come il magazziniere, il mental coach o il massaggiatore, tuttavia avremmo voluto questo ruolo che potesse accompagnarci al professionismo a tutti gli effetti. Tutto ciò non è stato possibile perché ci si è persi a discutere della durata dei mandati, se il presidente federale potesse aver il terzo mandato e altre norme. Siamo interessati ad aumentare le tutele per le atlete da un punto di vista previdenziale come l’inserimento della maternità per le atlete. Siamo favorevoli a discutere questi punti, speriamo si possano inserire in un’eventuale riforma del diritto sportivo.
Qual è il vostro rapporto con la Federazione?
E’ un rapporto positivo e costruttivo. Voglio ricordare che siamo stati l’unica realtà sportiva mondiale in cui abbiamo ospitato nei nostri campionati di A1 e A2 il Club Italia, una squadra che ha sede a Milano ed è una formazione composta dalle promesse della pallavolo italiana selezionate dalla Federazione. E’ stata una felice intuizione da parte dell’ente federale che sono riuscito a far passare fra i club e che potesse partecipare regolarmente ai campionati maggiori. Tutto ciò perché, come più volte confermato dai nostri allenatori, per far crescere le ragazze non c’è soluzione migliore che farle partecipare a campionati altamente competitivi e qualificati, in cui sia possibile sia allenarsi al fianco di campionesse provenienti da tutto il mondo. L’accordo si è basato sulla decisione dei club di accettare di aver una squadra federale nel campionato a patto che non si riducesse ulteriormente il limite di straniere schierabili contemporaneamente in campo. Dopo che l’Italia non si qualificò per la prima volta ai Mondiali di calcio nel 2018, emerse la polemica che troppo pochi italiani giocavano nel campionato per cui, su input del CONI, si decise di inserire un limite agli extracomunitari nei vari sport di squadra. Questo limite si voleva applicare anche alla pallavolo femminile, però ci siamo battuti proprio perché ospitavamo già il Club Italia.
Quali sono i prossimi obiettivi per far crescere il campionato?
Stiamo chiudendo un accordo voluto da 31 su 34 club inseriti nella Lega per costituire una nuova società che possa dare ulteriormente lustro alla pallavolo italiana, un brand ormai riconosciuto in tutto il mondo. L’idea è di sviluppare questo progetto insieme a un fondo internazionale che investe nello sport e nel mondo del digitale al fine di rendere ancor più visibile la nostra disciplina, utilizzando il seguito che hanno le nostre atlete sui social. Attualmente la pallavolo viene vista sulle reti generaliste con Rai 2 che trasmetterà le finali delle Coppe Europee, oppure su DAZN con le partite di campionato o su Sky con le sfide di Champions. L’idea però è di dare la possibilità ai fans delle grandi campionesse sui social delle atlete stesse. Questa è una sorta di rivoluzione copernicana perché, partendo dei database delle nostre ragazze, potremmo raggiungere milioni di tifosi in giro per il mondo. Il prodotto diventerà decisamente più vendibile e quindi la novità assoluta non sarà più di cedere i diritti a un soggetto terzo che li gestisce come vuole, ma di poter gestire e sviluppare con questo fondo il prodotto pallavolo. E’ un obiettivo molto sfidante, ma è piaciuto molto ai nostri club perché crediamo nel nostro prodotto, che meriti molto di più da un punto di vista economico ed è giusto restituire ai club quanto hanno investito in questi anni.