Quando l’Empoli scende in campo sul terreno di casa, il nome di Carlo Castellani risuona forte fra i tifosi. La maggior parte di loro probabilmente associano quel nominativo allo stadio dove siedono oppure, per i più informati, al record di marcature con la maglia azzurra prima di esser superato da Francesco Tavano nel 2011. Eppure Carlo è stato molto di più di un semplice calciatore, è stato un eroe che ha deciso di mettere a repentaglio la propria vita per salvare quella della famiglia e salvaguardare la libertà dell’intera patria.
Nato il 15 gennaio 1909 a Fibbiana, piccola frazione di Montelupo Fiorentino arroccata sull’Appennino Tosco-Emiliano, Carlo mostra sin da giovane tutta la passione per il calcio tanto che nel Primo Dopoguerra riesce a trovare posto fra le fila dell’Empoli. Si tratta di una squadra di provincia, che milita nel campionato di Seconda Divisione, una sorta di Serie D ante-litteram destinata a racchiudere le principali formazioni a livello regionale.

Quelle formazioni sono lontane anni luce da squadroni come Milan, Ambrosiana o Juventus, eppure il talento di Carlo si fa largo anno dopo anno raggiungendo l’apice nella stagione 1928-29 quando realizza ben cinque gol contro il San Giorgio Pistoia. E’ un record per l’Empoli a cui si aggiungono altre due triplette e soprattutto un bottino complessivo di ventidue gol, fondamentale per vincere il girone e salire in Prima Divisione.
L’estro di Castellani non passa inosservato tanto che nel 1930 viene acquistato dal Livorno che gli consente di esordire in Serie A. Il rendimento è altalenante, segna tre reti ininfluenti contro il Casale e la Juventus, accompagnando i labronici in Serie B. Lì Carlo trova la propria strada e ci rimane sino al 1934, compresa una stagione al Viareggio. La nostalgia di casa si fa però sentire e l’attaccante decide di tornare all’Empoli, nel frattempo rinominato dal Fascismo “Italo Gambacciani” concludendo la propria carriera nel 1940 in Serie C nonostante i problemi economici che affliggono la società.
Castellani si ritira a Fibbiana, ma continua a sostenere la squadra del cuore pagando le trasferte della società e coprendo i vari debiti. Carlo vive in una famiglia fieramente antifascista: il padre David è un noto socialista che non ha mai preso la tessera del partito e che fra il 3 e il 4 marzo 1944 prende parte agli scioperi indetti dal Comitato di Liberazione Nazionale.
In quei giorni il signor Castellani ha un diverbio al mercato con un gerarca di Montelupo, un episodio pericoloso considerato che tre giorni dopo, nella notte fra il 7 e l’8 marzo, il Regime dà il via a una serie di rastrellamenti in reazione allo sciopero generale. Alle 4.30 i Carabinieri suonano alla porta di David Castellani che, complice il nome di origine ebraica, finisce immediatamente nel mirino dei fascisti.

Pur di salvare il padre, a letto malato, Carlo decide di sostituirsi a lui venendo così arrestato dalle forze dell’ordine prontamente lo conducono con un pullman a Firenze. E’ l’inizio della fine anche perché l’ex calciatore, insieme ad altri arrestati, pensa di fuggire dai finestrini. Tutto ciò causerebbe un’onta di repressione nei confronti degli altri passeggeri, motivo per cui, forte di un estremo senso di solidarietà, Carlo decide di proseguire la propria corsa verso il suo destino.
Ad attenderlo nel capoluogo toscano, sul binario 6 della Stazione di Santa Maria Novella, c’è un carro-bestiame pronto a raggiungere il campo di concentramento di Mauthausen, nel sottocapo di Gusen I. Lì, fiaccato dal freddo e dalle terribili condizioni igieniche, è costretto a portare sulle spalle pesanti sacchi di pietre attraverso un percorso definito “la scala della morte”. Questa tortura gli costa caro visto che Castellani viene colpito dalla dissenteria che l’11 agosto 1944 se lo porterà via a soli 35 anni.
Una fine ingiusta, per un ragazzo che ha realizzato il sogno di giocare in Serie A, ma soprattutto ha posto sempre prima l’impegno per gli altri rispetto alla propria esistenza.