Quando nel 2019 ha superato l’asticella posta a 2,33 metri, tutti hanno pensato che Stefano Sottile potesse diventare l’erede designato di Gianmarco Tamberi. Il giovane portacolori delle Fiamme Azzurre aveva soltanto ventuno anni e grazie a quel salto aveva strappato a Gimbo il record italiano Under 23 nel salto in alto ottenendo la qualificazione all’imminente Olimpiade di Tokyo 2020.
La comparsa del Covid, il rinvio dei Giochi di un anno e una serie di piccole sfortune hanno cambiato la carriera del 26enne di Borgosesia che, nonostante le numerose difficoltà incontrate, non ha mai smesso di credere nei propri mezzi. A distanza di cinque anni è arrivato così il titolo italiano con una misura di 2,30 e la qualificazione per la seconda Olimpiade della carriera.
Un risultato seguito a stretto giro dal terzo posto nel prestigioso Meeting di Montecarlo, valido come tappa di Diamond League, che accompagnerà ora l’azzurro a Parigi con l’obiettivo di riscattare cinque anni così complicati.

A Montecarlo è arrivato il terzo posto con 2.28. E’ soddisfatto della prestazione?
C’erano in gara il campione del mondo indoor Hamish Kerr, il vice Shelby McEwen, Woo Sang-hyeok che è stato bronzo in quella gara e ha vinto un oro in passato oltre al vicecampione iridato outdoor JuVaughn Harrison. Nei giorni precedenti avevo modestamente un po’ di paura perché non avevo mai fatto una gara di Diamond League fuori dall’Italia e per questo avevo il timore di sbagliare. Nel 2020 al Golden Gala sono arrivato terzo con 2,18, ma era l’anno del Covid e per questo è stato molto brutto, nel 2021 siamo andati a Firenze e non stavo benissimo facendo 2,16 all’ingresso e sbagliando a 2.21. In entrambe i casi ero stato invitato perché eravamo in Italia e mi ero qualificato per le Olimpiadi. Per questa è però la prima vera esperienza in Diamond League.
Come ha fatto a superare le sue paure?
Quando arrivi lì e vedi che stai bene, perché non dovresti saltare in alto? E’ vero che è presente gente fortissima, ma quando le condizioni sono ideali, ce la fai ad arrivare in alto. A Montecarlo è vero che avrei potuto fare 2.31, però non avevo più energie. La rincorsa era giusta, ma al momento dello stacco, perdevo tutto quanto fatto prima, non mi reggeva più la gamba. Dubito che fosse legato alla stanchezza per il numero di salti visto che ne ho fatti sette in gara e quattro in prova. Di solito per arrivar a quel tipo di fatica, devo arrivare a far almeno una ventina di tentativi. Probabilmente hanno influito le condizioni climatiche, un po’ il caldo e l’umidità che mi hanno causato quella stanchezza eccessiva. Peccato per quello, un pochino di rabbia c’è, ma penso di aver fatto una gara positiva.
Dopo cinque anni è arrivato un 2,30 a La Spezia che l’ha portata a qualificarsi alle Olimpiadi. Se l’aspettava di farcela?
Sapevo di potercela fare perché nel 2019 avevo saltato 2,33 e, fisicamente, sono più forte di quel momento. L’unica pecca è che sono po’ indietro con la tecnica, nel senso che non è che non sappia saltare, ma non riesco a tenere quelle velocità per saltare ancor più in alto quando arrivo sotto l’asticella. Se riuscissi a ritrovare la tecnica del 2019, son sicuro che possa andare oltre 2,33. In palestra vado infatti molto meglio, mentre a livello di massa muscolare sono rimasto praticamente uguale. La vera differenza sta nella gestione degli allenamenti: prima facevo due tecniche diverse e questo mi consentiva di fare meno salti, ma più precisi; sono obbligato a far più salti, ma con una sola tecnica, subendo quindi di più da un punto di vista fisico.
Cosa l’ha costretta a far questi cambiamenti?
Nel 2020 è arrivato il Covid e siamo rimasti letteralmente bloccati, potendo praticamente allenarmi soltanto in soffitta. Siamo tornati in pedana a fine primavera e, al secondo allenamento dopo il debutto in gara, ho preso una botta alla caviglia. Non riuscivo praticamente più a staccare tanto che non sono andato oltre 2,20. Nel 2021 ho subito un problema al bicipite che era in continua tensione, come se fossi sull’orlo di farmi male. Era un fastidio che non mi permetteva quasi di allenarmi e che mi ha costretto a ridurre ancor di più i salti in allenamento con una sola tecnica. Ciò ha influenzato anche l’Olimpiade dove mi sono strappato. Stavo anche saltando bene e, forse provato dalle troppe tecniche ad alta intensità, mi sono fatto male. Ho dovuto poi attendere il 2023 per sbloccarmi con il 2,27 a livello indoor arrivando agli Europei dove però ho patito uno scarico nervoso non andando oltre 2,08. Ai Mondiali outdoor mi sono invece fermato a 2,22 a causa della tensione, del fatto che la gara fosse al mattino e che non fossi in splendida forma. Avrei potuto arrivar anche in finale facendo 2,28, però le gambe non giravano. La tensione c’è per tutti, il problema è quando è sei in uno stato non perfetto. In quel caso le gambe non girano, nemmeno riesci a correre e di conseguenza a saltare.

Com’è stato invece l’avvicinamento ai Campionati Italiani?
Quest’anno è iniziato malino con una gara a 2,23 e poi una a 2,20, ma con condizioni meteo brutte e con atleti che saltavano al massimo a 1,90, di conseguenza ho faticato a performare. In quei contesti perdi quasi la voglia di saltare e per questo preferirei evitarli in futuro. Poi ad Arco di Trento ho affrontato una gara con sensazioni veramente buone, ma dove non ho ottenuto più di 2,21 perché quest’anno ho allungato di due passi la rincorsa e non ci stavo nella pista. Avrei potuto fare anche 2,30 probabilmente visto che già in allenamento avevo sfiorato quella quota, però finché non fai quella misura, non puoi essere certo di centrarla. Agli Europei di Roma ho avuto un briciolo di sfortuna perché se avessi superato l’asticella posta a 2,26, probabilmente avrei conquistato anche 2,29 e ottenere la medaglia. Peccato perché all’ultimo tentativo ho sfiorato l’asticella di pochissimo e, accompagnato a una tecnica non impeccabile, non sono riuscito nell’impresa. Prima degli Italiani ho fatto degli allenamenti sotto la pioggia dove ho sfiorato 2,20. Ero soddisfatto viste le condizioni, tuttavia ho visto la mia ragazza saltare e, finita la sua serie, ho provato a saltare con una rincorsa di cinque passi da fermo. Per un atleta con la mia struttura, avere poca velocità non aiuta molto. In realtà mi sono ritrovato a saltare meglio che con la rincorsa e di conseguenza mi sono ritrovato a ripensare al mio atteggiamento e notare come, in queste condizioni, non riesca a tenere alte velocità in rincorsa. Agli Italiani ho quindi ho fatto una gara molto controllata, andando più piano, ma riuscendo a staccare e fare le cose fatte bene. Confrontando i video del 2019, vado decisamente più piano e per questo dovrò lavorare sulla rincorsa, ma per ora meglio rischiare meno e portare a casa il risultato.
Cosa si aspetta dall’Olimpiade di Parigi 2024?
E’ un grosso punto interrogativo, ma sto molto bene e per questo punto ad andare in finale. Per farcela dovrò saltare probabilmente fra i 2,28 e i 2,30 che sono le mie performance migliori a livello stagionale. Non è scontato, ma non è impossibile, perché anche gli altri potrebbero avere difficoltà a superare quella misura tolti atleti come Tamberi, Barshim o Kerr. A differenza delle altre competizioni internazionali, la qualifica è praticamente una gara da fare prima della gara vera e propria. Poi quando si entra nella finale, può succedere di tutto come abbiamo visto a Tokyo dove abbiamo visto probabilmente la sfida olimpica con il tasso più alto della storia.
Come ha vissuto il “quarto d’ora d’oro” dell’atletica italiana a Tokyo quando sono arrivate le vittorie di Tamberi e Jacobs?
Purtroppo non ero lì, mi hanno fatto tornare a casa pochi giorni dopo la qualifica. Li ho supplicati di rimanere per vedere la finale di Gimbo, ma essendoci il Covid, non c’è stato nulla da fare. In molti siamo tornati indietro, però ci sono persone che hanno fatto la finale il giorno stesso che sono uscito io e sono rimasti. Ci sono rimasto veramente male, mi sono pagato il Wi-Fi in aereo per vedere la gara. Sono stato veramente contento nel vedere Gianmarco ottenere quel risultato, ma purtroppo non ero lì con lui.

Il carisma di Tamberi quanto l’aiuta nell’affrontare le sue sfide?
Quando sono in gara non riesco purtroppo a far come lui. A volte chiamo il sostegno del pubblico, ma non sempre tira fuori l’adrenalina che c’è in me. Nonostante ciò Gimbo mi ha aiutato in alcune occasioni come alle Olimpiadi, dove mi è stato vicino quando mi sono strappato, oppure agli Europei dove ha cercato di incitarmi per tirare fuori quello che c’era. Se c’è poi qualcosa, lo tiri fuori, altrimenti fatichi a tirarlo fuori. Tolte queste gare, è difficile che incontri Gimbo. Qualche volta ci vediamo ai raduni, ma spesso quando noi ci troviamo in inverno, rimaniamo in Italia, mentre lui è a Tenerife al caldo ad allenarsi. Sarebbe molto bello organizzare più raduni insieme a lui.
Quali sono gli ultimi appuntamenti prima di Parigi?
Avevo programmato di far una sola gara dopo gli Italiani, tant’è che Gimbo mi aveva invitato ad Ancona al suo appuntamento il 18 luglio, tuttavia ho dovuto rinunciare essendo presente a Montecarlo, più per recuperare gli sforzi e arrivare bene all’Olimpiade. Dopo la tappa di Diamond League, ho sentito il bicipite un po’ indolenzito, probabilmente perché è un po’ delicato oppure perché c’è un po’ di adrenalina. Vorrei evitare ulteriori problemi e quindi vorrei concentrarmi solo su Parigi.