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Pallacanestro

L’ambasciatore Rodman torna da Kim per salvare gli Usa

Da Luca Chiabotti 13/06/2017

L'ex campione Nba, il personaggio più bizzarro della storia dei canestri, è volato di nuovo a Pyongyang per incontrare il presidente nordcoreano, suo amico, e "liberare" 4 cittadini americani bloccati dalle autorità. Una barzelletta? C'è già riuscito una volta.  Forse...

Dennis Rodman è a Pyongyang, in Corea del Nord, in missione presso il suo amico Kim Jong-un, “un ragazzo sveglio” secondo l’ex 5 volte campione Nba con Detroit e Chicago, per tentare di liberare 4 cittadini americani che i nordcoreani non vogliono far tornare a casa. Rodman, come il senatore Antonio Razzi, diventato immortale grazie alle imitazioni di Maurizio Crozza, è uno degli strani personaggi che possono arrivare al cuore di uno dei dittatori più temuti sul pianeta. Per chi è troppo giovane per ricordarsi chi è Rodman, che ha 56 anni e si è ritirato dalla Nba nel Duemila, spiegarlo è complicato. Troppe cose, troppo bizzarre da dire. In sostanza, a parte i suoi look e le sue abitudini sempre più eccentriche fino alla paranoia, i capelli multicolori, i gossip che lo vedono anche tra gli amanti di Madonna, la sua sessualità indefinibile, le presentazioni dei suoi libri dove ha accolto i critici nudo o vestito da Drag Queen, l’aver fatto il wrestler

professionista, aver partecipato a film e programmi tv e

una dipendenza dall’alcool che si è fatta sempre più pesante negli anni (solo per ricordare alcune cose

principali), Rodman è uno di quegli strani personaggi

considerati cattivi, folli, perversi che incarnano però dei valori assoluti e con una personalità a tratti dolce, educata e sensibile. Che ti lasciano, insomma, completamente spiazzato.

Lo si è capito presto nel basket, quando la sua voglia spasmodica di difendere e andare a rimbalzo invece di tirare, lo hanno reso la componente indispensabile nei trionfi dei Pistons e dei Bulls di Michael Jordan, un compagno ideale, sempre pronto a dare il massimo per la squadra. Il problema è che, dopo essere cresciuto in condizioni difficili e con davanti a se una prospettiva di vita assai grama, salvato dalla pallacanestro ormai quasi da adulto, una volta diventato campione Nba, invece di sentirsi arrivato, ha provato dentro di sé qualcosa che lo stava soffocando. E dopo una notte passata in un parcheggio deserto con un fucile nella sua auto soppesando la possibilità di spararsi e farla finita, ha avuto una illuminazione. Solo liberandosi, senza sentirsi più costretto in una parte che non lo rappresentava, sarebbe riuscito a sopravvivere.

La mattina, mentre già in molti temevano il peggio, è ricomparso. Ha ricominciato a vivere tingendosi i capelli nei modi più bizzarri. E non s’è posto più un limite. Per molti, anche nel basket, era semplicemente diventato un fenomeno da baraccone, Phil Jackson e Michael Jordan decisero di dargli una possibilità che poi è valsa tre titoli Nba. Ovvio che per una persona così, il peggio arrivi quando la carriera finisce. La sua necessità di alimentare il mito e guadagnare soldi con la pubblicità lo ha portato a fare di tutto, compreso giocare a basket in Finlandia o presentarsi in Vaticano al Conclave per promuovere un sito di scommesse che avrebbe ridato i soldi indietro se il nuovo Papa fosse stato nero. In questo contesto si inseriscono i viaggi in Corea del Nord, il primo nel 2013 per una esibizione cestistica durante la quale conobbe Kim, un avido fan dei canestri, definendolo poi un “amico per la vita” e suggerendo poi al presidente Obama di “fargli una chiamata”. Ha poi organizzato una partita di ex giocatori Nba a Pyongyang il 7 gennaio del 2014, compleanno di Kim.

Durante quella tournée sollevò un polverone sostenendo che Kenneth Bae, un cittadino americano condannato a 15 anni di lavori forzati in Corea, fosse stato imprigionato

giustamente. Fu costretto a scusarsi dicendo che aveva

bevuto troppo. Nel 2016, però, Bae ormai libero, ringraziò pubblicamente Rodman per l’intervento a suo favore. “Basta che funzioni” direbbe Woody Allen, riferito alle tecniche del più strano e imprevedibile diplomatico della storia che dice di essere amico del presidente Trump, che ha sostenuto in campagna elettorale (ha anche partecipato a The Apprentice Vip). Ora ci riprova, ma anche stavolta il suo viaggio è sponsorizzato da un gruppo che promuove una nuova moneta virtuale. Ho conosciuto Rodman, dopo averlo incontrato alle finali Nba, una volta che venne a Milano, in un tour promozionale. Non era particolarmente interessato e attivo, anche se fu gentile e disponibile con

i lettori della Gazzetta con i quali diede vita ad una

chat. Ad un certo punto gli chiesi se, al di là degli

stereotipi e delle storie sul suo conto, la sua vita fosse davvero così spericolata, se gli capitasse mai, ad esempio, di passare una serata in casa come tutti i comuni mortali. “Certo – mi rispose – non faccio niente di strano: capita anche a me, quando torno a casa alle 4 o 5 del mattino, di mettermi in poltrona a guardare un film. Proprio come tutti”. Appunto.

Luca Chiabotti

Tags: Basket, L'ambasciatore Rodman torna da Kim per salvare gli Usa, Luca Chiabotti

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Nota sull’autore: Luca Chiabotti

(La Firma) Inviato a 6 Olimpiadi, 7 mondiali e 15 europei basket, oltre 200 partite dello sport che è il suo grande amore ed ha caratterizzato la sua carriera, 35 final four, finali italiano del 1978. Esperto anche di sport americani, dal football al baseball.

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