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Tennis

Djokovic verso il grande Slam, il suo nemico è sempre più se stesso

Da Vincenzo Martucci 15/06/2021

Intanto, grazie. Chi ama il tennis e lo sport deve ringraziare Novak Djokovic perché esiste, perché, dal successo agli Australian Open 2008, ha interrotto dopo undici Slam l’egemonia Federer-Nadal e da allora ha ostinatamente inseguito i due incredibili campioni che sembravano imprendibili, s’è trascinato dietro il coetaneo Andy Murray allargando il club ai Fab Four, ravvivando l’equilibrio al vertice, per poi sprintare ed arrivare a prendersi addirittura 19 Majors, appena a un tacca dal record di 20 della premiata ditta “Fedal”.

Di più, molto di più: Nole I da Serbia, il grande difensore, il miglior risponditore, il campione di gomma che rimanda di là del net sempre una palla di più, è diventato l’emblema del super-atleta del tennis moderno, competitivo su tutte le superfici, capace di tenere ritmi di palleggio talmente alti da asfissiare l’avversario, in grado di migliorarsi continuamente nella tecnica e di trovare soluzioni incredibili quando si trova con le spalle al muro.

E’ cattivo? Si è agonisticamente molto cattivo, è addirittura feroce, nel nome del difficile passato che ha dovuto vivere: lui che è stato scoperto e portato al tennis per caso partendo dalla pizzeria gestita dai genitori in montagna; lui che, povero e senza conoscenze di racchette in famiglia, si è allenato sotto le bombe della Nato in una piscina riempita di terra rossa con un minimo “out”; lui che è dovuto emigrare a Monaco di Baviera alla scuola di Niki Pilic perché in patria non esistevano strutture valide; lui che non è mai riuscito a crescere nell’applausometro del pubblico: agli inizi perché faceva l’imitazione dei più forti, poi perché si ritirava per problemi fisici, quindi perché per alcuni fingeva infortuni che non si rivelavano tali e infine perché ha contestato tutto, ma proprio tutto.

Dal sindacato ATP Tour, alle norme e allo stesso vaccino anti-Covid. Per farsi poi addirittura espellere agli Us Open 2020 quand’ha sbattuto via una palla colpendo senza volerlo un giudice di linea.

Novak non è elegante e politically correct come Federer, non un agonista da libri delle favole come Nadal, non ha genitori silenziosi come i due grandi esempi del tennis e dello sport, anzi, papà e mamma, quando parlano sono più aggressivi di lui, per non parlare dei fratelli cui ha garantito wild-card nei tornei solo perché portavano il suo cognome.

Nole si è perso per un anno in una crisi misteriosa che pochi hanno compreso, ha inseguito la chimera di un santone che proclamava “Pace e Amore”, s’è eretto a simbolo della sua piccola nazione marchiata da una cattiva stampa, ha licenziato due super-coach come Boris Becker ed Andre Agassi, fa faccine di scherno in campo, strabuzza gli occhi in modo enigmatico e spacca le racchette senza vergogna. Nole può essere arruffato, smodato e selvaggio, può irrompere in violente e isteriche litigate col suo clan in tribuna, può scalciare un tabellone pubblicitario e sputare schifato sul mitico Philippe Chatrier e può quindi urlare al mondo tutta la sua frustrazione dopo essersi evitato il quinto set contro Matteo Berrettini.

Può dover recuperare due volte due set di svantaggio, scrivendo ancora una volta la storia al Roland Garros, peraltro contro i giovani di grande talento ma ancora non di tenuta fisica e nervosa all’altezza come Lorenzo Musetti e Stefanos Tsitsipas. Ennesimi martiri del tennis al meglio di cinque set al quale i grandi vecchi sono avvezzi perché l’hanno frequentato anche nelle finali di tornei ATP Tour (ricordate Roma?) e in coppa Davis, un tennis-maratona completamente diverso dal tennis-sprint al meglio dei tre set.

Djokovic non ha il dono della simpatia ma i suoi meriti sono innegabili. E’ in vantaggio 27-23 nei testa a testa contro Federer, che ha superato agli Australian e agli US Open, alle ATP Finals e anche a Wimbledon, cioè nei tradizionali feudi di Roger-Express.

E’ in vantaggio 30-28 su Rafa Nadal che ha appena battuto nel suo regno del Roland Garros, diventando il primo a piegare due volte il più grande attore di sempre su quella terra rossa.

E’ in vantaggio 25-11 sull’amico Andy Murray, che tentò di portarlo sotto la bandiera britannica e in cambio s’è visto stoppare in quattro finali degli Australian Open. E’ in vantaggio contro gli altri protagonisti Slam, da Stan Wawrinka (19-6) a Marin Cilic (17-2) a Dominic Thiem (7-5). Ed è in vantaggio nei testa a testa contro tutti i giovani di spicco: 6-2 con Tsitsipas, 5-3 con Medvedev, 6-2 con Zverev 6-0 con Shapovalov.

Djokovic non conosce limiti al suo ego e alla sua fame di successi. Bisogna dargli credito che lo annunciò subito, appena sbarcato nel tennis pro: “Diventerò il numero 1 e vincerò più Slam di tutti”. Infatti ha eguagliato l’incredibile primato di 6 stagioni chiuse da Pete Sampras sul trono della classifica. Non può conoscere limiti ai record. Sa che per convincere tutti ma proprio tutti, coi fatti, non gli basterà forse nemmeno battere i 20 Slam-record di Federer & Nadal, così come non gli basta mostrare polemicamente le orecchie al pubblico giacobino di Parigi che lo ha fischiato per ore, né regalare metaforicamente il proprio cuore a tutt’e quattro le tribune come fa abitualmente. Dovrà compiere l’estrema impresa, dovrà chiudere il Grande Slam, come nel tennis maschile è successo solo a due miti: lo statunitense Don Budge nel 1938 e l’australiano Rod Laver nel 1962 e nel 1969.
Epperciò è particolarmente nervoso nella corsa più esaltante che ha già sfiorato nel 2011 quando si aggiudicò tre tappe dell’immortalità tennistica e perse in semifinale a Parigi e nel 2015 quando fece altrettanto ma si dovette arrendere solo in finale al Roland Garros. Quest’anno sembra l’anno giusto: forte dei successi a Melbourne e Parigi, peraltro con Federer (quasi quarantenne) che rientra alle gare dopo due operazioni al ginocchio, e con Rafa che, appena disarcionato a Parigi, ha addosso tanti di quei dubbi da disertare forse Wimbledon. Mentre i migliori giovani sembrano ancora tutti acerbi.

   La boa della terra rossa di Parigi è sempre stata ostica da girare per il re di Serbia che s’è visto sbattere la porta in faccia in ben quattro finali. Mentre invece sull’erba di Wimbledon si sente forte, con 5 successi, così come sulla superficie-madre, il cemento l’aperto di New York, dove ha trionfato 3 volte in 8 finali. Il suo problema più grande è come sempre se stesso, l’ambizione che gli cova nell’animo e che lo motiva e insieme lo corrode. Saprà resistere al suo nemico numero 1? Perché, cifre alla mano, nessun altro rivale in carne e ossa sembra essere in grado di sbarrargli davvero la strada. Non dopo le impressionanti prove di forza di Parigi. Anche se il tennis propone ogni giorno nuove sfide e nuove situazioni. E si rinnova nel suo fascino.

(testo tratto da supertennis.tv e foto di Patrick Boren)

Tags: Djokovic verso il grande Slam, il suo nemico è sempre più se stesso

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Nota sull’autore: Vincenzo Martucci

Napoletano, 34 anni alla Gazzetta dello Sport, inviato in 8 Olimpiadi, dall’85, ha seguito 86 Slam e 23 finali Davis di tennis, più 2 Ryder Cup, 2 Masters, 2 British Open e 10 open d’Italia di golf. Già telecronista per la tv svizzera Rsi; Premio Bookman Excellence.

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