A Stoccarda torna alle gare Maria Sharapova, ne sono contento per lei e per il tennis, ma da ex giocatore, sono assolutamente contrario alle wild cardche le è stata concessa. Un giocatore che ha sbagliato e ha pagato è giusto che rientri nei tempi stabiliti dagli organi disciplinari, ma è anche giusto che lo faccia in virtù della classifica che ha in quel momento, e non in funzione di inviti degli organizzatori che snaturino il concetto stesso della classifica e delle regole che devono essere uguali per tutti.
Se non si chiamasse Sharapova ma Pincopallo sarebbe stata costretta a sostenere le sue normalissime qualificazioni o avrebbe ricominciato da ancor più in basso di tornei minori, dalle pre-qualificazioni, come sarebbe giusto, come succede a qualsiasi altro tennista che rientra da uno stop. A meno che non sia per infortunio, quando invece ha diritto per un po’ della classifica protetta, cioè di quella che aveva al momento del forzato stop. Questi aiutini che le vengono dati non mi vanno bene.
Le prese di posizione delle colleghe tenniste possono essere interpretate come segnali di paura e di egoismo e di invidia, ma quelle di Murray e compagnia sono state identiche, anzi, ancor più dure e radicali. E, io ascolto quelle, nella mia valutazione. Quindi, parlando di tennisti uomini, non si può parlare di gelosia, ma della difesa di un principio che viene violato e reinterpretato solo e soltanto in funzione del personaggio in questione, un campione, che però ha sbagliato, peraltro sul doping, e che andrebbe trattato come un qualsiasi altro atleta, a prescindere dal nome. Questo principio è peraltro il primo dei baluardi dello sport stesso, che mette tutti sulla stessa linea, alla pari, e decide, sotto gli occhi di tutti, chi è il più bravo utilizzando solo valori assoluti come lo sparo dello starter, il cronometro, chi si aggiudica prima punti, game e set.
Tutto questo nasce dagli interessi degli organizzatori, del pubblico e della Wta, serve per ravvivare l’attenzione, per far cassetta. Ma secondo me non è assolutamente regolare per gli altri giocatori.
Non so se il Roland Garros deciderà di concederle una wild card per le qualificazioni, semmai dopo questi tornei la Sharapova non dovesse acquisire la classifica necessaria per entrare in tabellone a Parigi. Trovo che anche questo concetto sia sbagliato in partenza: se un giocatore non possiede la classifica per disputare le qualificazioni, non disputa le qualificazioni, esattamente come tutti gli altri, per non violare l’integrità delle regole. Qui non siamo in presenza di un atleta che ha subito un infortunio o di un giovane dalle grandi qualità che si sta mettendo in luce e merita un test a livello maggiore, al quale non può arrivare al momento con le sue sole forze. Qui parliamo di un grande nome e di un principio violato. Il problema non è se la wild card viene concessa per le qualificazioni o per il tabellone principale non conta niente, quel che conta davvero non è il livello di aiuto, ma l’aiuto in sé. Che, per nessun altro verrebbe preso in considerazione, soprattutto dopo una condanna per doping.
Se dovessi essere io a giocarci contro, in questo primo match di Stoccarda, al posto di Roberta Vinci – che pure, come tante colleghe, pur ribadendo la stima alla tennista Sharapova fino al momento della squalifica, ha contestato questa wild card – non mi sentirei tranquilla e contenta. E, anche se so che non sarebbe la reazione giusta, avvertirei la sensazione di essere oggetto di un’ingiustizia. Trovandomi di fronte un’avversaria diversa da quella che, per classifica, mi sarei dovuta trovare di fronte. Anche perché non parliamo di un’avversaria qualunque, ma di una ex numero 1, di grande caratura e personalità, non certo di un’ex 90 del mondo, altrimenti nemmeno se ne parlerebbe. E, quindi, anche se, comunque vada, da giocatore, finirei su tutto i giornali del mondo e ne guadagnerei grande pubblicità, anche se magari, vincendo, ne ricaverei una grande spinta motivazionale, non mi sentirei sicuramente a mio agio, in campo.
La verità è che la Wta sta vivendo un momento terribile, e ha fortissimamente bisogno di Maria Sharapova, soprattutto ora che Serena Williams ha annunciato che salterà tutta la stagione per diventare madre. Kerber non regge da numero 1, Halep chissà dov’è, la Radwanska pure, Kvitova è fuori gioco, Muguruza non si capisce se è carne o se è pesce… Santa Maria Sharapova è proprio quello che occorre per ravvivare l’attenzione sul tennis donne e magari anche al vertice della classifica.
I giocatori protestano, ma gli organizzatori fanno i loro interessi di cassetta, vanno avanti comunque nelle wild card alla Sharapova, ed è difficile dargli torto. Fanno il loro mestiere e fanno contento il pubblico.
Anch’io se fossi un organizzatore non avrei dubbi, ma da ex giocatore mi chiedo piuttosto perché noi atleti non contiamo ancora nulla. Ho già avuto questa brutta sensazione nel 1973, quando il sindacato giocatori, l’Atp, era appena nato, il professionismo era stato sdoganato da cinque anni, e soltanto ad agosto il computer avrebbe sfornato le prime vere classifiche ufficiali, basandosi su criteri e dati univoci. Niki Pilic aveva disertato un match di Davis per giocare il circuito a soldi Wct, la federazione jugoslava lo aveva squalificato e noi giocatori, in 81, decidemmo di disertare addirittura Wimbledon per solidarietà e per ribadire il sacrosanto principio della nostra libertà. Oggi, 44 anni dopo, avrei sperato che i tennisti avessero finalmente voce in capitolo. Invece, devo pensare che è peggio di prima, perché allora eravamo all’inizio delle lotte sindacali, e la vicenda-Sharapova riguarda le regole del nostro amatissimo sport. Non solo come tennis, ma in generale.
Paolo Bertolucci