Lo chiamano “El Negher di Porta Romana” per via della carnagione scura, ma Carlo Orlandi manco se ne accorge di quel soprannome che gli hanno accostato. Non tanto perché preferisca soprassedere a quei richiami alla sua carnagione scusa, ma perché Carlo è sordomuto sin dall’infanzia, un handicap che non gli impedisce di vincere un oro olimpico e sconfiggere i pregiudizi di un intero regime.
Nato a Seregno il 23 aprile 1910, Carlo cresce nel quartiere popolare di Milano dove da bambino subisce un aggressione da un cane che lo azzanna al collo e gli lascia un danno permanente. Il piccolo perde praticamente l’udito e il trauma lo porta a essere quasi balbuziente. Si innamora ben presto della boxe e, ancora adolescente, inizia a frequentare le palestre della zona, folgorato dallo storico match fra Jack Dempsey e George Carpenter osservato al cinema. Nel 1927 inizia quindi la propria carriera laureandosi campione lombardo e mettendosi in luce in una serie di incontri a livello regionale.
A fine anno ha l’onore di rappresentare la Lombardia in un incontro in Danimarca vinto su Jensen ai punti, un motivo per puntare direttamente all’Olimpiade di Amsterdam 1928 vincendo la preolimpica a febbraio alla Sala Carpegna di Milano contro Mariani e superando al Teatro Verme qualche settimana dopo il danese Zebitz. Ai Campionati Italiani Orlandi è un furore sconfiggendo in serie il marchigiano Neri, il siciliano Di Natale e il conterraneo Arcelli guadagnandosi la convocazione per il raduno preolimpico sul Lago di Segrino, nel Comasco.

Il giovane milanese sembra indemoniato, fra i pesi leggeri nessuno gli tiene testa e per questo motivo viene confermato per l’Olimpiade con la spedizione azzurra che viene alloggiata sul piroscafo Solunto a largo di Amsterdam. La competizione non parte nel migliore dei modi visto l’8 agosto, contro lo spagnolo Sanz, Carlo sembra impacciato, forse bloccato dall’emozione oppure da quel maledetto incisivo che si spezza proprio nel momento decisivo. Ciò non gli impedisce di dare il via a una cavalcata vincente battendo ai quarti il rhodesiano Bissett, k.o. nel primo round, e avendo poi la meglio ai punti in semifinale del danese Hans Nielsen, oro quattro anni prima a Parigi.
In finale non c’è storia: dopo due round equilibrati, Orlandi mette a segno i colpi giusti nel corso della terza ripresa mettendo al tappeto anche il favorito della vigilia, l’americano Steve Halaiko. Nonostante l’esito dei giudici sia ben chiaro, la delegazione statunitense non sembra essere dello stesso parere dando vita a una forte contestazione che non cambia però l’esito del match, con Orlandi che può lasciarsi andare a un’irrefrenabile esultanza. Secondo alcuni racconti, durante un ricevimento di commiato, la stessa regina Guglielmina avrebbe espresso parole dolci per lui.
Nei mesi successi Orlandi si conferma durante una tournée con la Nazionale Italiana a Stoccolma prima di passare professionista nel 1930 subendo però due anni dopo una brusca sconfitta in Argentina. Per il regime fascista è un grande scalpo tanto da accusarlo di “tradimento della patria” fino al punto di togliergli la qualifica di campione italiano. Nonostante venga più volte osteggiato, Carlo non molla e nel 1933 si riprende il titolo superando Saverio Turiello per poi trionfare anche a livello europeo nel 1934 contro il belga François Sybille. Continua a vincere lungo tutto il continente, ma il regime non gli dà tregua e aspetta un nuovo crollo.

Ciò arriva puntualmente il 14 luglio 1935 quando il portoricano Pedro Montanez, detto El Diablo, gli infligge un severo k.o. portando la Commissione Medica del CONI a togliergli l’idoneità sportiva portandolo a perdere oltre un anno e cadere in depressione. Orlandi è però un duro, si rialza ancora una volta e nel 1941 vince il titolo italiano fra i pesi “welter” continuando con l’attività sino al 1944 e chiudendo con 120 incontri all’attivo fra i dilettanti e 127 da professionista con un bilancio di 98 vittorie, 19 sconfitte e 10 pareggi.
A quel punto inizia a lavorare con il fratello Alfredo in un’officina, ma alla morte di quest’ultimo, si trova in grandi difficoltà economiche al punto da esser ricoverato in un ospizio a Milano. Si dice che l’amico Turiello, trasferitosi negli Stati Uniti, gli abbia più volte inviato del denaro per sostenerlo, ma ciò non basta per evitare la morte il 29 luglio 1983 a Milano, dimenticato da chi mezzo secolo prima lo osannava per ring di mezzo mondo.