“Ci serve un personaggio, uno che ride e scherza come Andrea Bolognesi che ora fa il DJ nella sua Milano Marittima”. Non siamo d’accordo con questa tesi: basta guardare al tennis – sport vicino sotto tanti aspetti -, dove il numero del mondo, italiano, Jannik Sinner, è tutt’altro che un allegro casinista e sta dando l’esempio a un’intera generazione. Non siamo d’accordo perché, nel tempo, sui green azzurro sono sbocciate varie tipologie di campioni: la magica e miracolosa genialità di Costantino Rocca (figlio del caso) con le indimenticabili imprese fra Open Championship e la buca in uno alla Ryder Cup, la apparente ma straordinaria facilità del campione naturale e precocissimo Matteo Manassero (che si è perso senza paracadute e s’è ripreso da solo), la lucida meticolosità di Francesco Molinari campione di un mitico Major e l’intelligenza del fratello Edoardo con la storica accoppiata alla Ryder, da giocatori e da vice capitani (figli di due genitori appassionati). Abbiamo anche avuto gli acuti dell’enfant prodige Paratore e domenica, al KLM in Olanda, quello di Migliozzi (che non poteva essere ignorato dai media il giorno dopo il successo, ma è stato ignorato nel percorso suo e di Manassero, in lotta fino all’ultimo come Pavan). Abbiamo la costante, eccezionale, accoppiata di voci tecniche e quindi promozionali della tv, Grappasonni-Scarpa (che si sdoppia anche da DT federale); abbiamo i giovani che si fanno valere a livello internazionale malgrado siano davvero pochi al super-centro tecnico nazionale di Sutri (sotto assedio), nel primo giro dell’81° Open d’Italia, abbiamo avuto la straordinaria umanità di Andrea Pavan, nel secondo abbiamo due -5 (Pavan e Dodo Molinarie), un -4 (Celli), due -3 (Manassero e De Leo), un -2 (Vecchi Fossa), e tre -1 (Zemmer, Scalise Migliozzi).
SCUOLA ZOFF E… CHIMENTI
Venerdì brilla il 35enne romano Pavan, di scuola texana, Pavan, con due titoli sull’European Tour e cinque sul Challenge che, come scrive il mitico, inossidabile, amanuense FIG, Nicola Montanari,“fa sognare gli azzurri”, col suo -7 e il primo posto dopo le prime 18 buche e le coinvolgenti dichiarazioni post-gara, col sorriso giusto, che conquista: “Non riuscirò a sfuggire ancora ai miei figli e sarò presto seppellito sotto la sabbia della spiaggia”. Ventiquattr’ore dopo, Pavan va su e giù ma sostanzialmente tiene botta, a dispetto del caldo umido che taglia le gambe e spunta la faccia perbene del 23enne romano Filippo Celli, accompagnano da mammà, golfista per vocazione di papà Paolo – affermato avvocato -, posato per natura e per frequentazioni dell’amico di famiglia, il mitico Dino Zoff e del nuovo amico, il presidente FIG, Franco Chimenti, tifoso anche lui della Lazio calcio ma soprattutto abile politico nel dribblare pure l’anagrafe che il 7 agosto gli regalerà l’85° compleanno. “Ho cominciato a conoscere meglio il presidente due anni fa quando ho vinto l’European Amateur, la silver medal agli Open Championships e l’Eisenhower Trophyi. Ed ho imparato ad apprezzarlo per i consigli, per l’esperienza, per il bagaglio culturale e per tutte quelle cose che fanno parte della educazione familiare che mi è stata trasmessa in famiglia”, racconta Celli, dopo il -4 in classifica dopo due giri di Cervia. Serio Pavan, serissimo Celli. Possibile che sia questo il limite del golf italiano, e non il clichet di sport per ricchi, i costi d’avvio troppo alti, i circoli-bunker, o soci schizzinosi, i pochi campi pratica, una comunicazione casuale? Celli azzarda: “La nazionale amateur è molto ben seguita, con un’ottima impostazione, magari si potrebbero fare degli stage annuali tutti assieme anche da professionisti, seguendoci di più e scambiandoci le esperienze. Perché una volta sul Tour servono più cose, anche più furbizia”.
SOGNO AMERICANO
“Purtroppo rough e bunker sono delicati su questo campo, come venerdì ho pagato un colpo sbagliato con due colpi in meno, giovedì alla 17, stavolta alla 7. Però sono soddisfatto”, racconta il romano il -3 sulle seconde 18 dell’Open d’Italia. “Come mi definirei? Un bravo ragazzo, a volte anche troppo. Sono contento perché il golf è il gioco che più amo, dai 15 anni, quando l’ho scelto fra tutti gli sport che praticavo, compreso il tennis, che gioco spesso. E quello che più mi appassiona è diventato anche il mio lavoro, non è una fortuna da poco, anche perché non c’è niente come lo sport che trasmetta tanta adrenalina. Anche se quella del golfista professionista è un vita tosta, sempre in giro, con qualche problema nelle relazioni personali, mi piace lavorare duro tutti i giorni per arrivare”. Dopo due anni alla Texas University ha smesso di studiare e si dedico tutto ili giorno al golf: “6 ore l giorno, fra palestra e pratica sul campo, all’Olgiata. Ma il sogno americano è sempre presente, quando avrò fatto esperienza sull’European Tour voglio vivere lì: mi trovo meglio anche nei rapporti che in Italia possono essere troppo calorosi”. A Filo manca esperienza: “Me la devo costruire con le gare. Un po’ mi aiuta il mio caddy, Burni, spagnolo”. I suoi punti di riferimento nel golf italiano sono: Matteo (Manassero), Guido (Migliozzi) e Renato (Paratore)”. L’esperienza di Manny gli ha insegnato: “Che se sei un campione incredibile, se sei spinto da una immensa passione e se non molli alla fine la dedizione paga”. Fra i campioni stranieri guarda a Rory McIlroy: il crollo del nord irlandese gli ha ricordato qualcosa che sa bene da tempo: “La differenza principale fra golf e tennis è proprio che negli Slam di tennis non vince il numero 100, mentre nel golf in tutte le gare, tutte le settimane, possono vincere tutti i primi 150”.
Intanto, dopo due giri, comanda Wiebe (Usa) con -9, ma la sorpresa vera è il secondo solitario, a -8, il 24enne tedesco Jannik De Bruyn, fresco promosso dalla Qualifying School che ha saputo solo martedì che invece del Challenge Tour in Francia avrebbe giuocato all’Adriatic Golf Club Cervia.