Paolo Salvi non è stato semplicemente un campione olimpico, ma un vero e proprio eroe della Patria. Dimenticato dai più, il ginnasta bresciano ha saputo condurre per l’Italia sul gradino più alto del podio ai Giochi, ma soprattutto si è messo a disposizione del proprio paese rischiando la vita e perdendola all’interno di un campo di concentramento il 12 gennaio 1945.
Paolo nasce a Brescia il 22 novembre 1891 iniziando subito una carriera sportiva particolarmente vincente tanto che nel 1912 si ritrova inserito nella Nazionale maschile di ginnastica artistica che prende parte alla quinta edizione delle Olimpiadi Estive in programma a Stoccolma. All’epoca il programma prevede che gli atleti di ogni nazione scendano assieme nello stadio completando gli esercizi in programma entro un’ora, comprese marce d’ingresso e d’uscita.
I ginnasti si devono infatti prodigare nel corpo libero, alla sbarra, agli anelli, al cavallo con le maniglie e alle parallele asimmetriche sotto lo sguardo attento di cinque giudici, pronti a valutare ogni esercizio con grande attenzione. Salvi viene accompagnato da Pietro Bianchi, Guido Boni, Alberto Braglia, Giuseppe Domenichelli, Carlo Fregosi, Alfredo Gollini, Francesco Loi, Luigi Maiocco, Giovanni e Lorenzo Mangiante, Serafino Mazzarocchi, Guido Romano, Luciano Savorini, Adolfo Tunesi, Giorgio Zampori, Umberto Zanolini e Angelo Zorzi totalizzando 265,75 punti davanti all’Ungheria (227,25) e alla Gran Bretagna (184,50) e conquistando di fatto la prima medaglia d’oro italiana nella specialità.

La carriera sembra spianata, eppure qualcosa si mette di mezzo fra Salvi e la ginnastica artistica. Si tratta della Prima Guerra Mondiale che lo costringe ad abbandonare il magnesio delle palestre e impugnare i moschetti delle trincee vestendo la casacca del Regio Esercito. Il suo destino si intreccia con quello del compagno Guido Romano che perde la vita il 18 giugno 1916 sull’Altopiano di Asiago nel corso della Strafexpedition, l’offensiva lanciata dagli Austriaci per punire gli italiani dopo la scelta di schierarsi dalla parte dell’Intesa.
Salvi supera indenne la Grande Guerra e subito dopo è nuovamente in palestra conquistando una nuova partecipazione alle Olimpiadi. Questa volta la sfida si svolge ad Anversa, nel neutrale Belgio, anche se nel frattempo sono passati otto anni dall’ultima esperienza a cinque cerchi. La squadra azzurra è quasi del tutto stravolta, ma ciò non cambia le sorti della squadra. E’ nuovamente vittoria con Arnaldo Andreoli, Ettore Bellotto, Pietro Bianchi, Fernando Bonatti, Luigi Cambiaso, Carlo Costigliolo, Luigi Costigliolo, Giuseppe Domenichelli, Roberto Ferrari, Carlo Fregosi, Romualdo Ghiglione, Ambrogio Levati, Francesco Loi, Vittorio Lucchetti, Luigi Maiocco, Ferdinando Mandrini, Lorenzo Mangiante, Antonio Marovelli, Michele Mastromarino, Giuseppe Paris, Manlio Pastorini, Ezio Roselli, Giovanni Tubino, Giorgio Zampori e Angelo Zorzi che totalizzano 359,855 punti davanti a Belgio (346,765) e Francia (340,100).
A quel punto Salvi conclude la sua carriera sportiva e insieme alla famiglia si trasferisce ad Albenga dove apre una centrale del latte. La sua vita trascorre tranquilla sino allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale quando l’Italia cade nel caos. Paolo non è certo un sostenitore del Fascismo e la dimostrazione arriva nell’ottobre 1943 quando un ricognitore inglese sorvola la cittadina ligure rilasciando una serie di volantini contrari al regime. Uno di questi viene portato al bar frequentato da Salvi e altri tre amici che ne parlano prima di gettarlo.

Dopo qualche giorno una spia però avverte della discussione e i quattro uomini vengono arrestati dalla Polizia subendo anche la perquisizione delle proprie case senza che emerga nulla. Paolo e compagni vengono liberati, ma nel gennaio 1944 arriva una nuova perquisizione alla Centrale del Latte della famiglia Salvi da parte delle Brigate Nere che trovano il corpo del reato. Inutile la reazione dell’ex ginnasta che nega ogni coinvolgimento e accusa piuttosto le truppe fasciste di avercelo messo a tradimento.
I quattro vengono portati prima al carcere di Sant’Agostino a Savona nel reparto politico, poi a Marassi e infine al campo di concentramento di Fossoli. Da quest’ultimo il 7 aprile 1944 arriva una lettera indirizzata al figlio diciassettenne Giampiero nel quale Paolo comunica che lui e i suoi tre amici saranno inviati in Germania. A quel punto a giugno i familiari raggiungono la località emiliana per portare un po’ di conforto e dei generi alimentari ai prigionieri, ma proprio il 21 viene allestito il convoglio verso il Nord.
I parenti dei prigionieri provano a corrompere le guardie per dare vita a una fuga, tuttavia i quattro rifiutano sapendo perfettamente che, nel caso in cui la cosa andasse in porto, sarebbero state le famiglie a esser prese di mira. Lo stesso Giampiero ricorderà qualche anno dopo: “I nazifascisti chiusero i portelloni dei carri bestiame piombandoli e tra le pareti di legno potremmo parlare per qualche minuto con i nostri cari. Furono momenti tristi e tragici per non poter far nulla contro tali barbarie da Medioevo. Sentivamo i loro lamenti e le loro grida. Tre sbuffi di vapore il treno si mise in marcia, noi attendemmo che sparisse all’orizzonte e aspettammo di vedere in lontananza l’ultimo sbuffo di fumo”.
Nessuno di loro tornerà dalla Germania con Salvi che morirà il 12 gennaio 1945 a causa di un “mitragliamento aereo del nemico” secondo quanto riportato da una comunicazione del Comando tedesco al Comune di Albenga. Le vere motivazioni della scomparsa non verranno mai chiarite, tuttavia il sacrificio del campione olimpico rimarrà nella storia dello sport italiano.