Ieri, rivedendo dopo tanto tempo un mio ex giocatore di pallacanestro, una “promessa” a livello giovanile, gli ho chiesto “Dove giochi?” e la risposta è stata la seguente. “Prof, dopo di lei non ho più trovato un Allenatore che mi abbia toccato i tasti giusti per eccellere e a 14 anni ho smesso completamente di giocare e ho trovato altri interessi; gioco ancora a basket con i miei amici ma almeno mi diverto, cosa che non succedeva prima dell’abbandono”.
Il “drop out”
Il “drop out”, ovvero l’abbandono della disciplina praticata, è sempre più diffuso. L’agonismo esasperato, i genitori e l’ambiente esterno pressante …… inducono gli adolescenti a dire basta. L’80% dei bambini italiani in età prepuberale pratica almeno uno sport, ma verso i 13-14 anni, proprio durante la fase di sviluppo più delicata e in cui l’attività fisica sarebbe un vero toccasana per la crescita del ragazzo a livello fisico, psicologico e sociale, questo esercito di mini atleti si riduce drasticamente e divenuti adolescenti, la metà di loro abbandona.
Cosa succede?
Quali sono i motivi di questa improvvisa disaffezione? Il fenomeno, denominato “drop out”, è sempre più diffuso e ha
attirato l’attenzione di numerosi Psicologi, Terapeuti, Istruttori e Allenatori che hanno individuato attraverso le loro esperienze e i loro studi, differenti motivazioni:
– l’agonismo esasperato da subito;
– il risultato a tutti i costi;
– l’illusione preclusa di divenire dei campioni;
– nuovi interessi;
– genitori troppo esigenti e pressanti;
– la mancanza di divertimento;
– poche motivazioni;
– la poca appartenenza al gruppo.
Se i giovani non trovano soddisfatti questi loro bisogni primari, lasciano e all’origine dell’abbandono non c’è un’unica causa, ma più elementi spesso concomitanti. Per capire perché un ragazzo improvvisamente lascia un’attività sportiva che ha praticato per anni, è necessario comprendere quali sono state le molle iniziali che gli hanno fatto decidere di intraprenderla.
La vittoria ad ogni costo
Molte volte, tuttavia, nell’attività motoria e sportiva proposta agli Istruttori e Allenatori non c’è gioco, gioia e allegria e al loro posto pressioni eccessive, agonismo esasperato, allenamenti noiosi. Sono molti gli Istruttori e gli Allenatori più preoccupati a vincere o a non perdere, piuttosto che interessati alla prestazione dei propri atleti. Chiedere o pretendere da un bambino, fin dalla sua prima esperienza sportiva, la vittoria ad ogni costo, magari promettendo anche ricompense, può influenzare negativamente il processo di sviluppo delle sue motivazioni a continuare a praticare lo sport. Se a questo si aggiunge un inadeguato supporto emotivo nei momenti delicati degli insuccessi e delle sconfitte, si creano le premesse per cui il bambino giocherà non tanto per se stesso, ma per le richieste, per lui a volte incomprensibili, del nostro mondo fatto a misura di adulto.
L’importante è la prestazione, non il risultato
La componente agonistica è innata: a nessuno piace perdere. Ha per altro anche una valenza positiva per la crescita psichica ed emotiva degli adolescenti, ma va assolutamente rifiutata come filosofia e unico obiettivo, come un qualcosa di indispensabile per essere accettati e avere successo. E’ fondamentale insegnare ai ragazzi a gestire la sconfitta e a utilizzare gli errori, credendo in loro, apprezzando i loro sforzi e sollecitandoli continuamente a essere volonterosi e tenaci. Il giovane non ha fallito se, pur perdendo, ha dato il massimo. Ogni bambino, ragazzo, adolescente desidera essere rinforzato per la qualità della sua prestazione più che per la vittoria. Se un bambino, ragazzo o adolescente commette un errore non lo si deve punire, ma fargli capire dove ha sbagliato e cosa dovrebbe fare per correggersi, utilizzando un linguaggio sempre positivo e quando è a conoscenza che il suo Istruttore vuole il massimo dal suo impegno e per questo è rinforzato, non avrà più paura di provare e riprovare, accrescendo così la propria autostima. Al contrario, se il bambino, ragazzo o adolescente si aspetta di essere premiato solo in base al risultato, pensando alle possibili conseguenze negative delle sue iniziative, avrà il timore di fallire, mostrando ansia e insicurezza.
Per prevenire l’abbandono
E’ stato ampiamente dimostrato che esasperare l’attività agonistica in età precoce, da non confondersi con un avviamento
precoce all’attività motoria e al gioco, è la strada sbagliata, quella che con maggiori probabilità porta al “drop out”. Per evitare che ciò accada si deve affrontare il problema alla radice:
– all’inizio si deve far giocare il bambino allo sport e non fargli praticare lo sport;
– gli allenamenti devono essere divertenti, interessanti, didatticamente validi, con obiettivi legati all’età e al livello di maturazione di ciascuno;
– l’Istruttore non deve essere un leader autoritario, ma autorevole, non deve essere troppo permissivo, ma empatico,
motivatore, stimolatore, entusiasta; deve instaurare con i bambini e i ragazzi un dialogo sincero e creare un clima di gruppo positivo, in cui si respiri aria di collaborazione, fiducia, sostegno e stima reciproca;
– i genitori, pur essendo assolutamente indispensabili nell’organizzazione pratica delle giornate dei propri figli, devono interferire il meno possibile, evitando di esercitare pressioni e di riversare su di loro eccessive aspettative.