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“One-Slam Wonders”: quando l’unico Major basta per entrare nella storia

Da Sport Senators 16/10/2025

Il tennis è uno sport di stratificazioni sottili: classifiche che oscillano ogni settimana, stagioni che cambiano la velocità delle superfici, narrazioni che dividono i “mostri sacri” e i talenti del presente e del futuro dai campioni di un giorno. E poi c’è una categoria a parte, affascinante e spesso fraintesa: i tennisti che hanno vinto un solo titolo del Grande Slam in tutta la carriera. In un calendario che ruota attorno ai quattro Major (Australian Open, Roland Garros, Wimbledon e US Open), ai Masters 1000, alle Finals e alle competizioni a squadre, questi protagonisti hanno inciso un momento tanto luminoso quanto irripetibile; è la dimensione in cui la gloria è concentrata in due settimane perfette.

E proprio la narrazione attorno a questi eventi, amplificata dai media, dalle analisi tecniche e dal grande interesse del pubblico, ha reso il tennis uno degli sport più seguiti anche al di fuori del campo, fino a entrare stabilmente nei linguaggi della comunicazione e nel comparto delle statistiche legate alle scommesse sul tennis online, dove le analisi, la forma e la storia dei giocatori diventano materia di confronto e di analisi sportiva più che di semplice pronostico.

Gli uomini del “colpo della vita”

Tra gli esempi più noti dell’era recente c’è Andy Roddick, campione allo US Open 2003 e poi tre volte finalista sconfitto a Wimbledon contro Roger Federer: vicinissimo all’impresa, ma alla fine fermato da un’era di ferro. Juan Martín del Potro ha scolpito il suo Slam nello US Open 2009, piegando una generazione d’oro prima che gli infortuni complicassero la traiettoria: resta uno dei ventidue titoli ATP del suo palmarès e l’unico Major. Marin Čilić ha firmato lo US Open 2014 e, pur tornando in finale in Australia 2018 e a Wimbledon 2017, quel New York resta il suo unico sigillo nei Major. Dominic Thiem si è preso lo US Open 2020 dopo due finali perse al Roland Garros (2018 e 2019) e una all’Australian Open (2020): l’austriaco ha espresso un picco altissimo ma alla fine si è fermato a uno Slam.

Un capitolo a parte merita Goran Ivanišević, campione a Wimbledon 2001 con una wild card: un caso unico nel circuito maschile, che racconta quanto imprevedibile possa essere la magia di Church Road. Se allarghiamo l’inquadratura, spuntano figure entrate nell’immaginario collettivo: Michael Chang, il più giovane vincitore maschile di sempre (Roland Garros 1989), e l’olandese Richard Krajicek, re di Wimbledon 1996, unico Slam della sua carriera.

Le regine dell’unico acuto

Nel tennis femminile l’elenco è ricco e trasversale. Sloane Stephens ha incantato agli US Open 2017, rientrando da un lungo stop e dominando la finale con Madison Keys. Jelena Ostapenko ha vinto Roland Garros 2017 da non testa di serie, primo titolo WTA in carriera: una corsa fuori pronostico che rimane, ad oggi, il suo unico Major in singolare. Sofia Kenin ha conquistato l’Australian Open 2020 (poi finalista a Parigi nello stesso anno), ma non ha aggiunto altre corone Slam. Bianca Andreescu ha riscritto la storia canadese con lo US Open 2019, restando l’unica campionessa Slam del Paese in singolare. Emma Raducanu ha compiuto nel 2021 un’impresa mai vista: prima qualificata nell’era Open a vincere un Major, a New York. Più di recente, Elena Rybakina (Wimbledon 2022) e Markéta Vondroušová (Wimbledon 2023) sono salite sull’erba più famosa del mondo con una vittoria che per ora rimane unica: la kazaka si è imposta nel 2022, la ceca è stata la prima non testa di serie a trionfare ai Championships in era Open.

La tradizione: Parigi e i suoi campioni “singoli”

La terra del Roland Garros, regno dell’imprevisto tattico e della resistenza, ha spesso consegnato alla storia campioni di “un giorno eterno”. Yannick Noah (1983) è l’ultimo francese a essersi imposto a Parigi, una vittoria divenuta simbolo nazionale.

Negli anni successivi, titoli unici anche per Andrés Gómez (1990), Albert Costa (2002) e Gastón Gaudio (2004), spesso in finali dal forte sapore tecnico ed emotivo. Allargando lo sguardo oltre Parigi, ecco Manuel Orantes, campione US Open 1975, e l’italiano Adriano Panatta, re del Roland Garros 1976: due percorsi che hanno fotografato un’epoca più artigianale del gioco, ma non per questo meno esigente.

Perché uno solo?

Le ragioni per cui si resta “mono-Slam” sono molteplici e raramente riducibili a un’unica spiegazione. C’è la specializzazione di superficie: alcuni picchi tecnici si sposano perfettamente con certe condizioni (si pensi ai terraioli “puri” di Parigi) ma faticano a convertirsi altrove. C’è poi il fattore era: Roddick, per esempio, ha giocato nel pieno dominio di Federer sull’erba e non solo.

Pesano gli infortuni (del Potro ne è il paradigma degli ultimi quindici anni) e, in alcuni casi, la difficoltà di rigenerare una performance irripetibile. Thiem, che aveva trovato il suo equilibrio tecnico e mentale, ha visto la corsa spezzarsi anche da problemi fisici che lo hanno portato a salutare il circuito dopo il 2024.

Un unico Slam… non è un caso

Raccontare i “one-Slam wonders” come sorprese estemporanee è superficiale. Dietro quell’unico trofeo c’è quasi sempre un filo logico: un gioco maturo che, in un contesto specifico, diventa ingiocabile (Ostapenko 2017), una settimana di letture perfette (Gaudio 2004), la consistenza di alto livello temporaneamente “liberata” da uno scenario senza i dominatori abituali (Čilić 2014). E non è affatto detto che resti “uno per sempre”: tra le campionesse citate, alcune sono ancora nel pieno prime e hanno già dimostrato di poter tornare a spostare gli equilibri in uno Slam (Rybakina e Vondroušová, ad esempio).

In definitiva, l’unico Major non è un’eccezione folkloristica: è una prova di eccellenza assoluta compressa in due settimane, un esame di maturità tennistica passato contro avversari, superficie, vento, calendario e – spesso – contro il peso della storia. Che sia arrivato sulla terra di Parigi, sull’erba londinese o sul cemento di New York e Melbourne, quel sigillo racconta sempre la stessa cosa: per un tratto, breve ma intensissimo, quel giocatore o quella giocatrice è stato il migliore del mondo. E questo, in uno sport che vive di dettagli, vale quanto una carriera intera.

Tags: “One-Slam Wonders”: quando l’unico Major basta per entrare nella storia

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Nota sull’autore: Sport Senators

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