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Tennis

Fisico, fantasia e… amore: è Monfils, l’uomo da battere

Da Vincenzo Martucci 03/09/2019

Sarà Gael l'avversario di Berrettini negli ottavi: il francese ha asfaltato lo spagnolo Andujar centrando per la seconda volta in carriera i quarti a New York. "La Monf" sembra aver messo insieme per la prima volta colpi, fisico e testa. E forse è anche un po' merito della Svitolina...

A 33 anni appena compiuti Gael Monfils, prossimo avversario di Matteo Berrettini,  sembra aver messo insieme per la prima volta tutto il suo micidiale arsenale psico-fisico-tecnico. Ed è diventato più concerto, più stabile e meno farfallino, meno dipendente dal colpo ad effetto.
Forse è l’amore per la sua ultima fiamma, quel peperino della collega Elina Svitolina, forse gli anni, forse l’elettricità di New York, forse la pausa che gli stanno dando gli infortuni in una carriera da dentro e fuori l’infermeria, sulla scia dell’ultimo, forzato, stop, a luglio, per i guai al tendine d’Achille.
Di certo, l’ex numero 6 del mondo del novembre 2016, la Pantera come lo chiama Nadal, La Monf come si fa chiamare lui, personaggio istrionico e bizzarro che ha sempre anteposto il sorriso, lo star bene con se stesso, l’intelligente ironia a qualsiasi discorso agonistico, è uno degli “out siders” più pericolosi dei quarti degli Us Open. Livello, dove, negli Slam, arriva per la nona volta, l’ultima dall’esperienza nella Grande Mela del 2016.

Ma per la prima volta ci arriva di volata, sicuro, forte, dopo il convincente 61 62 62 in meno di 90 minuti contro il coriaceo Pablo Andujar. Dopo una prestazione talmente completa da poter essere illusoria, nel tennis che ogni giorno cambia faccia e situazioni: “Mi funzionava tutto. La tattica era giusta, mi muovevo bene, ho colpito forte, perfetto. Quando le cose vanno così, non c’è molto da dire”. Come conferma il 6/10 sulle palle break trasformate, senza doverne fronteggiare alcuna sul proprio servizio (con l’81% di punti sulla seconda), mettendo giù ben 34 vincenti.

La caotica New York è la sua città, con quel brusio che non finisce mai, quelle luci sempre accese, quel movimento continuo : “Ho sempre detto che adoro quest’atmosfera, amo la sua energia, l’energia è molto importante: mi sta facendo giocare un gran tennis. Anche perché questi stadi sembrano fatti apposta per il mio gioco e la mia personalità, coi loro spazi grandi. Mi ci sento proprio bene. Penso che sia per questo che quaggiù gioco sempre bene”.

Chissà nella sua testa contro corrente come ha vissuto l’ecatombe di teste di serie nella sua parte di tabellone, da Thiem a Tsitsipas a Kyrgios. Magari s’accorge che lo scenario ricorda molto quello del 2016, quando s’era evitato Raonic e Nadal, incrociano i ben più agevoli Baghdatis e Pouille. E chissà come reagisce alle responsabilità di unico francese ancora in gara, del resto numero 1 nazionale e 13 del mondo, consolazione di un super-gruppo, “I nuovi Moschettieri” – Gasquet, Tsonga, Monfils e Simon – che si sta sgretolando con l’età e vede lontanissimi gli Us Open 2011, quando erano fra i primi 13 del mondo. Di certo, quest’anno, col settimo allenatore, Liam Smith, si sta esprimendo come forse nemmeno lui credeva più di poter fare. Prendendo l’abbrivio dal successo di Rotterdam, dov’ha infilato Goffin, Medvedev e in finale l’amico Wawrinka. Poi è stato sfortunato nei sorteggi, ha incrociato Thiem, Tsitsipas, Federer, ancora Thiem, ha perso un po’ di fiducia, ha giocato malissimo sull’erba, si era ritrovato sul cemento di Montreal, ma, provato dalla maratona contro Bautista Agut, s’era dovuto fermare ancora per i guai alla caviglia sinistra, rinunciando alla semifinale contro Nadal. Che a Cincinnati non aveva ancora assorbito.

Chissà se Berrettini, che non l’ha mai affrontato, ha visto il match di Gael contro Fognini al Roland Garros 2014, una commedia dell’arte alla francese, che fece piangere Fabio. Stoppandolo quando sembrava lanciassimo. Qualcosa di più di una partita di tennis, un’interpretazione molto personale, un gioco a rimpiattino, una variazione continua di ritmo e di tattica, un cocktail ubriacante di uno dei talenti più grandi e più inespressi secondo le sue potenzialità del tennis dell’Era Open. Un’altra esperienza fantastica per l’allievo di Vincenzo Santopadre e Umberto Rianna.
*articolo ripreso da supertennis.tv

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Nota sull’autore: Vincenzo Martucci

Napoletano, 34 anni alla Gazzetta dello Sport, inviato in 8 Olimpiadi, dall’85, ha seguito 86 Slam e 23 finali Davis di tennis, più 2 Ryder Cup, 2 Masters, 2 British Open e 10 open d’Italia di golf. Già telecronista per la tv svizzera Rsi; Premio Bookman Excellence.

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