Il “dietro le quinte” dell’Olimpiade rivela sempre qualcosa che non va, al di là della facciata dagli splendidi colori. Figuriamoci cosa si può scoprire quando già la spettacolare entrata in scena mostra più di una crepa. E Parigi, che nelle intenzioni dei francesi doveva rappresentare un modello di organizzazione, si sta dimostrando come una delle edizioni dei Giochi meno riuscite.
Agli occhi del mondo era già risaltata quantomeno la stonatura di barche, barconi, barchette della sfilata inaugurale lungo la Senna, come una improvvisata raccolta di mezzi per trasportare gli atleti: eleganti per le nazioni più importanti, quasi mezzi di fortuna per quelle più piccole o con pochi rappresentanti, quasi l’immagine di migranti in cerca della terra promessa. Una simile accozzaglia di barche la si era avuta solo in un’altra occasione nella storia, a Dunkerque nel 1940, quando l’esercito inglese in fuga dai nazisti fu riportato in patria grazie alla commovente mobilitazione dei civili che presero il posto delle navi militari per andare a salvare i loro soldati. Ma quella fu una drammatica emergenza, qui c’era tutto il tempo di preparare una sfilata decente. Se poi, visto che siamo a Parigi, qualcuno avesse avuto l’idea di utilizzare le chiatte, in omaggio a L’Atalante di Jean Vigo, beh, avremmo almeno avuto un pizzico di nobiltà culturale.
Lasciando da parte le polemiche sulla cerimonia di apertura, è quello che si scopre dopo a far capire che questa Olimpiade non fa bella figura al confronto con tante altre. Le disfunzioni riguardano tutti, partecipanti, atleti, spettatori e giornalisti, ma qui ci soffermiamo sulle difficoltà che hanno i mezzi di informazione nel raccontare i Giochi.
La prima impressione, nell’avvicinamento a questo grande appuntamento, è già negativa quando si tratta di prenotare gli alberghi tramite l’organizzazione locale. E si entra direttamente in un labirinto senza uscita. Si deve prendere per forza una stanza doppia anche se è una sola la persona che deve usarla, l’unica concessione è che si paga una sola colazione anziché due! Della serie fantozziana “come è buono lei”. Ma il problema vero è che, dopo aver indicato la preferenza di cinque alberghi e dopo che l’organizzazione ne assegna uno di questi cinque a suo insindacabile giudizio, può capitare, come è capitato a me, che invece di assegnarti una stanza doppia, come richiesto anche se sei da solo, te ne diano una tripla. Il punto è che devi pagare la tripla, che nel caso in questione comporta una spesa di mille euro in più, rispetto alla tariffa già sopra la norma. Quando fai notare che hai chiesto una doppia, o che quantomeno dovresti pagare una doppia anche se ti assegnano una tripla, la risposta è spiazzante: “Le doppie erano finite, che cosa pretendi?”
Faccio grazia delle successive comunicazioni, tranne che per dire che una risposta arriva dopo minimo una ventina di giorni e quando arriva, con una nuova proposta di albergo, ma sempre con stanza tripla, ti viene chiesto di rispondere entro le ore 18 dello stesso giorno in cui ricevi questo messaggio! E quando protesti per questo modo di fare arriva la notizia più sconvolgente di tutte: “Ci dispiace per questi inconvenienti, ma siamo solo in due persone a curare la sistemazione dei giornalisti di 468 testate (circa seimila in totale, ndr) e non riusciamo a fare più in fretta”.
La Francia organizza l’Olimpiade e per curare la sistemazione in hotel di circa seimila giornalisti ci sono soltanto due persone! Ma che bravi. E se qualcuno dovesse avere dubbi su quello che ho raccontato, l’email che ho ricevuto dall’ufficio in questione è a disposizione di chiunque voglia controllare che quello che ho detto è vero.
Ma passiamo ai problemi “sul campo”. Cominciamo dal Main Press Center (Mpc). In precedenti Olimpiadi, oltre agli uffici che le singole testate giornalistiche affittavano, si arrivava a mille postazioni di lavoro (a Pechino 2008, il più grande Mpc nella storia dei Giochi, ce n’erano 1300). A Parigi ne sono state preparate solo 400, tant’è che dopo le prime difficoltà gli organizzatori hanno tentato di rimediare ricavando qualche posto in più nelle sale che devono servire per le conferenze stampa, ma la situazione rimane difficile. E gli armadietti con chiusura di sicurezza che servono soprattutto ai fotografi per lasciare una parte della loro costosa attrezzatura quando vanno in giro per i campi di gara sono appena 400, del tutto insufficienti per le esigenze dell’alto numero di fotografi.
Il Main press center si trova in un Centro congressi che però non è chiuso al pubblico, come succede in queste grandi manifestazioni. Il piano terra, dove ci sono ristoranti, bar e altri negozi, è aperto. Il vero problema non è tanto che sia aperto o chiuso, è che non c’è l’esclusività dello spazio e quindi non possono essere approntati spazi adeguati ai servizi per gli operatori dell’informazione. Nelle altre Olimpiadi c’erano ristoranti molto grandi aperti per tutta la giornata, perché in una manifestazione mondiale i tempi di lavoro non sono uguali per tutti, ma dipendono dai fusi orari e c’è chi lavora anche di notte, a seconda di dove si stanno svolgendo i Giochi e di quale parte del mondo è il suo mezzo di informazione. A Parigi ci sono gli orari di pranzo e cena “francesi”, poi si chiude. Inoltre, il ristorante per i giornalisti, ricavato in uno spazio che è diviso con altri esercizi commerciali aperti al pubblico, è piccolo. Non è un Mpc da Olimpiade.
Gli impianti sono quasi tutti belli, ma con molti problemi, anche quelli di recente costruzione, come l’Aquatic center vicino allo stadio in zona Saint Denis che viene presentato come “l’unica struttura sportiva permanente a essere costruita per i Giochi di Parigi 2024”, in cui si svolgono le gare di Tuffi, Pallanuoto e Nuoto artistico. Dall’esterno sembra molto grande e bello, all’interno la sensazione è diversa. Gli vengono attribuiti 5000 posti, che si ridurranno a 2500 dopo i Giochi, ma quando si è dentro si fa fatica a crederlo. E’ un impianto piccolo e molto scomodo, con il tetto di forma arcuata verso il basso che impedisce a chi sta nei posti più alti di vedere i corrispondenti posti del lato opposto, il tutto dà una sensazione di claustrofobia. Ma il vero problema per i giornalisti è che la tribuna stampa è piccolissima e scomoda, e soprattutto messa in posizione tale che una parte del grande schermo con immagini e risultati non è visibile da quei posti, così la classifica parziale della gara è completamente nascosta agli occhi di chi sta lì. E meno male che l’hanno costruito apposta per l’Olimpiade.
Altro grave problema di questa struttura, non solo per i giornalisti, ma anche per gli spettatori, è che è lontanissima da qualsiasi stazione di mezzi pubblici. La più comoda, si fa per dire, per arrivarci è quella della Rer, ma bisogna fare a piedi un paio di chilometri! Tutto questo non è normale.
A questo punto, potrebbe scattare l’obiezione: ma il sistema dei trasporti? Già, quale sistema? Ai giornalisti è stata data una tessera, utilissima, che dà diritto a usare metro e Rer, il sistema di trasporto più comodo a Parigi, ma non è detto che gli impianti siano sempre vicini alle stazioni, come detto per l’Aquatic center. In generale, in tutte le Olimpiadi, c’è il trasporto con gli shuttle bus, curato dal Comitato organizzatore. In teoria, c’è anche a Parigi, in pratica è difficile capire come e dove prendere lo shuttle, ma soprattutto non c’è la sicurezza degli orari, con shuttle che sono previsti a certe ore ma scompaiono e non si sa quando riappaiono. E trovarsi in determinati orari in determinati impianti è fondamentale per chi deve raccontare le gare, che non aspettano i giornalisti ritardatari.
Infine, aspetto che è stato già messo in evidenza da tutti i mezzi di informazione, lo stadio principale del nuoto, l’Arena della Defense, non è un impianto per il nuoto. Ci hanno costruito una piscina apposta per i Giochi, con il difetto che è poco profonda e questo provoca onde anomale che rallentano i nuotatori, così che è quasi impossibile stabilire record. Inoltre, difetto dell’impianto, gli schermi giganti che servono a tutti, pubblico e giornalisti, come aiuto fondamentale per seguire meglio le gare da qualsiasi posizione, si trovano su una parete ma su un solo lato, per cui vengono visti bene solo da metà del pubblico e per niente dai giornalisti, che se li ritrovano alle spalle. E’ vero che nei posti della stampa ci sono piccoli monitor che sostituiscono il grande schermo, ma non ci sono per tutti.
Man mano che passano i giorni si scoprono nuove falle nell’organizzazione. Ed è anche vero che, come si dice scherzando ma non troppo, fare il giornalista è sempre meglio che lavorare, ma un minimo di efficienza sarebbe dovuto, non come favore personale a una categoria, ma come rispetto all’Olimpiade che ha bisogno dell’aiuto di tutti per funzionare bene e presentarsi nella veste migliore agli spettatori e agli appassionati.
Dal nostro inviato a Parigi, Gennarro Bozza