La Juventus che ricomincia da Vlahovic è come un nastro riavvolto su se stesso Quasi a simboleggiare, nel momento più basso e difficile culminato con l’eliminazione dalla Champions League, che l’espressione algebrica, quando non torna, è meglio rifarla da principio senza andare a caccia dell’errore, così, random, a caso.
Il gol di Vlahovic nel primo quarto d’ora di partita è stato stiracchiato e allungato come un chewing gum per oltre un’ora, facendoselo bastare a tutti i costi. A dire al mondo che anche questa Juventus qui si è arresa al fatto che il risultato è quello che conta e viene prima di tutto.
E segno di presenze paranormali sulla panchina bianconera il fatto che Thiago Motta non abbia sostituito Vlahovic con Kolo Muani ma lo abbia affiancato venendo meno al suo stesso dogma: un centravanti è pure troppo. Guardate che il dettaglio è clamoroso e sconvolgente, mi attendo dibattiti su questo.
Vincere 1-0 a Cagliari non mi pare trattarsi di impresa, ma va certo meglio questo che inanellare il millesimo pareggio. Oggi Thiago Motta deve per forza rivedere i suoi principi nonostante dica esattamente il contrario – “Siamo delusi e arrabbiati ma la strada è giusta e andiamo dritti su quella” – e le cose migliori la sua squadta le abbia fatte andando via in velocità e contropiede, puntando dritto per dritto. E dando soprattutto carta bianca a Yildiz.
Juventus più zemaniana che guardiolista, che non mi pare proprio il momento storico azzeccato (altri due gol in casa dal Liverpool). Il gioco di Thiago Motta sacrosantemente al servizio della Juventus, e non viceversa. Rifletteteci la differenza sta qui. Anche se il nostro lo negherà fino alla morte.
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L’afflosciamento del Napoli (tre pareggi consecutivi e un ko a Como) è dovuto più che altro a un’indigestione di emozioni e di fantasticherie. Nel senso c’è stato troppo Napoli prima per poter accettare che ci sia meno Napoli adesso.
Se poi ti metti Antonio Conte in casa è chiara l’accelerazione che vuoi dare, per cui quando la squadra incappa in un periodaccio viene giù l’intero castello. Che è una costruzione puramente immaginaria. E con questo non voglio sostenere gli alibi di Conte secondo cui a questo Napoli dovrebbe andar bene anche solo una misera Conference League.
Adesso, fino a quando questo sobbollire di frattaglie sensoriali riguarda tifosi, media e soprattutto social che tirano le somme con la calcolatrice senza fare sconti, e tutto quello che circonda la squadra, passi. Ma quando il sobbollimento investe direttamente presidente, allenatore e squadra beh allora la storia bisogna riscriverla.
Tra un Osimhen che è svanito e un Lukaku che arriva, tra un Kvaratskhelia che ti saluta e nessuno che lo sostituisce c’è comunque, sicuramente, un quadro mutato rispetto a qualche mese fa. Conte deve arrendersi a gestire le squadre secondo canoni diversi dai suoi e ormai inattuali, con De Laurentiis gli amori veri durano veramente poco ed è più facile che si affezioni a Massimo Boldi piuttosto che a uno come Antonio Conte, che obbedisce unicamente al suo professionismo e al suo stesso interesse. Per cui siamo sempre sul chi va là.
Detto questo l’ultimo Napoli conosciuto è stato quello disastroso dello scorso anno, il sorpasso dell’Inter non sopraggiunge per una evidente supremazia territoriale di Inzaghi & C, ma perché il Napoli stesso s’è martellato gli zebedei, c’è un punto di differenza e Napoli-Inter sta lì pronta a rimescolare la già citata frattaglia sensoriale.
Insomma, qui, adesso, ma che parlamme a fà? (Pino Daniele)
*Articolo ripreso da bloooog.it, il Bar Sport di Fabrizio Bocca