Con il numero 10 sulle spalle, Diego Dominguez ha scritto alcune delle pagine più belle e importanti del rugby azzurro (e parigino) a tal punto da essere considerato, anche dal resto del mondo ovale, una vera e propria leggenda. El Pibe de Córdoba ha analizzato, in esclusiva per Diretta News, la sfida di domenica tra Italia e Francia e, più in generale, i nuovi equilibri del torneo più importante d’Europa: il Sei Nazioni.
Sono solo nove i giocatori che sono riusciti a segnare oltre mille punti giocando in nazionale. Tra questi c’è un italiano dall’accento argentino (anzi, cordobés), la prima vera icona internazionale del rugby azzurro: Diego Dominguez.
Quando, nel 2000, l’Italia disputò il suo primo Sei Nazioni, c’era lui a guidarla con il suo piede destro privilegiato e il numero 10 sulle spalle. Oggi Dominguez continua a seguire la Nazionale non più con un pallone ovale in mano, ma con il microfono di Sky Sport – dove gli appassionati di rugby italiani possono seguire l’Italia e, più in generale, tutte le partite del torneo più importante d’Europa (in streaming su Now).
La passione, però, è sempre quella che lo ha portato a diventare una leggenda del rugby italiano e, via Parigi, mondiale. E già, perché tra il 1997 e il 2004, non solo Roma, ma anche la ville lumière era pazza di lui: “Devo molto alla Francia, ma domenica l’Italia può batterla”.
Che ricordi ha del primo Sei Nazioni dell’Italia?
“La Scozia era campione uscente del torneo, ma noi riusciamo a vincere contro tutti i pronostici. Un momento storico sia per me che per il rugby italiano. Era il nostro debutto nel Six Nations: erano tre-quattro anni che preparavamo quel momento. Nei giorni precedenti alla partita avevamo una fiducia enorme in noi e, poi, quando abbiamo visto l’atmosfera che c’era allo stadio… In situazioni del genere ti viene tutto facile”.
E dire che nonno Raffaele insisteva per farle scegliere il calcio…
“(Ride, ndr) Sì, da bambino mi ha portato a giocare a calcio. In realtà, ho fatto entrambi gli sport fino a 12 anni, ma poi ho deciso di continuare solo con il rugby”.
La sensibilità coi i piedi e il numero sulle spalle, in effetti, ricordavano quelli di un altro grande Diego.
“Sì, è vero. Ma io sono destro (ride, ndr). Ne ho visti tanti giocare. Ovviamente Maradona era Maradona. Ricordo il primo mondiale, poi il secondo. Era un momento top per il calcio argentino. Poi, però, in Italia ho conosciuto il calciatore che mi ha impressionato più positivamente di tutti per atteggiamento, professionalità e voglia di vincere: Paolo Maldini”.
È stato difficile rinunciare a giocare con i Pumas?
“In realtà, non ho avuto scelta. Tecnicamente non ho rinunciato, sono stati loro a sospendermi. Detto questo, giocare con l’Italia è stata una scelta completamente naturale per me. Avevo chiari i miei obiettivi. E poi, io, la cittadinanza italiana l’avevo già, sin da bambino. Mia madre è nata in Italia, è italiana, e ci aveva tenuto a fare la cittadinanza sia a me che alle mie sorelle. E, del resto, l’influenza italiana, a casa, era fortissima anche grazie ai miei nonni. A tavola si parlava in italiano”.
Per ripartire, dopo qualche anno di involuzione, l’Italia aveva bisogno di un altro argentino, questa volta in panchina.
“Quesada ha portato una motivazione nuova e un discorso diverso. E poi, parla l’italiano. Sì, parla italiano! È riuscito a trovare un sistema di gioco efficace per i giocatori che abbiamo. Mi è piaciuto tantissimo quando contro il Galles ha cambiato strategia. L’Italia deve puntare sulla velocità perché non è una squadra pesante fisicamente, ma leggera. Dura ma leggera”.
Un’Italia più veloce per esaltare le doti in corsa, tra gli altri, di Ange Capuozzo.
“Esatto. Capuozzo è un giocatore che deve giocare in velocità, non è un giocatore di confronto, è un giocatore di evitamento, è uno che gioca di gambe, in velocità, d’anticipo. Lui deve giocare negli spazi in velocità, se tu lo metti in uno spazio ridotto non ce la fa. E ha ancora margini di miglioramento come tutti i giocatori. Deve solo proporselo e allenarsi. Sta cambiando ruolo, gioca un po’ estremo, un po’ all’ala, anche a Tolosa dove forse gioca più all’ala. A me piace più come estremo perché diventa più imprevedibile. Contro la Scozia, infatti, è stato un po’ più bloccato, senza toccare tanti palloni, mentre contro il Galles è stato molto più in movimento durante tutta la partita”.
L’Italia può migliorare lo splendido torneo del 2024?
“Certo che lo può migliorare. Il torneo è appena iniziato, siamo alla seconda partita, ne ha vinto una e perso un’altra, la prima (persa contro la Scozia, ndr) è stata molto anche bella. E dico di più: sul 19 pari, con un po’ più di esperienza dei leader, mi riferisco al 9 e al 10, avremmo anche potuto vincerla. In quei momenti quando passi la linea di metà campo, invece di cominciare a giocare a destra e a sinistra, devi giocare una o due volte in mezzo ai pali: drop, tre punti e via. La Scozia era in grande difficoltà psicologica dopo la rimonta dell’Italia, ma con la meta del 24-19 hanno ritrovato la fiducia”.
L’importanza dei dettagli.
“Le partite si decidono così. A volte con un gesto tecnico, con una bella azione, un bel calcio. Ma l’Italia ha fatto comunque una bellissima partita. Così com’è stata ottima la prestazione contro il Galles vincendo nonostante il brutto tempo, con una pioggia intensissima. Il Sei Nazioni è apertissimo”.
Ottimista o realista?
“Ci restano ancora tre partite, due in casa e una fuori. L’ultima la giochiamo contro la più forte? E allora? Se riguardiamo la storia del Six Nations e vediamo le cose che sono successe… Favoriti che, alla fine, si sono ritrovati con tre o quattro sconfitte di fila. Un po’ come la squadra francese contro cui giochiamo domenica. Era la candidata numero uno a vincere il torneo, con grande slam compeso, e invece ha perso e potrebbe perdere anche altre partite. Sì, contro l’Italia può perdere. Non sarà semplice, ma potrebbe succedere. L’anno scorso hanno avuto tantissima fortuna, tantissima. La partita era persa. Era finita, ma sono riusciti a pareggiarla in extremis”.
L’anno scorso, però, non c’era Antoine Dupont.
“La sua presenza rappresenta senza dubbio un plus importante perché è un grande trascinatore, un motivatore. Quando c’è lui i suoi compagni tirano fuori il meglio. Sì, sarà una partita dura per l’Italia, ma se è vero che ci sarà Dupont, è altrettanto vero che non ci sarà Ntamack. E Dupont-Ntamack è la coppia d’oro della nazionalee francese. Ntamack è un grandissimo numero 10, il più costante di tutti e no, non ci sarà”.
Insomma, l’Italia può davvero pensare a battere la Francia 11 anni dopo.
“Sì, bisogna avere fiducia, bisogna continuare con lo stesso atteggiamento che l’Italia ha avuto sinora. La dinamica vista tra la prima e la seconda partita è ‘in crescendo’. Dobbiamo continuare con questa difesa molto aggressiva negli uno contro uno e lottare tantissimo. Puntare sul gioco al piede, come abbiamo fatto contro il Galles, e mantenere l’efficacia nella lotta aerea”.
La sensazione è che la Francia stia raggiungendo il giusto mix tra esperienza e talento giovane?
“Hanno giocatori di grandissima esperienza e alcuni giovani che stanno entrando bene in squadra. Il fatto è che questi giovani giocano ogni domenica il campionato più forte del mondo. E non lo giocano da una settimana, ma da almeno da due anni. Giocano test match durissimi ogni settimana e, quindi, sotto questo aspetto, sono un po’ avvantaggiati. Detto questo, anche noi abbiamo già otto giocatori che giocano nel Top 14/ProD2 francese e questa è una cosa molto positiva”.
Italia-Francia è un po’ il suo derby europeo. Parigi è la sua terza casa.
“È proprio così. Ho passato anni bellissimi in Francia. Ho giocato in un club straordinario, con 140 anni di storia, uno dei più antichi del paese. È stato davvero incredibile vincere 4 titoli in 8 anni. La Francia è un paese che mi ha dato tantissimo affetto e tantissime opportunità, gli devo davvero tanto”.
I bleus possono dare fastidio all’Irlanda fino alla fine?
“Assolutamente sì, la Francia è ancora candidata, sebbene l’Irlanda sia un po’ più avvantaggiata. Tuttavia, gli irlandesi, adesso, devono andare in Galles e, nonostante siano super favoriti, non sarà facile perché i gallesi venderanno cara la propria pelle. E, poi, dovranno giocare contro la Francia e venire a Roma. Quindi, attenzione, il torneo è ancora apertissimo”.
Che lettura fa del dominio irlandese degli ultimi anni: meriti propri o demeriti altrui?
“Assolutamente meriti propri. Tutte le loro province giocano un rugby competitivo. Il Leinster è la squadra numero 1 al mondo. Sono riusciti a dare un’identità organizzativa a tutte le loro province e hanno lavorato benissimo sulla formazione: la filiera irlandese è molto forte. Ogni anno irrompono in scena tre o quattro giocatori nuovi che sono molto forti e competitivi. Hanno messo in piedi un vero e proprio modello vincente”.
L’Inghilterra, invece, alterna costantemente alti e bassi.
“Sì, è vero, che hanno perso tanti test match a novembre, ma è anche vero che li avrebbe potuti vincere tutti perché hanno perso di 3-4 punti. E poi hanno perso contro gli All Blacks, il Sudafrica… Non è facile. Penso che anche l’Inghilterra stia percorrendo una buona strada, sebbene sicuramente le manchino alcuni giocatori di qualità. A differenza dell’Irlanda, infatti, la nazionale inglese non ha campioni in 7-8 ruoli chiave e non ha nemmeno 2-3 opzioni fortissime per ruolo. Basti pensare a cosa sta succedendo con il numero 10: sono 3-4 anni che stanno cambiando. Ne arriva uno, poi ne arriva un altro e un altro ancora che prima gioca bene e poi male.
La pesante eredità della maglia numero 10.
“Non sono riusciti a trovare quella regolarità che gli garantivano giocatori come Wilkinson e Farrell. Ma anche per quanto riguarda il numero 9 – e stiamo parlando di due ruoli chiave – non riescono ad avere costanza. In Irlanda, invece, nonostante Sexton sia stato lì per tantissimo tempo perché era fortissimo, oggi stiamo vedendo come ci sono almeno un paio di giocatori, entrambi forti, che stanno lottando per essere titolari”.
Perché la Scozia non vince il Sei Nazioni dal 1999?
“Anche per loro vale un po’ lo stesso discorso fatto per l’Inghilterra. Mancano giocatori e adesso che devono andare in Inghilterra sono stati sfortunati con Russell e Graham. E i loro ricambi non sono dello stesso livello. Non si tratta di avere riserve più forti, ma almeno più o meno uguali. Che poi, questo, è un po’ il problema che ha anche l’Italia: non abbiamo 3-4 giocatori forti per ogni ruolo, siamo contati”.
Il Galles si avvia al secondo cucchiaio di legno consecutivo…
“Mancano ancora tre partite. Andiamoci piano. Di certo sta attraversando un bruttissimo momento anche a causa di tutto quello che è successo fuori dal campo: i problemi della federazione, quelli economici dei club… Tutto ciò ha influito molto negativamente sul gruppo. Forse hanno gestito male la situazione. Per non parlare del ritiro di alcuni giocatori leggendari come Alun Win Jones, uno difficilissimo da sostituire. Tutti i problemi sono arrivati di colpo, non avevano previsto nulla, men che meno questa carestia di giocatori di qualità. Sono sicuro che si stanno facendo più di qualche domanda su quanto è stato fatto, negli ultimi anni, sotto l’aspetto della formazione dei giovani. Ma non se lo chiedono solo loro. Un tempo venivano fuori dei giovani fortissimi un po’ ovunque. Oggi, invece, sono in pochi a emergere ogni anno”
Articolo ripreso qui da Diretta.it