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Tennis

Statue e giocatori, una similitudine magica che solo a Roma si trasforma in realtà

Da Angelica Fratini 16/05/2025

Passeggi per il Foro Italico e non sai se guardare il tennis o le statue. Tra i pini marittimi, la terra rossa e il sole che ti brucia (ovviamente hai dimenticato la crema solare), il Campo Pietrangeli è l’unico posto al mondo dove puoi vedere uno scambio tra due top 10 mentre ti osservano, dall’alto del loro bianco  marmo, semidei greci, atleti romani e filosofi assortiti.

E forse per un colpo di calore che sta per arrivare, ti ritrovi a pensare: “Se i giocatori fossero statue del Foro, chi sarebbero?”

Alcaraz sarebbe il Discobolo.

Slancio, potenza, bellezza cinetica. È ancora lì che lancia un dritto in corsa come se stesse sfidando la legge di gravità, ridendo, sudando, sbagliando, ritentando. È marmo vivo, e ogni tanto si sporca anche un po’, proprio come un buon antico atleta.

Djokovic  il Pensatore.

Rigido, concentrato, quasi immobile tra un punto e l’altro, ma dietro quegli occhi che fissano il vuoto si muove un universo di calcoli, angoli, psicologia spicciola e vendette tennistiche. Il suo tennis non è arte, è geometria applicata all’anima dell’avversario.

Zverev è… il Colosso incompiuto.

Una statua bellissima, scolpita con rigore, slanciata, fiera. Ma poi noti che manca sempre qualcosa. Un dettaglio. Una finitura. Un titolo. Una seconda di servizio.

Sembra sempre pronto a diventare un busto imperiale…e ogni volta, sul più bello, qualcuno inciampa nel piedistallo. Lui stesso, quasi sempre.

Il pubblico lo guarda come si guarda una statua moderna in mezzo a quelle classiche: con attenzione, ma anche con il dubbio: “È davvero finita o qualcuno tornerà domani a completarla?”

E poi c’è Sinner.

Per Jannik serve una statua diversa. Sinner è un altro tipo di classicismo: quello silenzioso, che non fa la voce grossa ma poi ti costruisce l’Impero. La sua statua al Pietrangeli, sarebbe quella leggermente in disparte, con lo sguardo dritto davanti a sé, come se stesse già pensando al punto dopo. Non urla, non si mette in posa, non cerca l’applauso. Ma è lì, immobile e concentrato, come se qualche cosa di importante sta per accadere. Sinner è il Marco Aurelio del circuito. Parla poco, tira molto. Sbaglia una palla, ne mette dentro dieci. Il suo tennis è marmo minimalista: non c’è una decorazione di troppo, ma tutto è al posto giusto.

Al Pietrangeli, tra statue che mostrano i muscoli e altre che sognano la gloria, Sinner è quella che non si nota subito però poi ti chiedi: “Com’è che non l’avevo visto prima?”

Perché, come lui, anche la vera classe non fa rumore. Ma lascia il segno.

Da Roma, Angelica Fratini (foto della nostra inviata Marta Magni)

Tags: Statue e giocatori, una similitudine magica che solo a Roma si trasforma in realtà

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Nota sull’autore: Angelica Fratini

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