Quando si parla di Olimpiadi, il pensiero di ogni appassionato non può che andare a Carlo Airoldi, considerato tradizionalmente il primo italiano a prendere parte alla rassegna “a cinque cerchi”. Una storia molto intricata e che sconfina a tratti nella leggenda, ma che al tempo stesso racconta quali fossero le condizioni dello sport alla fine dell’Ottocento, quando i valori contavano molto di più di qualsiasi ingaggio economico.
Carlo nasce il 21 settembre 1869 a Cascina Broggio, nei pressi di Origgio (Varese), in un’Italia che si è unita da poco meno di un decennio e che molti dei suoi figli vivere grazie al duro lavoro nei campi, affrontato sin dalla più tenera età. Nonostante ciò Airoldi inizia a correre a quindici anni prendendo parte a sfide improvvisate ed estemporanee organizzate durante le sagre di paese dove gli abitanti “scommettono” sui vari partecipanti.
Lo stesso accade anche negli incontri di lotta e di sollevamento pesi, tuttavia è la corsa dove Carlo primeggia tanto che decide di impegnarsi maggiormente con l’atletica tanto da prendere parte a una serie di gare podistiche in giro per la Pianura Padana e non solo: nel 1894 vince Lecco-Milano, mentre in Svizzera si impone nella Zurigo-Baden. L’anno successivo è al via della Torino-Barcellona, una kermesse di migliaio di chilometri suddiviso a tappe. Nell’ultima frazione vede l’avversario diretto, il francese Ortegue, stramazzare per terra dalla fatica. Carlo non ci pensa due volte, torna indietro e se lo carica sulle spalle sino al traguardo tagliato da vincitore.
Oltre al successo, il lombardo si guadagna la tradizionale coppa e anche un premio in denaro, particolarmente utile per un operaio di una fabbrica di cioccolato che continua a praticare la lotta e l’atletica pesante, tanto da irrobustirsi e avere un torace da 120 metri di diametro e bicipiti da 45 centimetri. Con un fisico invidiabile, Carlo inizia a pensare alla prima Olimpiade in programma ad Atene, ma per raggiungere la città greca è necessario avere dei fondi.
Li trova nel giornale “La Bicicletta” che, in cambio di seguire il viaggio di Arnoldi a piedi fra l’Impero Austro-Ungarico e i Balcani, è pronto a offrire una ricompensa. Carlo non ci pensa due volte e, accompagnato soltanto dall’allenamento e da un coltello, il 28 febbraio 1896 parte per Atene. Passa da Trieste, Fiume puntando verso le coste dalmate al fine di passare da Cattaro e poi da Corfù. A Spalato fa amicizia con un veneto che, venuto a conoscenza della carriera podistica di Airoldi, gli propone di sfidare in una corsa il campione della città croata. Carlo vince, ma viene aggredito dagli scommettitori slavi, inferociti per la sconfitta.
Nonostante le disavventure, il varesino prosegue, tuttavia prima di arrivare a Ragusa cade e si ferisce a una mano dopo aver trascorso due notti all’addiaccio non avendo trovato ospitalità. Gli sconsigliano di passare dall’Albania per raggiungere Corfù a causa delle brutte condizioni delle strade e della presenza di briganti, motivo per cui decide di puntare sul piroscafo Tebe del Lloyd austriaco che, dopo aver fatto scalo nella piccola isola, lo fa sbarcare a Patrasso.
Da lì Airoldi segue i binari della ferrovia che conduce ad Atene, tuttavia nei pressi di Eleusi l’azzurro sbaglia strada e si ritrova a percorrere inutilmente quattordici chilometri prima di fermarsi nuovamente nella città. Il 31 marzo a quel punto compie gli ultimi 22 chilometri che lo separa dalla capitale greca, tuttavia quando arriva ad attenderlo c’è una brutta sorpresa.
Il Comitato Olimpico presieduto dal Principe Costantino rifiuta la sua iscrizione accusandolo di professionismo a causa di quel compenso ricevuto a Barcellona. Inutili le proteste di Carlo che, come dimostrato dal percorso compiuto, è tutt’altro che uno sportivo destinato a gareggiare per soldi. Qualcuno sostiene che gli organizzatori abbiano paura come la partecipazione di Airoldi possa cancellare le chance di vittoria dei padroni di casa, tuttavia Airoldi non si rassegna e decide di gareggiare comunque, sfruttando la confusione in partenza. Bravo a recuperare pian piano posizioni soprattutto all’uscita dal centro cittadino, dove il pubblico si dirada, si pone sulle tracce di un ungherese prima di staccarlo e raggiungere i due greci al comando.
Quando però Carlo arriva all’ingresso dello Stadio Olimpico, l’azzurro viene preso da parte da un giudice e prontamente fermato da alcuni soldati presenti in zona che lo conducono in commissariato e gli fanno passare una nottata in carcere. Mentre Spiridon Louis diventa il primo oro olimpico nella maratona davanti al connazionale Charilaos Vasilakos e all’ungherese Gyula Kellner, Airoldi passa un brutto momento dovendo rientrare in patria senza aver ricevuto risposta dal vincitore in merito a una possibile sfida sulla maratona.
Nonostante ciò quando torna a casa Airoldi vorrebbe battere il record di Louis scegliendo i 12 chilometri che separano Cassando d’Adda al Rondò di Loreto a Milano e fissando come data il 31 maggio. Le condizioni del terreno non consentono però che la sfida vaga in scena tanto che Carlo è costretto a rinviarla a metà giugno quando ulteriori problemi negano all’azzurro la possibilità di mostrare realmente il suo valore.
Il varesino però inizia a faticare a fronte di avversari più giovani come dimostrato il 26 luglio quando nella Melide-Lugano si ferma a pochi metri dal traguardo per cedere il terzo posto al dodicenne Luigi Lonardini. In quel periodo nasce una rivalità con un certo Gamba che lo affronta nella notte fra il 5 e il 6 giugno 1897 sul tratto Milano – Cernobbio – Punta Villa Pizzo – Milano percorso in precedenza da Redaelli in dodici ore. Carlo punta a migliorare quel record, ma ancora una volta arriva la sconfitta con il rivale che taglia il traguardo in 9 ore e 13 minuti mentre lui è costretto a fermarsi a una trentina di chilometri dalla conclusione.
Il 31 agosto successivo partecipa al primo campestre pedestre italiano arrivando questa volta secondo alle spalle di Cesare Ferrari, costretto negli ultimi chilometri a correre con una scarpa rotta che lo rallenta. I bei tempi della maratona olimpica appaiono sempre più lontani tanto che nel 1898 è costretto a trasferirsi in Svizzera per cercare lavoro affrontando il 4 settembre un cavallo a Zurigo sui 5000 metri percorsi in 19’45”.
Le sfide non sono ancora finite visto che 1899 partecipa alla Parigi-Marsiglia, mentre l’anno successivo vince la Friburgo-Berna prima di andare a cercare fortuna in America Latina dove non smette di esibirsi in prove al limite come trasportare per 100 metri un sacco di 450 chilogrammi a Rio de Janeiro. A Porto Alegre si mette in competizione ancora una volta con un cavallo, ma a causa della sua sconfitta, rischia addirittura di esser linciato dal pubblico.
A quel punto nel 1902 rientra definitivamente in Italia dove diventa un organizzatore di eventi sportivi, diventando peraltro dirigente del Club ciclistico La Veloce di Legnano e guidando così Carlo Galetti alla conquista delle edizioni 1910 e 1911 del Giro d’Italia. Nonostante il tempo trascorra, Airoldi diventa un mito dello sport italiano prima di spegnersi il 10 giugno 1929 a causa delle complicanze del diabete e portarsi con sé una miriade di aneddoti sulla prima Olimpiade.