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Tennis

“Io, Carlos Ramos, sono femminista da sempre!”

Da Sport Senators 27/09/2018

Una intervista di sei anni fa ci aiuta a delineare la personalità del giudice di sedia portoghese accusato da serena Williams nella chiacchieratissima finale degli Us Open. Per chi non lo conoscesse, si rivela persona impeccabile

Carlos Ramos, uno dei migliori arbitri di tennis al mondo, è finito nell’occhio del ciclone per la finale degli Us Open con Serena Williams.
Ma chi è questo direttore di gara? Proviamo a conoscerlo meglio riproponendo un excursus di una lunga intervista concessa sei anni fa, a seguito del Career Slam d’oro, al sito web Bolamarela.
Carlos Ramos, lei si è avvicinato al mondo del tennis come giocatore. Cosa le è mancato?
“Ho iniziato a giocare a tennis circa 11 anni fa, probabilmente troppo tardi, non avevo le capacità fisiche e di coordinamento e la forza mentale necessarie.”
All’età di 16 anni, iniziò a tenere riunioni arbitrali per finanziare le lezioni di tennis… E poi?
“Ho iniziato ad arbitrare per guadagnare soldi e riuscire a pagare così i miei tornei di tennis, le racchette, il club… I motivi finanziari sono stati sicuramente la prima ragione. Ho iniziato ad allenarmi al Jamor Tennis Club e ad essere giudice di linea nel Campionato Nazionale di prima categoria che a volte si teneva nello Stadio Nazionale, così come in alcuni dei primi tornei Challenger che si sono svolti in Portogallo. L’arbitraggio è un’attività che ti fa capire da subito se  c’è passione o no. E così l’interesse finanziario cessò rapidamente di essere la ragione per continuare ad arbitrare.
Quando ha capito che l’arbitraggio potesse diventare una professione?
“Ho frequentato il corso FPT nel 1987 poi tra il 1990 e il 1991 ho seguito il primo corso per arbitri della International Tennis Federation (ITF). Il corso è andato molto bene e pochi mesi dopo sono stato invitato a seguirne uno di livello superiore. È stato allora che ho iniziato a credere nella possibilità di avere una carriera internazionale. Avevo circa 20 anni, ho iniziato a giocare tardi ma ad arbitrare presto!”.
Il Portogallo non è un paese con una grande tradizione tennistica. Come è riuscito ad emergere? 
“Penso che per gli arbitri di tennis portoghesi sia successo un po’ quello che succede con i giocatori. Prendiamo l’esempio della Serbia che ha avuto tutti insieme diversi giocatori di ottimo livello, sicuramente molto ispirati dal successo di Novak Djokovic. Così, Jorge Dias, il primo arbitro della cattedra professionale è stata la persona che ha fatto credere non solo a me ma anche a Mariana Alves e Carlos Sanches avremmo potuto fare qualcosa a livello internazionale. Nei primi anni 90, in Portogallo, si giocavano molti tornei di tennis dei circuiti ITF e Challenger, che offrivano le condizioni ideali per arbitri come noi che stavano muovendo i primi passi sul circuito internazionale. Mariana (Alves), Carlos (Sanches), io e un po’ più tardi Rogério (Santos) sono stati quelli che si sono messi più in evidenza in un gruppo di circa 10 arbitri”.
Dopo aver completato il suo personale Grande Slam arbitrando anche la finale degli US Open 2011 – record dell’epoca -, ha diretto anche la finale olimpica, per cui chiuso il “Golden Slam”!
“Già, p stata l’ultima grande soddisfaziuine , ne sono orgoglioso”.
Come funziona la nomina degli arbitri per i Giochi?
“C’è un gruppo di arbitri che hanno le qualifiche necessarie e possono essere assegnati a questo tipo di gare. Dipende dalle nostre prestazioni sul circuito e da molti altri fattori, come la nazionalità dei giocatori ancora in gara. Un altro fattore che pesa molto è il rapporto che abbiamo con i giocatori di prima fascia, e a volte è necessario “fare una pausa” dopo un match controverso o in cui non abbiamo arbitrato bene. I quattro Slam investono molto nell’arbitraggio e desiderano che le finali dei singolari siano dirette da giudici nazioanali”.
Cosa aspetta dalla sua carriera?
“Ci sono diversi aspetti del mio modo di arbitrare che posso e vorrei continuare a migliorare. Questo è un obiettivo costante”.
Esistono misure che potrebbero essere implementate nel tennis per rendere l’arbitraggio sempre più equo? Che ne pensa della possibilità di misurare l’intensità delle urla delle giocatrici nel circuito femminile?
“La questione è complicata, non so se migliorerebbe il gioco, forse migliorerebbe soprattutto il confort degli spettatori. Alcuni sostengono che le grida non influenzano minimamente l’avversario, altri dicono invece che quei suoni non permettono di sentire la palla quando lascia la racchetta. Attualmente il circuito femminile è più influenzato dalle grida degli atleti rispetto al circuito maschile, ma non è affatto un problema esclusivo per i giocatori. Attualmente, un eventuale intervento per abbassare il volume delle urla dipende interamente dall’interpretazione dell’arbitro”.
Pensi che gli arbitri possano influenzare il risultato?
“Nel tennis succede che l’arbitraggio di una partita sia molto contestato, ma sono rare le situazioni in cui la decisione arbitrale o un arbitraggio errato abbiano alterato il risultato finale”.
Durante un torneo, che fa l’arbitro durante il giorno?
“Siamo tutti molto diversi. Per esempio, io ho bisogno di fare sport regolarmente per sentirmi bene e per fare bene l’arbitro. Corro per circa un’ora ogni giorno”.
Gli appassionati di tennis vedono spesso Gli “addetti al lavoro” del tennis come fortunatissimi.
“Viaggiare per il mondo, avere l’opportunità di guardare il tennis per ore, essere vicino ai giocatori… Certo, è bello, ma come in ogni attività, ci sono anche i “contro”, come la distanza da casa”.
Vantaggi e svantaggi della sua professione? 
“Questa professione è legata a qualcosa che amo, cioè viaggiare, ma è estremamente difficile coordinarlo con la vita familiare. È una situazione che abbiamo imparato ad affrontare, ma è anche molto difficile per mia moglie, i nostri due figli e me stesso”.
Lei frequenta entrambi i circuiti maschile e femminile, è giusto che distribuiscano gli stessi premi in denaro?
“Credo che ci debbano essere pari opportunità per uomini e donne. A mio parere il fatto che gli uomini giochino il singolare al meglio dei cinque set e le donne al meglio di tre non giustifica in alcun modo che gli uomini siano meglio pagati rispetto alle donne. L’uguaglianza di opportunità, deve essere riconosciuta e rispettata”.
C’è chi dice che stiamo vivendo “l’età dell’oro” nel tennis, più nel circuito maschile che nel circuito femminile. Secondo lei, è meglio il tennis di oggi o il tennis di 15 anni fa?
”Penso che il livello di tennis al vertice del circuito maschile sia il migliore che abbia mai conosciuto. La qualità dei giocatori e la qualità degli incontri quando giocano uno contro l’altro è incredibile”.
In vacanza, guarda spesso il tennis?
“A volte, ma non molto. Seguo il Masters: un po’ perché è un torneo che non arbitro, così posso vedere qualche partita interessante e l’arbitraggio dei miei colleghi”.
Ha un altro sport che ti piace oltre al tennis?
“Da bambino sognavo di diventare portiere di calio. Penso di aver iniziato tardi il tennis proprio per il calcio. Volevo tanto essere un portiere, ma ero troppo piccolo. Ha coinciso con il momento in cui il calcio ha iniziato a diventare uno sport molto più fisico ed è diventato fondamentale per un portiere essere alto e forte. Ci sono altri sport che mi piacciono. Oltre alla corsa, mi piace fare skate-in-line e sciare”.
Immagina dove sarebbe oggi se non fosse stato un arbitro professionista?”
“Se avessi avuto 16 o 17 avrei scelto di studiare architettura. Penso che mi sarebbe piaciuto diventare un architetto d’interni. Quando ero bambino pensavo solo allo sport, ma oggi ho diversi altri interessi che includono anche la psicologia”.
Qual è il miglior incontro in cui è mai stato coinvolto?
La finale degli US Open nel 2011 Novak Djokovic contro Rafael Nadal”.
Qual è stata la situazione più delicata che ha mai incontrato sulla sedia d’arbitraggio?
“Non il più delicato, ma sicuramente il più inaspettato è stato sul centre court di Wimbledon in una partita tra Mark Philippoussis e Marat Safin in cui, senza una ragione apparente, tra due punti la rete è semplicemente caduta. Alla fine dell’incontro la gente diceva che sul Centre Court anche la rete cade con eleganza!”
Oltre alla Coppa Davis, qual è stato il pubblico più difficile?
“Forse un incontro agli US Open dove dovevo spostarmi sempre circondato da diverse guardie di sicurezza. Uno dei giocatori ha ricevuto un grande applauso dagli immigrati dal suo paese. E’ stato una partita molto difficile. Questo giocatore è diventato molto nervoso e ha distrutto tre racchette”.
È più difficile arbitrare un incontro maschile o femminile?
“Penso che ci siano partite maschili più difficili, ma quando arbitro una complicata partita femminile, il livello di difficoltà è esattamente lo stesso.”
Torneo preferito? 
“Wimbledon”.
Noi ci siamo convinti che il signor Ramos sia un uomo onesto, un arbitro inflessibile che si è meritato la sua proprio per l’estrema capacità di non subire le personalità più forti, di applicare le regole a prescindere dall’importanza della partita e degli atleti impegnati.
ANNA RITA CANCIA
Tags: #carlosramos, #serenawilliams, #usopen2018, #warning, arbitro, tennis

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Nota sull’autore: Sport Senators

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