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Tennis

Onore a zio Toni, il maestro ideale dei valori su cui innalzare un campione come Rafa

Da Vincenzo Martucci 12/06/2017

Il re di 10 Roland Garros deve ringraziare il tecnico che gli ha insegnato tutto, nella vita e nel tennis, aprendogli la strada del successo

Molti, guardando Nadal, pensano: “Dev’essere facile allenare un campione così”. Tranquilli, è il ragionamento comune anche di di tanti coach, o presunti tali. Ma Rafa campione non nasce oggi, a 31 anni, che domina il decimo Roland Garros, dopo aver firmato il decimo Montecarlo e la decima Barcellona. Rafa tennista nasce a 4 anni, quando papà Sebastian affida l’erede al fratello, Toni, perché ne faccia un uomo. Non un atleta, non un campione di tennis, un uomo, capace di rispettare le regole. Perché il ragazzo gli scappava via da tutte le parti ed era molto più propenso a correre e saltare, pescare, nuotare ed inseguire un pallone, piuttosto che rimanere concentrato qualche momento davanti a un libro. Quando, a 16 anni, apparve sull’Atp Tour sembrava Mowgli, l’uomo della Giungla, coi capelli lunghi, i muscoli che spiccavano dalla canotta colorata, i pantaloni da pirata e poche, pochissime, parole in inglese, tanto che adottò prestissimo il buon Benito Barbadillo come amico-accompagnatore-traduttore-trait d’union coi media. Si capiva poco anche quando si esprimeva in spagnolo, per la verità, con quel dialetto maiorchino particolarmente chiuso, lo sguardo spesso basso e i modi sempre frenetici, anche fuori del campo, dove colpiva soprattutto per la quantità industriale di cibo che divorava, sempre.

   Accanto a lui, era fisicamente presente zio Toni, che invece di seguire gli alunni del suo piccolo club, accompagnava per mano il nipote per il mondo. Toni è l’omino in trance che il mondo ha visto chissà quante volte inquadrato in tv sin dal 2005, quando Rafa ha vinto il primo Parigi fino ad oggi che è comparso, stravolto dalla timidezza e dalla felicità, sul centrale del Roland Garros, mentre stringeva finalmente anche lui la coppa dei Moschettieri vinta dal suo “Rafaél”. Che cosa può aver dato, tecnicamente, un modesto ex giocatore e un piccolo coach di un piccolo club delle Baleari ad un campione così grande? Al di là dei paroloni dei mille simposi ai quali è stato invitato negli anni, Toni ha dato a Rafa regole di vita e di comportamento che sono diventati i capisaldi della sua scalata sociale e sportiva. Rafa non ha mai scaraventato in terra una racchetta e mai l’ha rotta in pubblico, Rafa pensa solo punto dietro punto, “15 dietro 15”, non al game o al set o la partita successiva, Rafa rispetta tutti gli avversari, ma proprio tutti tutti, Rafa onora i grandi dello sport e conosce la tradizione, Rafa non fa paragoni con altri successi ed annate del passato, non parla solo degli Slam e del numero 1 del mondo, semmai parla dei Masters 1000 e della Race, la classifica a punti che tiene conto dei risultati stagionali, “perché domani nel tennis si riparte sempre da zero e ogni partita fa storia a sé”. Anche se ha promesso che, quando la favola sarà finita, si fermerà finalmente a ragionarci davvero su e a fare le sue personalissime classifiche su qual è stato il miglior Rafa. Intanto si gode il Roland Garros: “ Il torneo che per me resta sempre il più importante dell’altro”. E guarda chissà dove, lontano, ripensando all’ennesimo miracolo sportivo che è questo trionfo di Parigi, dopo che appena dodici mesi fa, si ritirava in questo stesso torneo, per la tendinite al polso.

Quando parla, Rafa sembra dica sempre e solo banalità. Come quando gli hanno chiesto, subito dopo il decimo urrà a Parigi, se crede di poter fare bene anche sull’erba di Wimbledon: “Ora ci sono tre settimane di stop prima di Parigi, ma ho giocato cinque finali anche quando ce n’erano due. Il problema sono le ginocchia, se mi faranno male non sarò competitivo e potrò anche lottare per tornare numero 1 del mondo”. Ma non sono banalità, sono gemme di filosofia di sopravvivenza che gli ha insegnato e ripetuto il famoso zio Toni. Così come nell’allenamento lo ha blandito, lo ha tranquillizzato, lo ha accompagnato, lo ha stimolato, lo ha allevato nel segno dell’educazione e dell’umiltà, lo ha seguito colpo dietro colpo. Puntuale, preciso, serio, attento. Un esempio di professionalità che il nipote doveva per forza imitare.

I due hanno anche discusso molto, hanno bisticciato pure, tanto che, sul campo, Toni il duro ha accettato negli anni l’arrivo dell’ex professionista, Roig e ora anche di Carlos Moya, accanto al manager, Carlos Costa, pure lui spagnolo ed ex tennista. Tutto per il bene di Rafael che, nel tempo, intorno al famoso dritto in top che ha terrorizzato Roger Federer, s’è costruito un sontuoso rovescio ed un ottimo servizio. Le gambe le aveva naturali, così come l’istinto al combattimento. Ma certo zio Toni che, simbolicamente, salendo sul palco del Roland Garros, è uscito anche di scena per tornare ad allenare nella sua isola – nella grande Academia Nadal di Manacor -, ha avuto un ruolo decisivo.

Tutti i giovani aspiranti stregoni dello sport, invece di guardare al colpo a sorpresa, al colpo ad effetto, all’applauso, al campione che vince i tornei dello Slam e diventa numero 1 del mondo, dovrebbero cercare gli oscuri, modesti, appassionati, maestri, che inseguono il concreto, il quotidiano, il piccolo passo avanti. E così mettono fondamenta incrollabili su cui innalzare campioni come Rafa Nadal.

 

Vincenzo Martucci

Tags: il maestro ideale dei valori su cui innalzare un campione come Rafa, Nadal, Onore a zio Toni, parigi, roland garros 2017

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Nota sull’autore: Vincenzo Martucci

Napoletano, 34 anni alla Gazzetta dello Sport, inviato in 8 Olimpiadi, dall’85, ha seguito 86 Slam e 23 finali Davis di tennis, più 2 Ryder Cup, 2 Masters, 2 British Open e 10 open d’Italia di golf. Già telecronista per la tv svizzera Rsi; Premio Bookman Excellence.

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