Rodolfo Lisi, autore di 15 libri sul tennis, è l’unico italiano ad essere presente nel comitato scientifico di due riviste di settore: IJRSS (International Journal of Racket Sports Science) e MOJSM (MOJ Sports Medicine). Inoltre, è presente all’interno del comitato scientifico della collana “Malattie dell’Apparato Locomotore” (unico educatore fisico in una pletora di medici ortopedici) di Aracne Editrice e della collana “RESM – Ricerca educativa e scienze motorie” di TAB Editore. È stato insignito di tre Premi alla Carriera.
Caro Rodolfo, ormai siamo arrivati al tuo quindicesimo lavoro sul tennis. Molti autorevoli specialisti e noti tennisti hanno apprezzato i tuoi libri, vergando spesso presentazioni e prefazioni. Questa stima nei tuoi confronti, credo, faccia piacere e, soprattutto, conferma la bontà dei tuoi progetti.
“Hai ragione, Vincenzo. La critica è sempre stata benevola nei miei confronti e molti addetti ai lavori hanno sostenuto e supportato le mie tesi. Tra i tanti, mi piace ricordare Campioni come Nicola Pietrangeli, Adriano Panatta, Paolo Bertolucci, Tonino Zugarelli, Sergio Tacchini. E poi, specialisti del calibro di Bruce Elliott, Giovanni Di Giacomo, Stefano Zaffagnini (solo per citarne alcuni). Ultimamente, il più grande sociologo italiano vivente, Franco Ferrarotti, ha inserito un mio racconto breve sul tennis (dedicato a due tennisti che hanno dovuto affrontare una malattia nota come “scoliosi”) all’interno della rivista “La Critica Sociologica”. Un onore, per me!
Le tue indicazioni sono chiare
“Ho sempre sostenuto, anche in tempi non sospetti (2016), come la terra rossa sia la superficie ideale in termini di integrità della salute e prevenzione degli infortuni. La mia disamina, oltre a basarsi sui dati presenti in letteratura, si regge su nozioni di biomeccanica applicata alle superfici. Su tutti, lo scivolamento controllato, tipico della terra battuta, determina un maggiore tempo di frenata e, conseguentemente, minori sollecitazioni a livello dell’apparato locomotore. In molti – sostenitori e non dei campi veloci – non la presero (e non la prendono tutt’oggi) molto bene. Lo stesso John Alexander, australiano, gran giocatore serve and volley (sconfisse il nostro Adriano Panatta in una finale di coppa Davis), ritiene – solo ironicamente? – che sarebbe auspicabile esporre all’entrata dei campi in cemento un avviso del tipo: “Questa superficie nuoce alla salute. È a rischio di artrosi precoce”. A parte queste divagazioni, sono d’accordo che per emergere a grandi livelli sia necessario (anche) praticare il tennis su superfici in cemento, in sintetico o su erba. Ma, credo, sia altrettanto necessario informare la comunità scientifica: la terra rossa, ad oggi, è innegabilmente la superficie migliore. E una revisione sistematica (2022) ha confermato ciò di cui andavo affermando da più di dieci anni”.
Nei tuoi lavori, tratti spesso il delicato tema degli infortuni. Cosa puoi dirci, in generale?
“Si gioca troppo, e male. Più precisamente: i numerosi infortuni sono da ascrivere, nel tennis professionistico, ad elevati carichi di lavoro; mentre negli amatori, la maggior parte delle lesioni è imputabile a una scarsa tecnica di gioco e ad una inadeguata preparazione fisica. E poi, anche in questo caso la superficie gioca un ruolo importante. La letteratura scientifica ha evidenziato una frequenza maggiore di infortuni in coloro che si cimentano su superfici diverse rispetto a coloro che praticano il tennis su
una sola superficie. Dati, non chiacchiere. Sta di fatto che il calendario ATP e WTA non aiuta”.
Troppi tornei e troppi cambi di suoperficie?
“Proprio così. Il fitto clandario ATP e WTA obbliga i tennisti a cambiare terreno di gioco nell’arco di pochi giorni. Un esempio su tutti? Il Roland Garros finisce il 9 giugno, mentre i primi tornei su erba iniziano già il giorno dopo (vediStoccarda – 10 giugno, n.d.r.). Ma è possible? Il piede deve abituarsi al cambiamento di superficie. E poi, riserviamo ai nostri tennisti di punta maggior tempo di recupero tra un torneo e l’altro e, soprattutto, consentiamo agli stessi un approccio graduale alla “nuova” superficie”: saltare qualche torneo, o dedicare più tempo all’adattamento, è una proposta di buon senso”.
A pari età, i giovani leoni di oggi, da Alcaraz a Rune a Sinner, si fanno male più spesso dei Fab Four.
“Non conosco, in dettaglio, la programmazione di Sinner, parlando del primo numero 1 del mondo italiano ma ho saputo – dai mass media – di un’infiammazione all’anca. Mi stavo chiedendo se fosse dovuto alla mole di lavoro di questi mesi (lo stesso giovane campione, su un quotidiano, ha fatto presente che si gioca tanto.., La Gazzetta dello Sport, n.d.r.). Tra l’altro, la stagione inizia in Australia, dove le proprietà elastiche delle superfici, assieme al clima torrido, non aiutano. Si vuole qui ricordare il numero elevato di infortuni, nella terra dei canguri, rilevato negli anni 2000: il caldo e l’umidità creavano condizioni pericolose poiché le suole delle scarpe dei malcapitati giocatori aderivano maggiormente sulla superficie,
creando disagi e difficoltà di movimento. All’epoca, il Rebound Ace (nome della superficie incriminata) fu messo sotto accusa. Si è provveduto a cambiare tipologia di superficie ma non ho dati a sufficienza per potermi esprimere ulteriormente. Sta di fatto che Sinner vince, e convince. Chi vince ha sempre ragione e, quindi, non posso far altro che complimentarmi con il suo staff. Tuttavia, un addetto ai lavori, come me, pensa sempre in prospettiva futura, con la speranza di una “vita agonistica” più lunga, ricca di ulteriori successi ed esente – per quanto possible – da patologie più o meno invalidanti: chissà, cioè, se una maggiore oculatezza nella programmazione stagionale non possa allungare la “vita tennistica” di un giocatore. Speculazioni? Forse, ma sicuramente di buon senso”.
Cosa proporresti?
“A livello di calendario ATP e WTA, sfoltirei il numero di tornei. Se ciò non fosse possible (e non lo sarà, credo, per motivazioni di varia natura), suggerisco allo staff dei tennisti una diversa pianificazione dei vari eventi stagionali, rinunciando a qualche torneo e dedicando un periodo di tempo al graduale avvicinamento alla “nuova” superficie, con bassi carichi di
lavoro e maggiore attenzione a esercitazioni propriocettive”.
In conclusione, volevo chiederti aggiornamenti sul rapporto “tennis e scoliosi”, di cui ti sei occupato sin dal 2005.
“Ho pubblicato il primo libro al mondo, sull’argomento, nell’ormai lontano 2007, riproponendo una versione aggiornata nel 2018. Negli anni, sisono rincorse tesi folkloristiche e senza fondamento. Mi dispiace ma, ad oggi, non si può “scagionare” il tennis agonistico nel determinismo e/o nell’evoluzione di una scoliosi vera. Il tutto, nonostante alcuni importanti
mass media abbiano esultato di gioia alle felici conclusioni di uno studio italico. Uno studio pieno di errori metodologici, che, essendo di tipo trasversale, non può assolutamente indicare un nesso di causa ed effetto. L’incertezza, ad oggi, è palese: in un articolo in lingua inglese, che apparirà prossimamente, sono molto chiaro: i dati in letteratura sono pochi, e quei pochi scarsamente attendibili. Ogni caso è a se stante: pertanto, di volta in volta, si deciderà in base ad una serie di parametri e alla concertazione tra lo specialista ortopedico e le varie figure professionali (allenatore, educatore fisico-motorio e sportivo, fisioterapista, mental trainer) che ruotano attorno al giovane tennista scoliotico”.