Dopo il prologo di 19 km che domani lo condurrà da Gedda ad Ha’il, il 2 gennaio Danilo Petrucci comincerà la Dakar vera e propria, un’esperienza che aveva sempre sognato di vivere. Ecco perché l’entusiasmo del pilota nato a Terni nel 1990 è alle stelle. “Ieri il secondo tampone negativo, seguìto al primo positivo, ha spazzato via ogni dubbio sulla mia partecipazione. E, grazie al cielo, la frattura composta di perone e astragalo destri – durante un allenamento nel deserto sono imbattuto in una buca profonda nascosta da un dosso – non mi ha costretto al ritiro” spiega il campione italiano della Superstock 1000 (nel 2011) che a novembre ha lasciato la MotoGP. Tra le dune “Petrux” guiderà una 450 Rally Factory Replica con il numero 90 del team Tech3 KTM Factory Racing, la squadra con cui ha corso nel 2021 e ha lasciato la MotoGP.
Quale risultato potrebbe farti dire che il rally raid è andato bene?
Concluderlo, il 14 gennaio a Gedda. Arrivare alla fine è un grande risultato per i rider abituati alla gara, figurati per me che debutto. So che il più piccolo inconveniente può compromettere l’intera prova. Sicuramente mi affiderò alla prudenza e limiterò la velocità: è la tecnica giusta per raggiungere il traguardo.
In che modo, invece, potrebbe andare male?
Se la moto avesse un problema: in mezzo al nulla, toccherebbe a me ripararla. Un po’ me la cavo come meccanico, ma eviterei volentieri di mettermi alla prova nei prossimi giorni
Ti aspettano 8.375 km spalmati su 12 tappe: una bella differenza rispetto ai circa 4 km in 45 minuti di un Gran Premio della classe regina.
La Dakar è una gara di MotoGP dietro l’altra, per due settimane: praticamente un’impresa. Lo sforzo fisico sarà estremo e la mia stazza, che in MotoGP è considerata uno svantaggio, in Arabia Saudita giocherà a mio favore. Sulla sabbia serve forza e i chili aumentano la stabilità.
Come ti sei preparato a questa “impresa”?
Terminato il campionato, sono tornato in sella dopo due settimane. Con gioia: avevo sempre sofferto le lunghe pause invernali della MotoGP. In moto mi sono allenato parecchio ed è stata una novità per me: i prototipi sono a disposizione dei team solo nei test. Poi ho frequentato spesso la piscina: a causa della doppia frattura era d’obbligo evitare di caricare il peso sulla gamba.
Per te che viaggi per lavoro ininterrottamente da quando eri ragazzino, preparare la valigia sarà un gioco da ragazzi. Cosa ti sei portato in Medio Oriente?
Questa volta non è stato facile: ho infilato di tutto, perché non avevo idea di cosa mi sarebbe servito. Uno degli ultimi acquisti è stata una sacca waterproof dove custodire smartphone e portafogli.
Un mese e mezzo fa stavi per presentarti sulla tua ultima griglia di partenza nella classe regina. Con quale stato d’animo ricordi quella domenica?
Con gioia: mi sono proprio goduto i 100 km sul tracciato di Valencia. Non mi interessava nulla, volevo gustarmi ogni attimo e ci sono riuscito. Non dimenticherò l’emozione di tutto il paddock: dai colleghi ai tecnici, ho ricevuto affetto e tantissimi “in bocca al lupo”.
Sicuro che sia stato un addio alla pista? Circola voce che l’anno prossimo ti vedremo nel campionato MotoAmerica.
Ho ricevuto un’offerta da Ducati, rifletterò sulla proposta quando sarò rientrato dalla Dakar. I dieci anni trascorsi nel Motomondiale sono stati davvero intensi e ho intenzione di abbassare i ritmi: per la SBK statunitense, come per la WorldSBK, me la sentirò di cambiare i piani?
Credito foto: Tech3 KTM Factory Racing