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Sport di contatto

“Guai avvilirsi, le ragazze dimostrano che noi italiani sappiamo giocare un grande rugby”

Da Ruggero Canevazzi 09/03/2019

Intervista a Erika Morri sulla strada per seguire dal vivo Inghilterra-Italia a Twickenham

Quando s’introduce una vicenda parlando di “direzione ostinata e contraria”, il rischio di equivoco è dietro l’angolo perché quelle parole possono tradursi nei significati più disparati. Un nobile intento politico, una testarda determinazione a perseguire i propri sogni  indifferenti al giudizio altrui, una spiccata sensibilità poetica e musicale. In altri casi, può sottolineare un goffo tentativo di imitare il moto dei salmoni scozzesi allo scopo di centrare un obiettivo giornalistico. Anche senza spiegazione, la follia di cui l’ultima frase è intrisa rende già efficacemente una forma di deviazione mentale difficilmente curabile dalla psichiatria contemporanea e meglio ascrivibile a una presenza maligna che richiede il migliore esorcista in circolazione.

Veniamo ai fatti. All’alba di Venerdì 8 Marzo un gruppo di amici parte da Bologna per Londra, allo scopo di seguire dal vivo, nel tempio del rugby di Twickenham, la sfida ai limiti dell’impossibile dell’Italia ai maestri inglesi. Gli azzurri di O’Shea sono reduci dall’ottima prestazione contro quell’Irlanda che occupa il secondo posto del ranking mondiale e che prosegue il suo cammino verso l’obiettivo tacitamente dichiarato di sollevare a Ottobre la Coppa del Mondo (per meglio dire la Web Ellis Cup) nella terra del Sol Levante. Ottima partita ma alla fine gli italiani sono dalla parte sbagliata del tabellone, col famigerato cucchiaio di legno che si fa sempre più concreto. Contro l’Inghilterra non abbiamo mai vinto nella nostra storia, lasciamo dunque al lettore a quale interpretazione della direzione ostinata e contraria associare l’intenzione di farlo oggi a casa dei maestri. Il gruppo di amici non ha però come primo obiettivo essere testimoni diretti della proibitiva impresa degli azzurri, quanto passare al meglio un weekend lungo nella Londra che chiude il loro personalissimo tour rugbistico delle Union britanniche, partito tre anni prima al Millennium di Cardiff, proseguito l’anno seguente al tempio scozzese di Murrayfield a Edimburgo e l’anno scorso all’Aviva Stadium di Dublino.

Le tre sconfitte su tre dell’Italrugby non hanno scalfito l’entusiasmo della combriccola affamata di grande rugby, castelli diroccati, distese di prati dall’erba sempre perfetta, città che alternano architetture gotiche antiche a edifici contemporanei, pietanze audaci e a prova di fegati forse troppo sopravvalutati e ottime pinte di birra British: dalla classica bitter rosso rubino alle pale ale meno amarognole e più agrumate, alle IPA custodi dei luppoli più pregiati fino alle scure stout che trovano nella celeberrima Guinness la capostipite più nota. Tutte (o quasi) rigorosamente in stile cask, ossia spillate a pompa per limitare l’apporto delle bollicine e preservare le caratteristiche organolettiche della bevanda nazionale.
Capita però che all’aeroporto di Bologna uno del gruppo riconosca in fila al gate una presenza femminile conosciuta l’anno prima nella stessa circostanza.
“L’hai riconosciuta? È lei, Erika Morri, la consigliera della federazione ed ex rugbista che ci raccomandava di andare a vedere a Dublino dal vivo oltre a Parisse e compagni anche l’Italia femminile. Visti i risultati attuali, ci aveva visto lungo (le azzurre sono seconde nel Sei Nazioni), ora hai l’occasione d’intervistarla”.

Già, perché l’altro amico è il sottoscritto, che da giornalista abituato a scrivere ma per ora meno a cogliere l’attimo per un’intervista, si ritrova senza preavviso ad abbandonare le vesti del turista per pianificare domande, superare una timidezza non propriamente da cronista d’assalto e soprattutto trovare il modo di imbastire un’intervista a 10.000 metri di quota, senza nemmeno sapere dove Erica sia seduta sull’aereo… Dopo tre giri di corridoio andati a vuoto, trovando la Morri sempre tra le braccia di Morfeo e i suoi vicini sempre più preoccupati a decifrare le intenzioni di questo strano personaggio che continua a ritornare (per quanto troppo goffo e impacciato per essere un dirottatore o un terrorista…). A questo punto l’amico beffardo partorisce l’idea che ci permette di declinare la direzione ostinata e contraria con cui questa storia non poco grottesca è cominciata: “L’unica possibilità che hai per intercettarla è, appena l’aereo atterra, correre verso di lei risalendo la corrente dei passeggeri che scaricano i bagagli e si dirigono verso di te. Se ti alzi di scatto puoi farcela a raggiungerla per chiederle di intervistarla dentro Heathrow”.
“Ok, anche se visto il numero di file che ci separa da lei riuscirò solo a vederla sparire dentro l’aeroporto mentre i passeggeri mi prendono in modo sacrosanto a male parole, la mia deontologia professionale mi proibisce di tirarmi indietro. Tu e gli altri siete liberi di godervi lo spettacolo, temo di genere tragicomico…”.

Nonostante l’uscita dai blocchi sia degna di un onesto centometrista, il muro umano si materializza inesorabile e la nostra preda già non è più sull’aereo e nemmeno sul bus che il sottoscritto prende per arrivare all’entrata del Terminal. Durante una breve fila per mostrare i documenti, non c’è nessuna traccia né della protagonista di un’intervista sempre più teorica né degli amici ormai probabilmente diretti verso il centro di Londra. Un barlume di lucidità suggerisce di individuare il nastro trasportatore destinato ai bagagli dell’aereo arrivato da Bologna, dove dopo poco si materializzano due valigie con dei coprivaligia entrambi raffiguranti una spettacolare Gioconda munita di caschetto e palla ovale. Audaces fortuna iuvat perché pochi istanti dopo ecco la proprietaria che li scarica dal nastro. È proprio lei e mi avvicino attento a non passare per malintenzionato presentandomi e chiedendole se posso farle due domande per Sportsenators. Lei mi sorride con la sua solarità bolognese e parte l’intervista. Chi ha respirato rugby da sempre (12 anni in Nazionale, con 2 Mondiali e 7 Europei) non può che rispondere così.

Erika, non solo le ragazze della nazionale, ma anche i giovani dell’Under 20 e Benetton Treviso e Zebre Parma in Celtic League stanno crescendo molto, anche in termini di risultati. Con la Nazionale maschile che continua a perdere partite e pubblico, come può la Federazione capitalizzare i successi delle squadre meno in vista?

“I risultati e l’entusiasmo di che era a Parma due settimane fa a seguire Italia-Irlanda, oltre a esultare per la prima storica vittoria contro le irlandesi ha visto con i propri occhi come anche il rugby femminile offra un grande spettacolo. La partita è stata vinta 29-27 con continui capovolgimenti di fronte e con giocate tecniche di alto livello. Anche chi va a vedere i ragazzi dell’Under20 sa che la qualità del livello di gioco è assicurata e può sperare in una vittoria fino alla fine del match. Queste due nazionali devono continuare a essere trasmesse in diretta tv e bisogna incentivare in mille modi l’accesso alle partite dal vivo. Quanto alla Nazionale maschile, i progressi mostrati dallo scorso autunno sono evidenti e non si parte mai battuti in partenza. Basta un intercetto o un imprevisto in un momento critico per cambiare una partita che sembra segnata. Del resto le abilità tecniche delle ragazze e i risultati dell’Italia maschile del passato dimostrano che rugby sappiamo giocare bene anche noi”.

L’Italia rosa di coach Di Giandomenico sta disputando un torneo fantastico, come spieghi questo risultato contro squadre con più tradizione, più esperienza e più strutture? Tu conosci bene le nostre ragazze, rischiamo di affrontare le inglesi favorite con vertigini di alta classifica?

“Le ragazze stanno dimostrando non solo di saper giocare benissimo a rugby, ma anche che il rugby delle ragazze è uno sport molto appassionante che offre pathos, tattica e tecnica di livello. L’exploit di quest’anno è figlio dell’amalgama che coach e giocatrici hanno trovato partita dopo partita grazie al lungo tempo passato insieme. Poi il loro segreto è difficile da scoprire, mi viene in mente O’Shea quando parlò di fattore X. Consideriamo poi che nel Sei Nazioni femminile ci sono due squadre professioniste, l’Inghilterra e la Francia, le altre sono composte da ragazze che studiano o lavorano, unite dalla passione per il rugby. Con le inglesi quindi la sfida sarà durissima, ma in qualunque competizione sportiva, se il risultato fosse già predeterminato le giocatrici non scenderebbero nemmeno in campo e gli spettatori non guarderebbero il match. Forza azzurri e Forza azzurre, crediamoci tutti, sempre!”

Una spedizione goliardica di amici ha trovato una bella testimonianza rugbistica, con l’inseguimento quasi surreale a Erica e le sue risposte competenti e ottimistiche. Il rugby azzurro soffre, ma è più vivo che mai.

Tags: #ErikaMorri, rugby

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Nota sull’autore: Ruggero Canevazzi

Giornalista pubblicista e ingegnere. Grande appassionato e conoscitore di tennis, calcio e rugby, ha praticato hockey su prato a livello agonistico e poi ha seguito il Sei Nazioni per Sportsenators con Italia-Francia 2019, Italia-Galles 2023, dopo molte altre partite della Nazionale di rugby sempre nel Sei Nazioni e Irlanda-Italia alla World Cup 2015. Per il tennis ha seguito per Ubitennis due US Open (2015 e 2016), due Roland Garros (2017 e 2018), due ATP di Montecarlo (2014 e 2016), due turni di Fed Cup (Italia-Slovacchia a Forlì 2017 e Italia-Belgio a Genova 2018), l'ATP tedesco di Halle nel 2019 e nel 2023, le ATP Finals di Londra 2019. Per Sportsenators è stato inviato a Wimbledon 2022 e agli Internazionali d'Italia a Roma del 2024. Autore di circa 350 articoli.

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